sabato 1 ottobre 2011

Romano il Melode


ROMANO IL MELODE (†ca. 556)

diacono e innografo

Le chiese ortodosse fanno oggi 1 ottobre memoria di Romano il Melode (*), diacono, innografo e perfezionatore del genere dei kontakia, inni composti di strofe le cui iniziali formano un acrostico e che sono chiuse da un ritornello sempre uguale.
Romano nacque a Emesa, in Siria, nella seconda metà del v secolo. Della sua vita sappiamo molto poco. Ordinato diacono, dapprima prestò servizio nella chiesa della Resurrezione a Berito (l'odierna Beirut), quindi si trasferì a Costantinopoli all'epoca dell'imperatore Anastasio I (491-518).
Nella capitale dell'impero, egli svolse il proprio ministero nella chiesa della Madre di Dio, nel quartiere detto «di Ciro». A contatto con gli ambienti culturali bizantini, Romano affinò a tal punto la sua arte poetica da essere ritenuto uno dei massimi poeti di Bisanzio. Egli impiegò mirabilmente il genere innico dell'epoca, traendo ispirazione per i suoi inni dalle Scritture ebraiche e cristiane, dagli scritti apocrifi, ma anche dalle vite dei martiri e dei santi. Nei suoi testi colpisce la capacità di sposare la sublimità dell'adorazione alla semplicità e all'immediatezza delle immagini.
Secondo la tradizione Romano, universalmente detto «il Melode», compose più di mille kontakia per le feste del Signore e in memoria dei santi della chiesa.
Egli mori attorno al 556, e nell'iconografia classica è rappresentato vestito da diacono, mentre dorme e riceve in sogno dalla Vergine un rotolo di carta da inghiottire, da cui secondo gli agiografi egli trarrà ispirazione per le sue composizioni.

TRACCE DI LETTURA

Molti sono stati i mortali che hanno conosciuto il tuo amore per gli uomini, che il pentimento ha reso manifesto: hai giustificato il pubblicano che gemeva e la peccatrice che versava lacrime. Tu guardi infatti all'intenzione di ognuno e accordi il tuo perdono.
Come a loro, dona la conversione anche a me, ricco in misericordia quale sei, tu che vuoi salvare tutti gli uomini.
Per la grazia hai fatto di me un figlio tuo ed erede. Io invece ti ho offeso, sono divenuto prigioniero e, vendendomi al barbaro peccato, mi sono fatto pure schiavo, me misero! Abbi compassione dell'immagine tua e richiamami, o Salvatore, tu che vuoi salvare tutti gli uomini.
Dammi la capacità di cantarti e di glorificarti sempre con una vita pura. Degnati di farmi armonizzare opere e parole, o Onnipotente; possa io cantare e ricevere da te quanto a te chiedo! Accordami di offrire una preghiera pura a te, unico Cristo, a te che vuoi salvare tutti gli uomini.

(Romano il Melode, Inno 59,1.5.15)

PREGHIERA

Primizia di cose buone,
tu sei stato motivo di salvezza,
padre nostro Romano:
perché intessendo un' innodia angelica
hai divinamente mostrato
quale fosse il tuo modo di vita.
Implora Cristo nostro Dio
perché siano liberati
da tentazioni e pericoli
quanti ti celebrano.

* * *



A Romano il Melode Papa Ratzinger ha dedicato l'udienza di mercoledì 21 maggio, che riporto di seguito. Il Papa ricorda che: «La fede è amore per questo crea poesia e musica». Mi ha profondamente colpito il kontakion per il Venerdì di Passione: è un dialogo drammatico tra Maria e il Figlio, che si svolge sulla via della croce. Dice Maria: «Dove vai, figlio? Perché così rapido compi il corso della tua vita?/ Mai avrei creduto, o figlio, di vederti in questo stato,/ né mai avrei immaginato che a tal punto di furore sarebbero giunti gli empi/ da metterti le mani addosso contro ogni giustizia». Gesù risponde: «Perché piangi, madre mia? [...]. Non dovrei patire? Non dovrei morire?/ Come dunque potrei salvare Adamo?». Il figlio di Maria consola la madre, ma la richiama al suo ruolo nella storia della salvezza: «Deponi, dunque, madre, deponi il tuo dolore:/ non si addice a te il gemere, poiché fosti chiamata "piena di grazia"» (Maria ai piedi della croce, 1-2; 4-5).


* * *

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 21 maggio 2008

Romano il Melode

Cari fratelli e sorelle,

nella serie delle catechesi sui Padri della Chiesa, vorrei oggi parlare di una figura poco conosciuta: Romano il Melode, nato verso il 490 a Emesa (oggi Homs) in Siria. Teologo, poeta e compositore, appartiene alla grande schiera dei teologi che hanno trasformato la teologia in poesia. Pensiamo al suo compatriota, sant’Efrem di Siria, vissuto duecento anni prima di lui. Ma pensiamo anche a teologi dell’Occidente, come sant’Ambrogio, i cui inni sono ancora oggi parte della nostra liturgia e toccano anche il cuore; o a un teologo, a un pensatore di grande vigore, come san Tommaso, che ci ha donato gli inni della festa del Corpus Domini di domani; pensiamo a san Giovanni della Croce e a tanti altri. La fede è amore e perciò crea poesia e crea musica. La fede è gioia, perciò crea bellezza.

Così Romano il Melode è uno di questi, un poeta e compositore teologo. Egli, appresi i primi elementi di cultura greca e siriaca nella sua città natia, si trasferì a Berito (Beirut), perfezionandovi l’istruzione classica e le conoscenze retoriche. Ordinato diacono permanente (515 ca.), fu qui predicatore per tre anni. Poi si trasferì a Costantinopoli verso la fine del regno di Anastasio I (518 ca.), e lì si stabilì nel monastero presso la chiesa della Theotókos, Madre di Dio. Qui ebbe luogo l’episodio-chiave della sua vita: il Sinassario ci informa circa l’apparizione in sogno della Madre di Dio e il dono del carisma poetico. Maria, infatti, gli ingiunse di inghiottire un foglio arrotolato. Risvegliatosi il mattino dopo – era la festa della Natività del Signore – Romano si diede a declamare dall’ambone: «Oggi la Vergine partorisce il Trascendente» (Inno "Sulla Natività" I. Proemio). Divenne così omileta-cantore fino alla morte (dopo il 555).

Romano resta nella storia come uno dei più rappresentativi autori di inni liturgici. L’omelia era allora, per i fedeli, l’occasione praticamente unica d’istruzione catechetica. Romano si pone così come testimone eminente del sentimento religioso della sua epoca, ma anche di un modo vivace e originale di catechesi. Attraverso le sue composizioni possiamo renderci conto della creatività di questa forma di catechesi, della creatività del pensiero teologico, dell’estetica e dell’innografia sacra di quel tempo. Il luogo in cui Romano predicava era un santuario di periferia di Costantinopoli: egli saliva all’ambone posto al centro della chiesa e parlava alla comunità ricorrendo ad una messinscena piuttosto dispendiosa: utilizzava raffigurazioni murali o icone disposte sull’ambone e ricorreva anche al dialogo. Le sue erano omelie metriche cantate, dette "contaci" (kontákia). Il termine kontákion, "piccola verga", pare rinviare al bastoncino attorno al quale si avvolgeva il rotolo di un manoscritto liturgico o di altra specie. I kontákia giunti a noi sotto il nome di Romano sono ottantanove, ma la tradizione gliene attribuisce mille.

In Romano, ogni kontákion è composto di strofe, per lo più da diciotto a ventiquattro, con uguale numero di sillabe, strutturate sul modello della prima strofa (irmo); gli accenti ritmici dei versi di tutte le strofe si modellano su quelli dell’irmo. Ciascuna strofa si conclude con un ritornello (efimnio) per lo più identico per creare l’unità poetica. Inoltre le iniziali delle singole strofe indicano il nome dell’autore (acrostico), preceduto spesso dall’aggettivo "umile". Una preghiera in riferimento ai fatti celebrati o evocati conclude l’inno. Terminata la lettura biblica, Romano cantava il Proemio, per lo più in forma di preghiera o di supplica. Annunciava così il tema dell’omelia e spiegava il ritornello da ripetere in coro alla fine di ciascuna strofa, da lui declamata con cadenza a voce alta.

Un esempio significativo ci è offerto dal kontakion per il Venerdì di Passione: è un dialogo drammatico tra Maria e il Figlio, che si svolge sulla via della croce. Dice Maria: «Dove vai, figlio? Perché così rapido compi il corso della tua vita?/ Mai avrei creduto, o figlio, di vederti in questo stato,/ né mai avrei immaginato che a tal punto di furore sarebbero giunti gli empi/ da metterti le mani addosso contro ogni giustizia». Gesù risponde: «Perché piangi, madre mia? [...]. Non dovrei patire? Non dovrei morire?/ Come dunque potrei salvare Adamo?». Il figlio di Maria consola la madre, ma la richiama al suo ruolo nella storia della salvezza: «Deponi, dunque, madre, deponi il tuo dolore:/ non si addice a te il gemere, poiché fosti chiamata "piena di grazia"» (Maria ai piedi della croce, 1-2; 4-5). Nell’inno, poi, sul sacrificio di Abramo, Sara riserva a sé la decisione sulla vita di Isacco. Abramo dice: «Quando Sara ascolterà, mio Signore, tutte le tue parole,/conosciuto questo tuo volere essa mi dirà:/- Se chi ce l’ha dato se lo riprende, perchè ce l’ha donato?/[...] - Tu, o vegliardo, il figlio mio lascialo a me,/e quando chi ti ha chiamato lo vorrà, dovrà dirlo a me» (Il sacrificio di Abramo, 7).

Romano adotta non il greco bizantino solenne della corte, ma un greco semplice, vicino al linguaggio del popolo. Vorrei qui citare un esempio del suo modo vivace e molto personale di parlare del Signore Gesù: lo chiama "fonte che non brucia e luce contro le tenebre" e dice: «Io ardisco tenerti in mano come una lampada;/ chi porta, infatti, una lucerna fra gli uomini è illuminato senza bruciare./ Illuminami dunque, Tu che sei la Lucerna inestinguibile» (La Presentazione o Festa dell’incontro, 8). La forza di convinzione delle sue predicazioni era fondata sulla grande coerenza tra le sue parole e la sua vita. In una preghiera dice: «Rendi chiara la mia lingua, mio Salvatore, apri la mia bocca / e, dopo averla riempita, trafiggi il mio cuore, perché il mio agire/ sia coerente con le mie parole» (Missione degli Apostoli, 2).

Esaminiamo adesso alcuni dei suoi temi principali. Un tema fondamentale della sua predicazione è l’unità dell’azione di Dio nella storia, l’unità tra creazione e storia della salvezza, l’unità tra Antico e Nuovo Testamento. Un altro tema importante è la pneumatologia, cioè la dottrina sullo Spirito Santo. Nella festa di Pentecoste sottolinea la continuità che vi è tra Cristo asceso al cielo e gli apostoli, cioè la Chiesa, e ne esalta l’azione missionaria nel mondo: «[...] con virtù divina hanno conquistato tutti gli uomini;/ hanno preso la croce di Cristo come una penna,/ hanno usato le parole come reti e con esse hanno pescato il mondo,/ hanno avuto il Verbo come amo acuminato,/ come esca è diventata per loro/ la carne del Sovrano dell’universo» (La Pentecoste 2;18).

Altro tema centrale è naturalmente la cristologia. Egli non entra nel problema dei concetti difficili della teologia, tanto discussi in quel tempo, e che hanno anche tanto lacerato l’unità non solo tra i teologi, ma anche tra i cristiani nella Chiesa. Egli predica una cristologia semplice ma fondamentale, la cristologia dei grandi Concili. Ma soprattutto è vicino alla pietà popolare – del resto, i concetti dei Concili sono nati dalla pietà popolare e dalla conoscenza del cuore cristiano – e così Romano sottolinea che Cristo è vero uomo e vero Dio, ed essendo vero Uomo-Dio è una sola persona, la sintesi tra creazione e Creatore: nelle sue parole umane sentiamo parlare il Verbo di Dio stesso. «Era uomo – dice – il Cristo, ma era anche Dio,/ non però diviso in due: è Uno, figlio di un Padre che è Uno solo» (La Passione 19). Quanto alla mariologia, grato alla Vergine per il dono del carisma poetico, Romano la ricorda alla fine di quasi tutti gli inni e le dedica i suoi kontáki più belli: Natività, Annunciazione, Maternità divina, Nuova Eva.

Gli insegnamenti morali, infine, si rapportano al giudizio finale (Le dieci vergini [II]). Egli ci conduce verso questo momento della verità della nostra vita, del confronto col Giudice giusto, e perciò esorta alla conversione nella penitenza e nel digiuno. In positivo, il cristiano deve praticare la carità, l’elemosina. Egli accentua il primato della carità sulla continenza in due inni, le Nozze di Cana e le Dieci vergini. La carità è la più grande delle virtù: «[...] dieci vergini possedevan la virtù dell’intatta verginità,/ ma per cinque di loro il duro esercizio fu senza frutto./ Le altre brillarono per le lampade dell’amore per l’umanità,/ per questo lo sposo le invitò» (Le dieci Vergini, 1).

Umanità palpitante, ardore di fede, profonda umiltà pervadono i canti di Romano il Melode. Questo grande poeta e compositore ci ricorda tutto il tesoro della cultura cristiana, nata dalla fede, nata dal cuore che si è incontrato con Cristo, con il Figlio di Dio. Da questo contatto del cuore con la Verità che è Amore nasce la cultura, è nata tutta la grande cultura cristiana. E se la fede rimane viva, anche quest’eredità culturale non diventa una cosa morta, ma rimane viva e presente. Le icone parlano anche oggi al cuore dei credenti, non sono cose del passato. Le cattedrali non sono monumenti medievali, ma case di vita, dove ci sentiamo "a casa": incontriamo Dio e ci incontriamo gli uni con gli altri. Neanche la grande musica – il gregoriano o Bach o Mozart – è cosa del passato, ma vive della vitalità della liturgia e della nostra fede. Se la fede è viva, la cultura cristiana non diventa "passato", ma rimane viva e presente. E se la fede è viva, anche oggi possiamo rispondere all’imperativo che si ripete sempre di nuovo nei Salmi: "Cantate al Signore un canto nuovo". Creatività, innovazione, canto nuovo, cultura nuova e presenza di tutta l’eredità culturale nella vitalità della fede non si escludono, ma sono un’unica realtà; sono presenza della bellezza di Dio e della gioia di essere figli suoi.




Romano il Melode

Antologia


Hymn., 33, 15-21
«Colei che veniva a me, ha ricevuto la forza,
poiché un segreto vigore mi ha sottratto.
Perché, Simone figlio di Giovanni, tu mi dici
che una immensa folla addosso mi si accalca?
La mia divinità, essi non toccano.
Ma questa donna, nella visibil veste
la natura mia divina ha conquistato
in modo manifesto, e la salute ha avuto
gridandomi: Salvami, Signore! «.
Vedendosi non rimasta inavvertita,
cosí tra sé la donna rifletteva:
«Mi farò scorgere dal salvatore mio, Gesú,
adesso che dalle brutture mie sono mondata.
E invero adesso non ho piú paura:
per suo volere infatti io compivo questo.
Ho fatto solo quel ch`ei desiderava:
Incontro a lui son corsa con la fede
dicendogli: Salvami, Signore!
Non ignorava certo il Creatore
quel ch`io facevo, bensí pietoso
egli mi ha sopportata. Solo toccandolo,
ho vendemmiato la forza, perché lui
s`è lasciato spogliare volentieri.
Cosí ora è sparita la paura d`esser vista,
davanti a Dio gridando ch`egli è il medico
degli infermi e il salvatore d`anime, signor
della natura, al quale io dico: Salvami, Signore!
A te ho ricorso, medico mio buono,
l`obbrobrio mio alfine rigettando.

Non levar contro di me tua collera,
non adirarti contro la tua serva:
solo per tuo volere io ho agito,
poiché, ancor prima di pensare all`atto,
presente, m`assistevi e m`incitavi a farlo.
Sapevi che il cuor mio gridava: Salvami, Signore!».
«Donna, coraggio ormai che per la fede
e col mio assenso tu mi hai spogliato.
Rassicurati ora, perché non è per farti biasimare
che in mezzo a tanta gente t`ho condotto,
ma per dar loro sicurezza: quando mi si spoglia
io mi rallegro, non muovo alcun rimbrotto.
Resta in buona salute, tu che in tutto il tuo male
mi gridavi: Salvami, Signore!
Non opra di mia mano è questo, ma della fede tua.
Molti infatti han toccato la mia veste,
senza però ricever forza, perché la fede non portavan seco.
Tu che con molta fede m`hai toccato,
hai colto della salute il frutto;
ecco perché davanti a tutti t`ho portato,
per farti dire ancora: Salvami, Signore!».
O Figlio incomprensibile di Dio, incarnato
per noi per amor dell`uomo,
come la donna dal suo sangue hai liberata,
cosí libera me dai miei peccati,
tu che unico senza peccato sei.
Per le preci e le suppliche dei santi,
inclina il cuore mio o sol potente,
alla meditazione incessante della tua parola,
sí che tu possa salvarmi.
Hymn. 19, 4-5
Cosa insegna dunque la Bibbia? Cristo, essa ci dice, dal quale sgorga una sorgente di vita per gli
uomini, affaticato dal viaggio, stava seduto (cf. Gv 4,5-6) presso una fonte di Samaria, ed era l`ora del
caldo: era infatti circa l`ora sesta, dice la Scrittura, nel mezzo del giorno, quando il Messia venne ad
illuminare coloro che erano nella notte. La sorgente raggiunse la sorgente per lavare, non per bere; la
fontana d`immortalità è là accanto al ruscello della miserabile, come spogliata; egli è stanco di
camminare, lui che, senza fatica, ha percorso il mare a piedi, lui che accorda gioia e redenzione.
Ora, proprio mentre il Misericordioso stava vicino al pozzo, come ho detto, ecco che una
Samaritana prese la sua brocca sulle spalle e venne, uscendo da Sichar, sua città (cf.Gv 4,7). E chi non
dirà felice la partenza e il ritorno di quella donna? Ella uscì nel sudiciume, e ritornò immagine della
Chiesa, senza macchia. Uscì e attinse la vita come una spugna; uscì portando la brocca, rientrò portando
Dio. E chi non dirà beata quella donna? O meglio, chi non venererà colei che è venuta dalle nazioni?
Infatti, ella è immagine, e riceve gioia e redenzione.

Hymn., 32, 6.8-12
Con palme i bambini ti lodano,
chiamandoti figlio di David:
avevan ragione, o Maestro,
perché tu l`insolente hai ucciso
Golia spirituale.
Le danzatrici dopo la vittoria
cosí l`acclamarono:
Saul mille ne uccise, David diecimila (cf. 1Sam 18,6-7).
Questo la Legge sta a dire,
e dopo la tua grazia, o mio Gesú.
La Legge è Saul geloso che perseguita;
però su David perseguitato
sboccia il frutto di grazia,
poiché di David il Signor tu sei,
o Benedetto, venuto a richiamare Adamo...
Tu la forza manifesti
eleggendo l`indigenza.
Segno di povertà fu quello
infatti di sedersi sopra un asinello,
mentre con la tua gloria
fai vacillare Sion.
Le vesti dei discepoli eran certo
un marchio d`indigenza,
ma l`inno dei bambini e delle folle il grido (cf. Mt 21,9)
eran di tua potenza il segno:
«Osanna nell`alto dei cieli» - ovvero:
Salvaci alfine; Salva, o Altissimo, gli oppressi.
Abbi pietà di noi, per queste palme;
I rami che si agitano il tuo cuore toccheranno,
tu che venuto sei per richiamare Adamo.
Adamo per noi contrasse,
mangiando il non dovuto,
il debito che ci opprime,
e fino ad oggi, al posto suo vien chiesto
a noi suoi discendenti.
Impadronirsi di sua vittima
dal creditor fu ritenuto poco;
incombe allor sui figli
reclamando del padre il debito,
svuota del debitor la casa,
tutti menando fuori.
A colui che è onnipotente
perciò noi ricorriamo:
conoscendo la nostra spoliazione,
assumiti tu il nostro debito,
tu ricco qual sei,
tu che venuto sei per richiamare Adamo.
Per liberare gli uomini venisti,

testimone il profeta Zaccaria,
che dolcissimo, giusto e salvatore,
un tempo t`ha chiamato (cf. Zc 9,9).
Esausti e vinti siamo,
scacciati dappertutto.
Nella Legge credemmo intravedere
un liberator, però in servaggio
essa ormai ci ha ridotti;
quindi appello ai profeti
facemmo e sulla speranza ci han lasciati.
Per questo coi bambini
ci gettiamo ai tuoi piedi:
pietà di noi, oppressi;
consenti a subir la croce e la sentenza
tu della morte lacera,
tu che venuto sei per richiamare Adamo.
«O creatura della mano mia -
risponde il Creatore a quelli che sí gridano -,
sapendo che la Legge non aveva
potere di salvarti,
lo stesso son venuto.
A]la Legge salvarti non spettava,
perché non è lei che t`ha creato;
né dei profeti compito,
che creature mie come te erano.
Solo a me spetta d`affrancarti
dal debito oppressore.
Per te sono venduto, e sí ti libero;
per te son crocifisso, e dalla morte scampi;
muoio, cosí a gridar ti insegno:
Benedetto tu sei
tu che venuto sei per richiamare Adamo.
Ho forse io amato tanto gli angeli?
No, sei tu, il meschino, che io ho preferito.
La mia gloria offuscai,
e ricco, liberamente povero mi feci,
per amor tuo.
Per te ho sofferto
fame, sete e fatica.
Per monti, valli e per burroni ho corso,
pecorella smarrita, per cercarti;
nome di agnello presi
per ricondurti, attratta da mia voce;
e di pastore, per dare la mia vita
per te, e sottrarti al lupo.
Tutto perché tu gridi io sopporto:
Benedetto tu sei,
tu che venuto sei per richiamare Adamo».


Hymm., 39, 1-4.6 s.
Quel Legno tre volte benedetto,
Quel dono che arrecava la vita
Fu dall`Altissimo in mezzo al paradiso
Piantato perché Adamo vi trovasse,
Eterno, la vita senza morte.
Ma questi non cercò di riconoscere
La vita che in dono gli era data,
Se la lasciò sfuggire inoculato
E assaporò la morte (cf. Gen 2,9; 3,22).
Per contro, il ladro nel veder la pianta
Felicemente dall`Eden trapiantata
Sul Golgota, la vita riconobbe
Insita in essa, entro di sé dicendo:
«Questo un dí perdette l`antenato mio».
Infatti, quand`egli sul Legno fu innalzato,
Giustificato dalla confessione della fede
Allor si apriva l`occhio del suo cuore (cf. Gen 3,7);
E le delizie contemplò dell`Eden.
Al centro vide splender la figura
Che della Croce gli parea sembiante.
Per lui io sono di lassú disceso,
Nell`amor mio per l`uomo;
Per misericordia volli riscattar suo seme.
Per lui maledizione mi son fatto,
Dalla Maledizion traendo Adamo e i suoi.
Dal legno la trasgression s`impose
All`antenato e per sua cagion dall`Eden
Da malfattore venne un dí scacciato;
Or vi rientra grazie al Legno della vita.
Pur tu, primo, rientravi con lui.
Quando erede nel Regno tuo sarai,
Chiama i mortali e accoglivi i fedeli:
Oggi, infatti, con me tu v`entrerai,
Con me nel paradiso in grande gioia
Oggi entrerai...
Il ladro a tali ordini obbedendo,
Come il tutto Misericordia aveva detto,
L`emblema della grazia sulle spalle pose;
Nel proceder il dono della Croce celebrava
E cantava ininterrotto un canto nuovo (cf. Sal 32,3):
«Tu dell`anime infeconde sei l`innesto,
Tu sei l`aratro, util strumento che purifica il pensiero,

Sana radice della vita mia risorta,
Di castigo la verga che colpisce Adamo
Nemico, e riapri la porta di delizie
D`Adamo un tempo dalla colpa chiusa,
Colpa da lui commessa in paradiso.
Vita totale in grazia ci hai donato,
O Legno per tre volte benedetto,
A me e all`uman specie che il possesso
Han di tua grazia. Il vincastro tu sei
Che conduce alla vita i peccatori
Pronti ad accoglierti in intima dimora;
Come ventilator sei rivelato
Che la paglia, abile, sull`aia disperde
E sul fuoco Si getta mentre il grano
In granai capienti si raccoglie.
Tu degli Ebrei sei il giogo
Domatore che quei selvaggi frena.
Tu per la barca della santa Chiesa,
Che in Cristo siede, sei il divino remo
Che dritto al paradiso l`alme mena,
Giuste e fedeli...».
Carmen XL, De resurrect., 12
Che la lingua pubblichi ormai queste cose, o donna, e le spieghi ai figli del Regno che attendono
che io, il Vivente mi risvegli. Corri, o Maria, a radunare in fretta i miei discepoli. Io ho in te una tromba
dalla voce possente: suona un canto di pace alle orecchie timorose dei miei amici nascosti; quasi da
sonno tutti risvegliali, perché vengano al mio incontro e che accendano le torce. Va` a dire: «Lo sposo si
è svegliato, uscendo dalla tomba, senza nulla lasciare dentro la tomba. Scacciate da voi, o apostoli, la
mortale tristezza, poiché si è svegliato colui che offre agli uomini decaduti la risurrezione».
Carmen 41, 13.18-20
Il re, Cristo, aveva a guardia un esercito. All`esterno del sepolcro, dei soldati; all`interno, era la
battaglia di Cristo contro la Morte, dove l`uno si impadroniva del potere, dove l`altra era decaduta dal
proprio; dove l`uno si impadroniva degli schiavi dell`Inferno, dove l`altra urlava ai suoi sottoposti:
«Gridiamo: Il Signore è risuscitato!»...
- Ora, la notte è passata; sí, è realmente passata -, e ciò che tu hai detto poc`anzi è vero, amico
mio: il morto di poco fa è ora luminoso. E` questi che dall`interno ha rovesciato la pietra, è lui che ci ha
spaventati con le sue parole; poiché egli è terrificante. Egli porta la luce, diffonde la luce, è luce. Senza
dubbio è un figlio della luce, e della luce è servitore, [come ce lo provano] le parole che ha gridato alle
donne: «Il Signore è risorto!».
Ecco la loro fossa, e la nostra ricompensa; la vergogna degli empi, nostro titolo di gloria; la piaga
che è in loro, la vita che è per noi: si è che il Signore è veramente risorto. Le guardie del sepolcro han sí

potuto ricevere dei soldi per tacere, le pietre lo grideranno piú forte: «Pietra staccata senza ausilio di
mani nella montagna, che si leva dalla tomba come un tempo dal seno materno, il Signore è risorto!».
Tu, Signore, dal seno sei venuto senza il seme, lasciando alla Vergine i segni della verginità, come
oggi hai distrutto attraverso la tomba l`impero della tomba. Abbandonato alla tomba il lenzuolo di
Giuseppe, hai ripreso alla tomba quello di colui che aveva generato Giuseppe: Adamo è venuto al tuo
seguito; Eva ha camminato sui tuoi passi. Di Maria, Eva è la serva; tutta la terra ti adora, cantando l`inno
di vittoria: «Il Signore è risorto!»
Carmen X, Proimion, 1, 2
Betlemme ha riaperto l`Eden, vedremo come. Abbiamo trovato le delizie in un luogo nascosto,
nella grotta riprenderemo i beni del Paradiso. Là, è apparsa la radice da nessuno innaffiata da cui è
fiorito il perdono. Là, si è rinvenuto il pozzo da nessuno scavato, dove un tempo David ebbe desiderio di
bere. Là, una vergine, con il suo parto, ha subito estinto la sete di Adamo e la sete di David.
Affrettiamoci dunque verso quel luogo dove è nato, piccolo bambino, il Dio che è prima dei secoli.
Il padre della madre è, per sua libera scelta, divenuto suo figlio; il salvatore dei neonati è un
neonato egli stesso, coricato in una mangiatoia. Sua madre lo contempla e gli dice: «Dimmi, figlio mio,
come sei stato seminato in me, come sei stato formato? Io ti vedo, o carne mia, con stupore, poiché il
mio seno è pieno di latte e non ho avuto uno sposo; ti vedo avvolto in panni, ed ecco che il sigillo della
mia verginità è sempre intatto: sei tu infatti che l`hai custodito quando ti sei degnato di venire al
mondo, bambino mio, Dio [che sei] prima dei secoli».
Inno XXXII,2.4.5. S Ch128.
Affrettiamoci oggi a partecipare al banchetto, se siamo stati giudicati degni dell’ingresso nella gioia del
Padre. Siamo commensali del Re dei secoli: egli ci offre il pane che dà la beatitudine, e, come bevanda, il
sangue santo che procura la vita incorrotta e infinita.
Anche gli angeli vi assistono. Vediamo come è stato: primo a sedersi alla tavola è lo stesso Signore che ci
ha attirati a sé; seguono i patriarchi, il coro degli apostoli, i profeti con i martiri. Accanto ad essi, ecco il
prodigo, al posto assegnatogli dal Padre, padrone dei secoli e Signore.
Il Salvatore di tutti, nel vedere il figlio ricoperto di una veste macchiata, fu sopraffatto dalla
compassione e gridò: Presto, date a mio figlio la più bella tunica, quella che il fonte battesimale intesse
per tutti e che la grazia del mio Spirito produce. Porgetela in fretta. Rammentate come fu che, quando
egli ne era vestito, fu il nemico a strappargliela di dosso. Io lo vidi e non consento che sia in disprezzo la
nudità di lui, non sopporto di vedere così ridotta la divina mia immagine, perché diviene mia onta
l’obbrobrio del figlio mio e la gloria del figlio mio reputo gloria mia.
Affrettatevi, schiavi e miei servitori, restituite alle sue membra la loro bellezza, Perché esse sono
oggetto del mio amore. Mi sembra fuor di luogo vedere negletto e disadorno, colui che accorre a me
pentito e si è fatto degno del mio perdono. Vestitelo della tunica della grazia: è comando del padrone
dei secoli e Signore.
Inno 36,circa 18. S Ch circa 221s.
La creatura della terra stava per perire di sete; consunta dal calore infocato, errava nel deserto
senz'acqua e, disgraziata, non trovava nulla per estinguere la sua sete. Allora il mio Salvatore, fonte di
ogni bene, fece scaturire fiumi di vita, esclamando: Dal tuo ventre ti venne la sete; bevi al mio fianco e

non avrai mai più sete. Duplice è il torrente che ne scaturisce: esso lava e disseta gli uomini insozzati,
perché Adamo ritrovi la gloria.
Perciò nessuno dica che il ventre di Cristo era soltanto quello di un uomo, perché Cristo era uomo e Dio,
ma senza dividersi in due; egli è uno, figlio di un unico Padre. Lo stesso sofferse, lo stesso non soffrì: lo
stesso che subì la morte e ad essa non fu soggetto: vivente nella sua divinità, egli muore nel suo corpo
come uomo.
Di lui fu figura il patriarca Isacco sul monte: sgozzato nell'agnello, ridiscese vivo, come il mio Salvatore,
perché Adamo ritrovi la gloria.
Un'altra figura di Gesù fu il profeta Giona nel ventre del mostro. Fu inghiottito, non digerito, come il
Signore nel sepolcro; Giona usci dal mostro dopo tre giorni, così come Cristo dal sepolcro; Giona salvò
Ninive con la sua predicazione, Cristo ha riscattato la terra e il mondo interi. Tutto quello che ci aveva
predetto per mezzo dei profeti, è venuto a compierlo perché Adamo ritrovi la gloria.
Canta, creatura terrena, celebra colui che ha sofferto, che è morto per te, e quando fra non molto lo
contemplerai vivente, accoglilo nel tuo cuore. Ché Cristo deve rialzarsi dalla tomba e rinnovarti, o uomo.
Preparagli dunque un'anima pura, perché facendosela sua dimora, il tuo re la renda un cielo. Ancora
pochissimo ed egli verrà a colmare di gioia gli afflitti, perché Adamo ritrovi la gloria.
Inno 36,circa 18. S Ch circa 221s.
La creatura della terra stava per perire di sete; consunta dal calore infocato, errava nel deserto
senz'acqua e, disgraziata, non trovava nulla per estinguere la sua sete. Allora il mio Salvatore, fonte di
ogni bene, fece scaturire fiumi di vita, esclamando: Dal tuo ventre ti venne la sete; bevi al mio fianco e
non avrai mai più sete. Duplice è il torrente che ne scaturisce: esso lava e disseta gli uomini insozzati,
perché Adamo ritrovi la gloria.
Perciò nessuno dica che il ventre di Cristo era soltanto quello di un uomo, perché Cristo era uomo e Dio,
ma senza dividersi in due; egli è uno, figlio di un unico Padre. Lo stesso sofferse, lo stesso non soffrì: lo
stesso che subì la morte e ad essa non fu soggetto: vivente nella sua divinità, egli muore nel suo corpo
come uomo.
Di lui fu figura il patriarca Isacco sul monte: sgozzato nell'agnello, ridiscese vivo, come il mio Salvatore,
perché Adamo ritrovi la gloria.
Un'altra figura di Gesù fu il profeta Giona nel ventre del mostro. Fu inghiottito, non digerito, come il
Signore nel sepolcro; Giona usci dal mostro dopo tre giorni, così come Cristo dal sepolcro; Giona salvò
Ninive con la sua predicazione, Cristo ha riscattato la terra e il mondo interi. Tutto quello che ci aveva
predetto per mezzo dei profeti, è venuto a compierlo perché Adamo ritrovi la gloria.
Canta, creatura terrena, celebra colui che ha sofferto, che è morto per te, e quando fra non molto lo
contemplerai vivente, accoglilo nel tuo cuore. Ché Cristo deve rialzarsi dalla tomba e rinnovarti, o uomo.
Preparagli dunque un'anima pura, perché facendosela sua dimora, il tuo re la renda un cielo. Ancora
pochissimo ed egli verrà a colmare di gioia gli afflitti, perché Adamo ritrovi la gloria.
Inno XXIV,proemio e strofe 6.1-16.17.20.22.
0 Misericordioso, libera noi, che nutri della tua carne, dalla carestia e da ogni necessità;
Cristo, nostro Dio, per le preghiere della Madre di Dio,rendici degni dei tuoi beni eterni, perché tu sei,
Salvatore, il pane celeste dell'immortalità.Il Dio dell'universo guariva gli afflitti,
e medicava anche la malattia dell'anima mediante la sua potenza sovrana.
Lui, il ricco erede, si associava come eredi tutti i poveri,se appena questi lo avessero voluto.
Mentre annunziava alla folla la buona novella, la misura della giornata inclinava verso il tramonto.
I presenti, digiuni, erano saziati dagli insegnamenti e vedevano nel Cristo il pane celeste
dell'immortalità.

Ascoltiamo bene ciò che il Signore rispose ai discepoli: "Se siete preoccupati ebbene, date alimenti e
pani agli affamati. Essi non hanno bisogno di acquistare cibarie da altri. Sono lo solo a prendermi cura di
tutti, io il Creatore: perché sono buono, e sono Dio da tutta l'eternità, e ad ogni carne procuro ogni
sorta di alimento. Voi, considerando la folla, vi preoccupate senza pensare al Dispensatore, a me che
dall'alto dei cieli mi offro a tutti, procurando il pane celeste dell'immortalità. Ciò che pensate nel vostro
intimo in questo momento io già lo so: alla vista del popolo, del luogo, dell'ora, voi pensate: Chi darà da
mangiare a tutta la folla nel deserto?. Ebbene, sappiate chi sono io, o amici: sono io che ho nutrito
Israele nel deserto e ho dato loro un pane dal cielo; ho fatto io sgorgare l'acqua dalla roccia di un luogo
arido e, per di più, ho procurato loro quaglie in abbondanza, perché lo sono il pane celeste
dell'immortalità".
"La mia parola o la mia volontà possono salvare il mondo. Perché sappiate di quale potere io posso
disporre in questo momento, ebbene fate sedere senza indugio e ordinatamente i bambini, gli uomini e
anche tutte le donne. lo sono Dio e renderò il deserto fertile; ad un solo cenno farò crescere i frutti.
Siate miei operai, siate miei servitori, e io alimenterò la folla, perché solo io, offerto a tutti, sarò il pane
celeste dell'immortalità". Alle parole di Cristo, gli apostoli si affrettarono: secondo il suo comando,
fecero sedere la folla all'istante in buon ordine, come conveniva. L'erba serviva loro da letto e da tavolo
ad un tempo. Allora Cristo fece portare i cinque pani e disse, alzando gli occhi verso il Padre: 'Te opere
che compio sono tue: sono il tuo Figlio, perché dal principio ho creato l'universo insieme con te e con lo
Spirito, io, che sono il pane celeste dell'immortalità".
Come da padroni, i servi di Cristo aspettavano seduti il servitore Gesù che si presentò senza indugio. Il
Maestro benedisse i cinque pani, dicendo con voce senza suono: "Crescete e moltiplicatevi per i sensi, e
alimentate ora tutti i convitati". Subito i pani obbedirono al Signore. Si riproducevano invisibilmente,
come aveva detto loro Cristo, che è il pane celeste dell'immortalità. Moltiplica allo stesso modo, in noi
tutti, o Salvatore, gli aspetti molteplici della tua misericordia. E come allora hai saziato con la tua
sapienza la moltitudine nel deserto e l'hai alimentata con la tua potenza, sazia di giustizia anche noi
tutti, consolidando la fede che abbiamo in te, Signore. Alimentaci tutti, o pietoso, e donaci la grazia e il
perdono dei nostri errori, per le preghiere della Madre di Dio. Tu solo, infatti, sei il Cristo, il solo
misericordioso, ed il pane celeste dell'immortalità.

* * *

(*): Su Romano il Melode in questo blog vedi anche:
11 Giu 2011
Riporto da "L'Osservatore Romano" di oggi 11 giugno, a firma di Manuel Nin. La Pentecoste nell'innografia di Romano il Melode ... Romano il Melode ha un kontàkion di 18 strofe, che segue quello per l'Ascensione. All'inizio ...
19 Nov 2010
Romano il Melode, il più grande innografo bizantino, immagina il dialogo tra Gesù e Sua Madre ai piedi della croce. Maria chiede al Figlio il perchè della sofferenza, della passione, della morte e della morte di croce. ...