giovedì 18 giugno 2015

L’alleanza scossa ma non rimossa.



Ebraismo dopo la Shoah. L’alleanza scossa

(Anna Foa) Dov’era Dio nei campi di sterminio? Che cosa ne era stato dell’antica alleanza tra Dio e il popolo ebraico? Queste le domande a cui vuole rispondere David Weiss Halivni in L’alleanza scossa ma non rimossa. Riflessioni sulla Shoah, a cura di Dan Eliezer con la traduzione e la revisione di Raniero Fontana (Cantalupa, Torino, Effatà, 2015, pagine 126, euro 11). Un libricino di poche pagine con tre testi tratti da volumi dello studioso mai tradotti in italiano,Breaking the Tablets. Jewish Theology after the Shoah (2007) e la sua autobiografia The Book and the Sword (1996), di cui si offre un assaggio per non pregiudicare la possibilità di una traduzione e così di una lettura completa.
Amico d’infanzia di Elie Wiesel, David Weiss Halivni è lui stesso un sopravvissuto ai campi. Nato nel 1927 a Kobyletska Poliana, allora Ungheria e oggi Ucraina, di famiglia ortodossa rabbinica, è stato ordinato rabbino a quindici anni. Deportato ad Auschwitz e di lì a Wolfsberg e a Mauthausen, è stato l’unico sopravvissuto della sua famiglia. Nel 1947 è emigrato negli Stati Uniti, dove ha compiuto gli studi al Jewish Theological Seminary di New York, la maggiore istituzione conservativa. Dopo la Shoah, quindi, il giovane rabbino ortodosso ungherese si è trasformato in un rabbino liberal. Talmudista, esegeta, studioso di teologia ebraica, ha insegnato all’Università di Columbia e nel 2005 si è trasferito a Gerusalemme, dove continua a insegnare. Nel 2008 ha ricevuto il prestigioso Premio Israele.
Il testo analizza la Shoah nel suo senso teologico, nel suo rapporto con le persecuzioni che nella storia hanno colpito gli ebrei, nella sua interpretazione religiosa. E in primo luogo, l’autore afferma con grande decisione che la Shoah non solo non ha rotto l’alleanza tra il popolo ebraico e il Signore, ma non ha neppure rappresentato, dentro questa alleanza, una punizione divina per i peccati commessi dal popolo ebraico.
Weiss Halivni sostiene che né nei testi biblici né nelle interpretazioni talmudiche si è mai affermato che Dio sarebbe arrivato a distruggere totalmente o quasi il suo popolo, per punirlo dei suoi peccati. Contro tutte le interpretazioni ortodosse e ultraortodosse che vedevano e continuano a riproporre la Shoah come una punizione divina provocata volta a volta dall’assimilazione, dalla perdita dell’osservanza, dal sionismo, Weiss Halivni sostiene con forza che la Shoah non ha rappresentato nessuna punizione, non è stata una conseguenza del peccato. Che solo pensarlo assomiglia a una bestemmia.
Se Dio è stato assente nei campi — e per Weiss Halivni non v’è dubbio che lo sia stato — la ragione è un’altra e va ricercata nel rapporto tra la volontà divina e la libertà dell’uomo.
Nell’interpretazione cabbalistica che l’autore presceglie, la contrazione divina nello tzimzum dà spazio all’uomo e alla sua libertà. Poco a poco nella storia, però, l’intervento della provvidenza divina rode gli spazi della libertà umana fino a che, in tempi eccezionali, non si arriva a una redistribuzione degli spazi, a un nuovo equilibrio. Ciò determina, inizialmente, quest’assenza di Dio, come un nuovotzimzum che offre all’uomo tutto lo spazio per dispiegare il suo volere, buono o cattivo che sia. Negli anni della Shoah, nell’assenza di Dio, si è manifestata l’intera volontà malvagia dell’uomo, senza che nulla, nel rapporto tra Dio e gli ebrei, ne determinasse l’avvento. Di qui, l’interpretazione in chiave di unicità della Shoah data dall’autore, unicità che, notiamolo, non si rapporta agli altri genocidi della storia ma agli eventi della storia ebraica. Nessun pogrom, nessuna persecuzione è mai stata seppur lontanamente paragonabile allo sterminio generale programmato e tentato con la Shoah: «Gli assassinati nella Shoah hanno vissuto, per così dire, fuori dalla storia normale».
Ecco perché, secondo Weiss Halivni, non ci sono preghiere speciali inventate e recitate nei campi. Nello scritto iniziale di questa raccolta,La preghiera nella Shoah, tratto da un suo commento al Machzor(libro di preghiera) dei Giorni terribili (i giorni tra capodanno e kippur) in preparazione del rito nel campo di Wolfsberg, Weiss Halivni sostiene che gli ebrei nei campi di lavoro come Wolfsberg (dove era loro consentito di pregare un giorno alla settimana) pregavano come aveva loro insegnato la tradizione. Solo pochi di loro, più consapevoli, cercavano di privilegiare preghiere che esprimessero il senso di ciò che stavano vivendo e il bisogno del soccorso divino. Di qui, la preferenza data a una preghiera tratta dalla liturgia di Capodanno che chiede al Signore di regnare lui solo e di non permettere lo scatenamento delle forze del male. Di reintegrare la Sua presenza nel mondo e nel campo.
Un testo straordinario, questo, di riflessioni scritte da un pensatore che mescola insieme pensiero tradizionale e modernità, Kabbalah e teologia morale. In questa sorta di nuova creazione che ne deriva, in cui, come all’inizio della creazione, Dio ricrea la libertà dell’uomo e il suo spazio lasciando così campo all’immane malvagità dell’uomo, la Shoah appare come un evento cosmico in cui i perpetratori sono pienamente colpevoli, in quanto esercitano la loro libertà, e le vittime del tutto incolpevoli, perché non stanno scontando i loro peccati. E la Shoah appare come una rottura del tempo e della storia, una scossa fortissima all’Alleanza che tuttavia non l’ha cancellata o distrutta.
Una riflessione affascinante sul male e la libertà umana.
L'Osservatore Romano