sabato 2 febbraio 2013

Che Dio ci aiuti!



Oggi è la ”Giornata della Vita” col titolo “Generare la vita vince la crisi”.
Da qualche ora, per sigolarissima concomitanza:
l'Assemblea nazionale francese ha approvato l'articolo primo del progetto di legge che legalizza i matrimoni omosessuali, con 249 voti favorevoli e 97 contrari: si tratta dell'articolo più importante, dal momento che definisce il matrimonio come "contratto da due persone di sesso diverso oppure del medesimo". 

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Di seguito l'intervento del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della CEI, in occasione della Veglia per la Vita, che si è svolta ieri sera nella Cattedrale di San Lorenzo del capoluogo ligure.
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Cari Fratelli e Sorelle

1.        L'annuale veglia per la vita è l'occasione non solo per pregare il Dio della vita, ma altresì per riflettere e diventare più responsabili. E' l'occasione per far crescere la nostra fede, perché sia un po' più pensata e quindi consapevole. Ricordando l'affermazione del beato Giovanni Paolo II per cui la fede deve diventare cultura. Ciò significa in concreto che la fede ha bisogno di essere nutrita poiché è "cosa viva", così come lo è l'amore: potremmo dire che credere è decidere di lasciarci amare da Dio in Gesù. E allora, se la fede è amore, l'amore o si nutre della verità oppure si alimenta delle nostre illusioni, cioè di noi stessi; non si apre alla verità dell'altro ma resta ripiegato su di noi. Dunque non è amore.

2.        La vita ci rimanda innanzitutto alla sua origine: Dio, che è la Vita, crea la vita dell'universo e, nell'universo, crea l'uomo e la donna. La vita è dunque un dono e quindi una responsabilità, un compito a partire dall'essere grazia ricevuta. Questo dato è illuminato dalla Rivelazione divina, ma è anche un' esperienza universale: nessuno si dà la vita e quindi nessuno se la può togliere e tanto meno la può togliere ad altri. Una certa cultura di tipo scientista e tecnologico oggi permette all'uomo di fare cose fino a ieri impensabili: e questo è una conquista della ragione e della ricerca. Ma la grande possibilità di "fare", che la tecnologia permette all'uomo, si sta trasformando in una nuova categoria culturale che è il "farsi" dell'uomo, come se egli potesse mutare a piacimento il suo stesso essere, la sua natura. Come se potesse scegliere, di volta in volta, chi essere e come essere senza nessun vincolo antropologico ed etico. E' legittimo chiedersi allora quale tipo di società ne risulterebbe: se più umana o se più disumana.

3.       Il bene della vita è la premessa di ogni altro bene, e ne è anche il fondamento: il diritto, infatti, presuppone un soggetto di diritto, il suo esserci concreto! Ecco perché la vita umana è il primo dei principi primi, il valore che fonda gli altri valori. E' questo un dato della fede cristiana, ma anche della ragione. Ecco perché la Chiesa non si stanca di affermarne il primato per difendere la dignità della persona e il volto vero della società. Non è una posizione di tipo confessionale, quasi si voglia imporre una morale religiosa allo Stato laico, ma un dato di universale evidenza anche se – come tutto ciò che di vero e di buono esiste – è ripreso, valorizzato e compiuto nel mistero di Gesù, Figlio di Dio.

4.      In particolare, viene proclamato il valore della vita fragile e indifesa. Nella vita terrena di Cristo emerge la sua particolare attenzione verso i bisognosi. E nella luce della croce risplende in modo drammatico la beatitudine dei poveri, l'amore di Dio verso il mondo, e la sua predilezione verso i più deboli. Dal cuore trafitto di Gesù scaturisce la grazia che salva, e la via dell'umanità vera. La fotografia realistica di una società è determinata anzitutto dal suo rapportarsi virtuoso non verso i soggetti efficienti, produttivi e gagliardi, ma verso i più bisognosi e indifesi. Sta qui la sua prima e incancellabile verità. E non intermini di assistenza, ma di giustizia che è lo scopo della buona politica. La vita fragile interpella, dunque, non solo la famiglia – quante le famiglie che si fanno carico con amore e sacrificio dei loro malati giovani o anziani che siano! – ma interpella la società intera, nel suo insieme. Chiede alla comunità e ai suoi apparati istituzionali di non essere abbandonata ma presa in carico: chiede di essere presa a cuore. E' evidente che ciò rappresenta un impegno per la collettività in termini di risorse economiche, assistenziali e strutturali; così come è evidente che tali vite spesso non avranno da ricambiare con compensi o consenso. Ma la vera ricompensa sta nel fatto che lo Stato avrà fatto il proprio dovere, semplicemente pago di essere umano. Ecco perché, quando si giunge di fronte alla porta dei fondamentali dell'umano, non sono ammissibili silenzi, reticenze o ambiguità di alcuno, persone e istituzioni: si è arrivati al "dunque". Ognuno deve dire chiaramente che volto intende dare allo Stato: se quello di una comunità di persone oppure di un groviglio di interessi; se un agglomerato di individui o una rete di relazioni su cui ciascuno sa di poter contare, specialmente nelle fasi di maggiore fragilità. Quale garanzie potrà dare uno Stato, e quali motivazioni e forze potrà avere per soccorrere e sostenere l'uomo nelle diverse fasi della sua vita adulta, se si avvia verso la negazione e la soppressione della vita più piccola e più debole? (cfr Benedetto XVI, Caritas in veritate, 28). E dietro a certe posizioni di non accoglienza e di abbandono, quanto pesano da parte della società le considerazioni di tipo economico? Può l'uomo, nel suo principio come nel suo tramonto, essere pesato in termini di costi e ricavi? Detto in altro modo: mettendo sul piatto quanto produce e quanto pesa sul bilancio sociale? Se la persona non è mantenuta al primo posto rispetto all'economia e alla finanza, lo Stato diventa disumano e la società, anche se ricca, diventa poverissima e si condanna alla morte.

5.      Ma – per essere completi – non basta che le istituzioni dello Stato garantiscano assistenza e risorse tramite strutture oppure significativi contributi alle famiglie. E' necessario che l'intero corpo sociale se ne prenda cura. Come in concreto? Bisogna che le persone e i gruppi entrino con discrezione e amore nei luoghi di accoglienza, e – se possibile - nelle famiglie, per portare se stessi, la propria presenza: affetto e attenzione, ascolto e parola, sguardo e sorriso. Questo capitale di ordine spirituale non può essere assicurato per legge, ma solo può nascere dal cuore di ognuno, un cuore e una coscienza educati alla scuola di Dio. Le nostre comunità cristiane dovrebbero essere in prima fila in una gara di fraternità, coscienti di dover donare e di poter ricevere. E così cresce la vita e la nostra fede diventa più vera. I gruppi del catechismo, delle aggregazioni, dovrebbero assumere questa pedagogia umile e concreta della carità, che si accorge innanzitutto dei più vicini i quali, a volte, diventano i più lontani e invisibili. Ecco una società che si prende a cuore a proprio modo, insieme ad uno Stato umanistico, i più fragili nella vita. E quindi diventa sempre più capace di accompagnare le fasi difficoltose della vita adulta.

        Chiediamo al Signore della vita il dono di una fede più consapevole delle sue implicazioni sociali e pubbliche; chiediamo alla Santa Vergine, Madre dell'Amore, che ci aiuti a non oscurare il senso della gratuita e del dono. 

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L'articolo che segue è di padre Piero Gheddo, a proposito di veri e falsi profeti.
Il rapporto di Dio con l’uomo avviene attraverso i profeti, che hanno ricevuto il compito di trasmettere la parola e la volontà di Dio a Israele e poi a tutti gli uomini. La prima lettura nella messa di oggi è del profeta Geremia, formato e consacrato fin dal seno materno, che nel 650 prima di Cristo aveva predetto l’esilio del popolo in Babilonia, poi è incarcerato e battuto, deve scappare in Egitto e in seguito viene ucciso. Non era creduto. Lo stesso è poi successo a Gesù, il Figlio di Dio e massimo profeta. Il Vangelo riferisce cosa dicevano di Gesù: non è il figlio di Giuseppe, cioè di un falegname? Quello che hai fatto a Cafarnao fallo anche qui e ti crediamo… Anche lui non era creduto. Gesù aggiunge: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”.

1. Ma chi è il profeta? Non colui che predice il futuro come fanno gli indovini, i cartomanti e quelli che leggono le stelle e predicono il futuro con gli oroscopi. Per la Bibbia il profeta è chi parla in nome di Dio, chi annunzia la verità che viene da Dio.
Dio ha voluto servirsi degli uomini per trasmettere i suoi messaggi, la sua volontà, non solo nell’Antico Testamento, ma anche nel Nuovo. Gesù si è fatto uomo per farci conoscere il volto di Dio, per trasmettere la volontà di Dio e dopo di lui i Papi, i vescovi e tutti quelli che nella Chiesa parlano in nome di Dio. 

Ma solo l’uomo Gesù Cristo era perfetto, tutti gli altri dopo di lui sono imperfetti, deboli, peccatori. Noi preti parliamo dal pulpito, abbiamo l’autorità di parlare in nome di Dio, ma per carità, come uomini non siamo credibili, specialmente quando diciamo cose che vanno contro corrente e richiedono la conversione. Anche i santi riconosciuti dalla Chiesa avevano i loro difetti e a volte non erano creduti. Spesso si crede di più ai falsi profeti, che non a quelli autentici mandati da Dio.

2. Perché Dio ha voluto servirsi degli uomini e non degli angeli? Il motivo è facile da capire. La fede è un dono di Dio ma è anche libera scelta dell’uomo, perché Dio ci dà tanti motivi per credere e tanti motivi per non credere. Siamo sempre liberi di credere o non credere. Noi dobbiamo credere al Vangelo, al Papa e ai vescovi che parlano in nome di Dio, di Gesù Cristo e con l’assistenza dello Spirito Santo.

Oggi è la ”Giornata della Vita” col titolo “Generare la vita vince la crisi”. L’Italia soffre per le poche nascite, perché non hanno creduto a Paolo VI che profetizzava in nome di Dio.
Nel 1950, Pio XII pubblicò l’enciclica “Humani generis” che parlava del monogenismo: gli uomini discendono tutti dall’unica prima coppia Adamo ed Eva. E condannava il “poligenismo”, cioè la teoria secondo cui gli uomini vengono da molti progenitori: quindi il “peccato originale” non ha senso. Pio XII parlava in nome di Dio, ma non fu creduto. Oggi il peccato originale è considerato da molti una favola, un mito del passato, in molti si è affermata l’idea dell’Illuminismo, che distrugge alla base la Redenzione portata da Cristo: l’uomo nasce buono, lo corrompe la società.

Nel 1968 Paolo VI pubblicò l’enciclica “Humanae Vitae”, “sulla regolazione della natalità e sulla procreazione responsabile”. In sintesi Paolo VI affermava che “qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita” (n. 11) e condannava, oltre all’aborto e alla sterilizzazione, “ogni azione coniugale…che si proponga come mezzo per impedire la procreazione” (n. 14): in pratica ogni metodo o mezzo contraccettivo artificiale. Paolo VI proponeva come soluzione la “procreazione responsabile” e affermava che quell’enciclica “vuole contribuire all’instaurazione di una civiltà veramente umana” (n. 18).

Era un messaggio forte e controcorrente rispetto alla cultura di quel tempo, infatti non venne accettato e fu contestato da non pochi cattolici. Mezzo secolo dopo, tutti quelli che scrivevano della “bomba demografica” e lanciavano lo slogan “Il mondo scoppia per  le troppe nascite”, scrivono che l’Italia deve produrre più bambini, altrimenti va male anche l’economia, il welfare e il benessere.

3. Anche oggi, in prossimità delle elezioni politiche, la Chiesa si interessa di bioetica. La Cei ha pubblicato un appello per questa “Giornata della vita”, dove si legge: “Il momento che stiamo vivendo pone domande serie sullo stile di vita e sulla gerarchia dei valori che emerge dalla cultura diffusa. Abbiamo bisogno di riconfermare il valore fondamentale della vita”. 
L’enciclica "Caritas in Veritate" (Cv) di Benedetto XVI (2009) congiunge il diritto alla vita allo sviluppo di ogni popolo e dell’umanità (n. 28). La “questione antropologica”, su cui tanto insistono la Santa Sede e la Conferenza episcopale italiana, diventa a pieno titolo “questione sociale” (nn. 28, 44, 75). Nella Cv i temi di bioetica sono letti in relazione allo sviluppo dei popoli. Il controllo delle nascite, l’aborto, le sterilizzazioni, l’eutanasia, le manipolazioni dell’identità umana e la selezione eugenetica sono condannati per la loro intrinseca immoralità, ma soprattutto per la loro capacità di lacerare e degradare il tessuto sociale, corrodere la famiglia (il matrimonio è solo tra un uomo e una donna!) e rendere difficile l’accoglienza dei più deboli e innocenti. “Nei paesi sviluppati - scrive Benedetto XVI (Cv 28) - le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi. L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo…” L’enciclica spiega che per lo sviluppo dell’economia e della società è indispensabile tenere “sistematicamente conto della dignità della donna, della procreazione, della famiglia e dei diritti del concepito”.

L’insistenza del Papa e dei vescovi, dalla "Humanae Vitae" di Paolo VI (1968) ad oggi, non è compresa nemmeno dai cattolici, una parte dei quali pensano che la difesa della vita e della famiglia passa in secondo piano di fronte alle drammatiche urgenze della fame, della miseria disumana, delle ingiustizie a livello mondiale e nazionale. Non capiscono il valore profetico di quanto dicono il Papa e i vescovi, che vedono nella cultura che rifiuta la vita la rottura sostanziale fra l’uomo e la Legge di Dio, con conseguenze nefaste anche per la soluzione dei problemi sociali. 

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Riporto da Radio Vaticana.


“Generare la vita vince la crisi”. E’ la sfida e tema della 35.ma Giornata nazionale della vita indetta per questa domenica dalla Cei. Nell’iniziativa s’incastona anche la campagna europea “Uno di noi” lanciata dal Movimento per la Vita. Il progetto mira a raccogliere, entro novembre, un milione di firme, al fine di attivare il legislatore dell’Ue, per tutelare il bambino sin dal concepimento. Per aderire si può andare anche sul sito www.mpv.it.Massimiliano Menichetti ha parlato di questo appuntamento con il direttore dell’Ufficio Cei della Pastorale della famiglia, don Paolo Gentili: 

R. – Oggi sembra quasi che accogliere una nuova vita implichi esclusivamente dei costi, e non si vede più il bene che è quel bambino, quella creatura che sta diventando il futuro reale. Lo fa nella sua carne, nel suo vagito, nel suo sorriso, sta mostrando che è possibile una vita realmente più umana per l’intera società. E allora, ogni bambino che nasce è per noi motivo di speranza.

D. – Nel messaggio per la Giornata, i vescovi parlano della necessità di tutelare la vita e guardano al difficile momento di crisi che vive la società…

R. – Invita ad una vera sfida: il fatto di partire dalla crisi per poter essere generativi di vita. Il che vuol dire rintracciare in questa situazione di crisi una nuova solidarietà tra le famiglie, per uno sguardo più umano, arricchito dallo sguardo della Croce di Cristo che diventa motivo di speranza. Vuol dire stare accanto a chi oggi ha perso il lavoro o chi magari vede che il lavoro fagocita tutto il tempo, per richiamarlo ad una speranza: quella di ricostruire relazioni umane significative in una società più giusta e solidale. Ciò è possibile soltanto se anche il lavoro diventa dignitoso per l’uomo, se ciascuno fa la sua parte per costruire realmente il bene comune. E in questo i cristiani sono chiamati ad essere l’anima della società. Vuol dire far scattare una novità, che è la comunione tra le famiglie. E il Papa ce lo indica: un aiuto da famiglia a famiglia. Una famiglia che assume la responsabilità di aiutare un’altra famiglia: questo è lo sguardo, anche, con cui l’Ufficio nazionale per la famiglia, insieme con Caritas italiana, sta vivendo questo tempo. Con un grandissimo progetto che coinvolgerà tutte le Chiese locali, proprio nel sostenere questo slogan: una famiglia che adotta una famiglia. Qui sta il futuro non solo di una Chiesa rinnovata, ma anche di una società che mostra la sua parte più bella.

D. – Una famiglia non può esistere se non può esistere la persona che la crea: il bambino che poi diventa adulto, l’embrione che poi nasce. E’ un po’ questa la sfida: vincere una logica di morte attraverso la costruzione di vita, di un sostegno – anche – alla famiglia …

R. – Assolutamente sì. E’ proprio l’idea che generare la vita, veramente vince la crisi. Segno ne sono le decine e decine di migliaia di bambini – ormai superano i 150 mila –nati proprio grazie a quello spazio della legge 194, spesso disatteso, che va incontro alla vita, che invita i servizi sociali ma anche l’intera comunità civile a farsi di sostegno a chi decide comunque di dar vita a quel bambino, e ha bisogno di tanto aiuto. Vediamo questo nella grande rete di volontariato – spesso di matrice cattolica – che sta sostenendo la vita in tal senso. E quando una mamma, invece di produrre quella terribile scelta che è l’aborto, che non diventa soltanto contraria alla vita in sé ma anche alla sua stessa vita, quando quella mamma fa rifiorire un’intera società. Un cristiano sa che Dio abita nel più povero, nel più limitato, nel più fragile e anche nella vita fragile: nella vita fragile dell’embrione come nella vita fragile al suo termine. E allora, ogni bambino che nasce per noi è una speranza che questa società davvero ha un vero futuro.

D. – In questa Giornata per la Vita si inserisce anche l’iniziativa che si concluderà a novembre di quest’anno: “Uno di noi”, un’iniziativa a tutela della vita rivolta all’Unione Europea, che vuole accendere il dibattito in chiave legislativa. Che cosa ne pensa?

R. – E’ un’iniziativa da sostenere, che tanti vescovi stanno accogliendo nelle proprie diocesi; è un esempio di come, anche a livello europeo, si possa agire sul piano legislativo per difendere la vita. Ma credo che sia anche il riflesso di una luce molto più grande: cioè di tutto il lavoro sotterraneo che molti fanno a servizio della vita. Penso a tanti nel mondo della medicina, penso a tanti centri di aiuto alla vita, consultori di ispirazione cristiana … ma anche nelle piccole e medie comunità cristiane, nella semplicità di ogni giorno, realtà che ci aiutano a sperare nel domani.

In questa Giornata, dunque, s’inserisce la campagna europea “Uno di noi” promossa dal Movimento per la Vita. Il progetto mira a raccogliere, entro novembre, un milione di firme, al fine di attivare il legislatore dell’Ue, per tutelare il bambino sin dal concepimento. Per aderire si può andare anche sul sito www.mpv.it. Massimiliano Menichetti ha intervistato Carlo Casinipresidente del Movimento per la Vita:

R. - È bene ricordare i 35 anni. La prima Giornata per la vita fu nel 1979, e fu nel 1978, all’indomani dell’approvazione della legge sull’aborto, che la Conferenza episcopale italiana decise di organizzarla ogni anno. La motivazione fu dimostrare che la Chiesa, anche di fronte alla legalizzazione dell’aborto, non si rassegna e non si rassegnerà mai a difendere la vita. Diciamo che questo è il filo conduttore di qualsiasi giornata.

D. - Quest’anno il titolo è “Generare la vita vince la crisi”

R. - Si deve ricordare che non bastano gli strumenti tecnici per superare le crisi finanziarie ed economiche, ma ci vogliono anche i valori, i valori cosiddetti non negoziabili. Quindi c’è questo filo conduttore della vita in mezzo all’attualità del momento. Oggi il crollo della natalità - ormai lo ammettono tutti - aggrava le condizioni economiche. Ecco perché questa affermazione - la vita vince anche la crisi - ha un significato globale e in un certo senso profetico. Ma bisogna cominciare a riconoscere i valori della vita umana fin dal momento del concepimento perché questo è il punto di partenza per un rinnovamento davvero generale, civile e morale. Alla fine, non avrebbe senso una mobilitazione ogni anno per ricordare il valore della vita umana, se la vita umana non nata fosse soltanto questione di un grumo di cellule, di un’opinione di pochi. Ma se invece c’è di mezzo la vita dei più piccoli e poveri tra gli esseri umani, i bambini non nati, allora vale la pena non rassegnarsi e continuare a sperare in un cambiamento culturale, civile, legale.

D. - In questa giornata si innesta anche un’altra iniziativa a livello europeo a tutela della vita “One of us” (Uno di noi).

R. - Le parole sono significative perché dicono che ogni essere umano anche quando è nascosto nel seno materno, generato - brutta parola - in provetta di laboratorio o conservato - ancora più brutto - in un frigorifero per anni senza destino, è comunque uno di noi, un figlio, un essere umano. È un’iniziativa che chiede una mobilitazione delle coscienze di tutta Europa, perché i regolamenti europei prevedono che se almeno un milione di persone appartenenti ad almeno sette Stati dell’Unione Europea chiedono di poter discutere della questione, questo deve essere fatto. E noi chiediamo che l’Europa la smetta di finanziare la distruzione di embrioni umani sia sul terreno della ricerca scientifica, sia su quello della sanità pubblica che su quello definito “aiuto allo sviluppo” dei Paesi poveri inteso come soldi dati ad organizzazioni non governative che in tutto il mondo sostengono ed effettuano l’aborto. 

D. - Quando si dice aborto in Europa, di che cifre stiamo parlando?

R. - Sono cifre terribili, perché ogni 26 secondi in Europa viene eliminato un bambino con l’aborto. Moltissimi avvengono in Russia. Nell’Unione Europea, facendo un calcolo approssimativo, abbiamo stimato non meno di un milione e mezzo di aborti legali; poi ci sono quelli illegali e quelli legati alle morti della vita appena sbocciata attraverso un uso criminale dei nuovi sistemi di procreazione artificiale. Sappiamo che ce ne sono duecentomila in Francia, duecentomila in Inghilterra, centomila in Spagna, oltre centomila in Italia… cifre terrificanti.

D. - Come si può fare per aderire alla campagna “One of us”, uno di noi?

R. - Per tutto l’anno, ci saranno banchetti in ogni punto di riferimento ecclesiale, chiese, parrocchie, strade… per raccogliere le firme su carta, ma ricordo che il sito su cui si può trovare il modulo per dare l’adesione è www.oneofus.eu, oppure più semplicemente www.unodinoi.mpv.org, il sito del Movimento per la vita, che rimanda al sito ufficiale dell’Unione Europea. Spero ci sia una sollevazione della coscienza popolare che grida: è uno di noi anche il bambino non nato, anche il figlio che non è ancora nato! E che quindi dia voce a questa enorme quantità di bambini in un mondo che si dichiara continuamente civile e favorevole alla dignità umana e all’uguaglianza. Sono parole bugiarde, se non si rispetta il più debole e il più povero tra tutti gli esseri umani.