sabato 2 novembre 2013

XXXI domenica del Tempo Ordinario Anno C


MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 37,22-23
Non abbandonarmi, Signore mio Dio,
da me non star lontano;
vieni presto in mio aiuto,
Signore, mia salvezza.
 
Colletta
Dio onnipotente e misericordioso, tu solo puoi dare ai tuoi fedeli il dono di servirti in modo lodevole e degno; f
a' che camminiamo senza ostacoli verso i beni da te promessi. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio ...

 
Oppure: 
O Dio, che nel tuo Figlio sei venuto a cercare e a salvare chi era perduto, rendici degni della tua chiamata: porta a compimento ogni nostra volontà di bene, perché sappiamo accoglierti con gioia nella nostra casa per condividere i beni della terra e del cielo. Per il nostro Signore Gesù Cristo...
LITURGIA DELLA PAROLA
Prima Lettura  Sap 11,22-12,2
Hai compassione di tutti, perché ami tutte le cose che esistono.

Dal libro della Sapienza

Signore, tutto il mondo davanti a te è come polvere sulla bilancia,
come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra.
Hai compassione di tutti, perché tutto puoi,
chiudi gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento.
Tu infatti ami tutte le cose che esistono
e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato;
se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata.
Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?
Potrebbe conservarsi ciò che da te non fu chiamato all’esistenza?
Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue,
Signore, amante della vita.
Poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose.
Per questo tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano
e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato,
perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore.
 

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 144
Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.
O Dio, mio re, voglio esaltarti
e benedire il tuo nome in eterno e per sempre.
Ti voglio benedire ogni giorno,
lodare il tuo nome in eterno e per sempre.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.

Fedele è il Signore in tutte le sue parole
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore sostiene quelli che vacillano
e rialza chiunque è caduto.
 
Seconda Lettura
  2 Ts 1,11 - 2,2
Sia glorificato il nome di Cristo in voi, e voi in lui.
 
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi
Fratelli, preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.
Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente.
 

Canto al Vangelo 
 Gv 3,16
Alleluia, alleluia.

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito;
chiunque crede in lui ha la vita eterna.

Alleluia.

  

  
Vangelo  Lc 19, 1-10
Il Figlio dell'uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

*

"Ogni Zaccheo risuscitato può annunciare l'amore"

Commento al Vangelo della XXXI Domenica del Tempo Ordinario. Anno C

Per Zaccheo l’"Arci-pubblicano”, arci-peccatore, “ricco” e “perduto”, quello fu un giorno speciale. Aveva sentito il suono dello Shofar, la tromba del gran Giorno del Giudizio che inaugurava i dieci giorni del pentimento, nei quali ogni ebreo era chiamato ad andare a casa di chi aveva offeso per riconciliarsi con lui, preparandosi così a Yom Kippur, il Giorno dell’espiazione. Ed era inquieto, come sempre in quei giorni; aveva "frodato e rubato" tanto a molti suoi fratelli tradendoli con gli invasori romani; lo disprezzavano e sfuggivano, ma proprio non riusciva a liberarsi da quella vita.
Quel giorno però, Gerico gli appariva strana, piena di euforia e gioia, nonostante ancora non fossero spuntate le prime stelle che chiudevano il Giorno dell’Espiazione. Non riusciva a collegare la guarigione del cieco sulla porta della sua città, e quel frastuono con quei giorni che avrebbero dovuto essere austeri di lacrime e pentimento; non poteva riconoscere in Gesù il nuovo Giosuè che, proprio al suono dello Shofar, era entrato in Gerico abbattendo le mura dell’egoismo e dell’orgoglio che impedivano anche a lui d’essere felice, votando allo sterminio tutti i peccati.
E così Zaccheo si era messo a “correre avanti” per “vedere quale fosse” quel Rabbì così speciale, mosso dalla curiosità e da una segreta e ancora acerba speranza, perché sentiva che “doveva passare di là”, nella sua vita. Lo aveva visto “attraversare” la città, ma non poteva sospettare che, così, Gesù compiva quanto prescritto dalla Torah, e che stava cercando proprio lui, per riconciliarlo con Dio e con i suoi fratelli. Non era Zaccheo che avrebbe dovuto chiedere perdono? E invece era il Figlio di Dio che si stava facendo peccato per renderlo "puro", come il suo nome significava.
Allo stesso modo oggi Gesù cerca ciascuno di noi, schiavi dei nostri peccati, incapaci di perdonare e di chiedere perdono, ma con un desiderio insopprimibile di “vederlo”, chissà che non succeda anche a noi come a quel fratello che si è appena riconciliato con sua moglie.
Ma, come Zaccheo, cerchiamo Gesù ancora con occhi troppo umani; lo crediamo simile a noi, e pensiamo che per incontrarlo dovremmo fare come siamo abituati con gli altri: “salire” sul “sicomoro” per essere diversi dalla “folla”, cambiare in qualche modo la nostra realtà, che ci sembra inadeguata e di inciampo. Ma Gesù ci stupisce con il suo amore che fa proprio del sicomoro così meschino e ridicolo sul quale ci issiamo, il “katalyma”, come la grotta di Betlemme e il Calvario, - nei cui brani è usato lo stesso termine - il "seno" benedetto dove si rinasce a vita nuova.
Gesù, che conosce il nostro nome come quello di Zaccheo, ci guarda e ci dice: "Puro, scendi subito, che devo fermarmi a casa tua”. Non importa se puri non siamo, i suoi occhi intrisi di misericordia ci vedono già così, “anche noi figli di Abramo”, nonostante tutto; per questo “deve” venire, e “fermarsi” a casa nostra per “purificarci” riconciliandoci con Dio e con i fratelli.
E non c'è tempo di mettere ordine, di spazzare, di prepararci all'incontro, perché Lui ci anticipa sempre. Solo la sua Parola può compiere il Giorno del Perdono: "scendi", convertiti, torna in te, scendi i gradini del cammino che ti conduce al battesimo; "non temere, io ti amo così come sei". Gesù anche oggi è in ginocchio davanti a ciascuno di noi per lavarci ogni peccato; ci guarda dal basso, “alza lo sguardo” e, se ci chiama a “scendere”, è perché Lui è già lì, dove abbiamo “derubato e frodato”. E’ già accanto a nostro marito che abbiamo giudicato, possiamo chiedergli perdono. E’ già dove si trova nostro cugino che ci ha calunniato, possiamo perdonarlo.
Per amarci il Signore non pone condizioni: la conversione è il frutto del suo amore, perché “l'agire segue sempre l'essere”, e l'essere deve essere prima rinnovato. “E il Signore vide proprio Zaccheo. Fu visto e vide; ma se non fosse stato veduto, non avrebbe visto... Siamo stati veduti perché potessimo vedere; siamo stati amati affinché potessimo amare” (S. Agostino, Discorso 174).
Zaccheo, nevrotico e sempre in lotta con se stesso e con i suoi complessi, si è specchiato in Cristo e ha trovato in Lui la pace, la statura ideale per la sua vita: è tornato ad essere il “figlio di Abramo” che s’era “perduto” a causa del peccato. Zaccheo, “cercato” e “salvato” senza condizioni, vede il suo cuore ormai trasformato gratuitamente in una sorgente d'amore, nonostante le “mormorazioni” e lo “scandalo” che sempre provoca una conversione impensata. Liberato da se stesso si dona senza misura ai fratelli, “poveri” come lui.
Accogliendo “oggi” Cristo che si auto-invita nella nostra casa attraverso la Chiesa che ci ammaestra con la Parola e i sacramenti, possiamo vivere in pienezza ogni giorno come Yom Kippur. Era “necessario e conveniente”, come recita il greco originale, che Cristo si “fermasse” nella casa di Zaccheo, come "oggi" nella nostra vita; era “conveniente” per chi ci è accanto, ai quali poter finalmente restituire “quattro volte tanto” quanto abbiamo sottratto ingiustamente; era “conveniente” per il mondo al quale ogni Zaccheo risuscitato può annunciare l’amore di cui aveva diritto, moltiplicato dalla misericordia di Dio.

*

Gesù a casa nostra come a casa di Zaccheo

Lectio Divina di monsignor Francesco Follo per la XXXI domenica del Tempo Ordinario

Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XXXI.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C.
Come di consueto, il presule propone anche una lettura patristica.
***
Gesù a casa nostra come a casa di Zaccheo
Rito romano
XXXI Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 3 novembre 2013
Sap 11,22-12,2; Sal 144; 2 Ts 1,11 - 2,2; Lc 19, 1-10
L’uomo cerca Dio e Dio cerca l’uomo.
            1) Il desiderio umile di Dio fa convertire.
Anche questa domenica abbiamo un pubblicano co-protagonista del Vangelo, che ci parla oggi non con una parabola ma con episodio veramente accaduto. Riandiamo brevemente alla narrazione di questo incontro di Gesù con un uomo chiamato Zaccheo[1], capo dei pubblicani, molto ricco. Dato che era basso di statura, salì su un albero per vedere Cristo. Udì allora le parole del Maestro: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Gesù aveva notato il gesto di Zaccheo: interpretò il suo desiderio e anticipò l’invito. Destò perfino la meraviglia di qualcuno il fatto che Gesù andasse a trovare un peccatore. Zaccheo, felice per la visita “accolse pieno di gioia Cristo” (cfr Lc 19, 6), cioè aprì generosamente la porta della sua casa e del suo cuore all’incontro con il Salvatore.  E Papa Francesco, quando era ancora Vescovo di Buenos Aires, commentava: “Zaccheo non appena apprende che Gesù è entrato nella sua città, sente che si risveglia in lui il desiderio di vederlo e corre a salire sull’albero. La fede farà sì che Zaccheo smetta di essere un “traditore” al servizio di se stesso e dell’Impero, e diventi cittadino di Gerico, stabilendo relazioni di giustizia e solidarietà con i suoi concittadini”[2].
            Oggi il Vangelo ci mostra che Zaccheo, che -anche se è ricco di soldi- è indigente di senso della vita. Questa povertà di spirito spinge il ricco pubblicano a salire su una pianta di sicomoro[3] per vedere il Messia. I bene materiali non colmavano la sua sete di infinito e si fece “medicante di Dio”, e così ebbe il dono di abitare nella grazia di Chi, entrando in casa sua, gli portava la vita eterna, piena.
            L’uomo è cercatore dell’Assoluto. Anche se procede a passi piccoli e incerti l’uomo è sempre in ricerca, ha il  “cuore inquieto”, come scriveva sant’Agostino[4].
            E’ significativo che il Catechismo della Chiesa Cattolica si apra proprio con la seguente considerazione: “Il desiderio di Dio è inscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa” (n. 27). Questa affermazione, però, nella cultura occidentale contemporanea è considerata una provocazione. Molti nostri contemporanei potrebbero infatti obiettare di non avvertire per nulla un tale desiderio di Dio. Per larghi settori della società secolarizzata Egli non è più l’atteso, il desiderato, è piuttosto una realtà che lascia indifferenti, davanti alla quale non si deve nemmeno fare lo sforzo di pronunciarsi.
            In realtà, questo “desiderio di Dio” non è scomparso e emerge, oggi ancora e in molti modi, dal cuore dell’uomo. Il desiderio umano tende sempre a determinati beni concreti, spesso tutt’altro che spirituali, e tuttavia questi beni non gli bastano, è alla ricerca de “il Bene”, che lo sazi pienamente e per sempre.
            Come può davvero saziare il desiderio dell’uomo? Il Vangelo di oggi ci dà la risposta, che anticipo: “Perché il desiderio sia saziato occorre educarlo”.
            2) Il desiderio di Dio va educato.
            Dio è nell’alto dei Cieli e l’uomo è polvere che calpesta la Terra, ma tra Dio e l’uomo c’è l’amore che salva. Dio ha compassione di tutti, perché tutto può,
chiude gli occhi sui peccati degli uomini,
aspettando il loro pentimento (cfr. Sap 11, 22-24). Come dice il salmo: “Dio siede nell’alto ma si china a guardare sulla terra, e solleva l’indigente dalla polvere” (cfr Sal 112/113, 5 e 6).  
            Come circa venti secoli fa davanti a Zaccheo, oggi Cristo si presenta a noi e a ciascuno di noi personalmente dice: “Oggi devo fermarmi a casa tua” (Lc 19, 5). Zaccheo corse a casa sua per preparare l’accoglienza di Cristo e li ricevette con il cuore dilatato, noi dobbiamo fare lo stesso.
            Cristo educò il desiderio di Zaccheo (ma analogamente educa il nostro desiderio), in primo luogo facendo re-imparare il gusto delle gioie autentiche della vita: in questo caso un pranzo tra persone che sono diventate amiche. “Educare sin dalla tenera età ad assaporare le gioie vere, in tutti gli ambiti dell’esistenza – la famiglia, l’amicizia, la solidarietà con chi soffre, la rinuncia al proprio io per servire l’altro, l’amore per la conoscenza, per l’arte, per le bellezze della natura –, tutto ciò significa esercitare il gusto interiore e produrre anticorpi efficaci contro la banalizzazione e l’appiattimento oggi diffusi. Anche gli adulti hanno bisogno di riscoprire queste gioie, di desiderare realtà autentiche, purificandosi dalla mediocrità nella quale possono trovarsi invischiati. Diventerà allora più facile lasciar cadere o respingere tutto ciò che, pur apparentemente attrattivo, si rivela invece insipido, fonte di assuefazione e non di libertà” (Benedetto XVI, Udienza generale del mercoledì, 7 novembre 2012). E ciò farà affiorare quel santo desiderio di Dio di cui stiamo parlando.
            In secondo luogo, Cristo educò il desiderio di Zaccheo aprendo non solo la casa di questo peccatore (e di ciascuno di noi): gli aprì il cuore. Perché non è sufficiente rispondere alla domanda “come educare il desiderio?”, c’è un’altra domanda che si impone: “Chi sazia il desiderio? Gesù, che manifesta il volto buono del Mistero, rivelando che l’Infinito è Amore che si dona.
            E’ sempre Gesù che prende l’iniziativa e lo fa in modo gratuito. Tuttavia si inserisce in una disponibilità dell'uomo. L'incontro con Dio è sempre al tempo stesso un dono e compimento di una ricerca, esaudimento di un desiderio. Zaccheo desidera vedere Gesù e poi, interpellato, è pronto ad accoglierlo (“in fretta scese e lo accolse in piena gioia”). L'incontro con Gesù cambia la vita di Zaccheo. Gesù veramente non dice nulla a Zaccheo, lo guarda con amore, allora questo pubblicano comprende e Gli dice: “Ecco, Signore, do la metà dei miei beni ai poveri, e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Il pubblicano Zaccheo diventa così la figura del discepolo cristiano che non lascia tutto, come invece altri chiamati, ma rimane nella propria casa, continuando il proprio lavoro, testimone però di un nuovo modo di vivere: non più il guadagno al di sopra di tutto, ma la giustizia (“restituisco quattro volte tanto”) e la condivisione con i bisognosi (“dò la metà dei miei beni ai poveri”). C’è il discepolo che lascia tutto per farsi missionario a tempo pieno del Regno, e c'è il discepolo che vive la medesima radicalità restando nel mondo a cui appartiene. E possibile distaccare il cuore dalle ricchezze, senza che ciò obblighi a disfarsene materialmente del tutto. L’importante è fidarsi di Dio che entra in casa nostra portando la salvezza.
            Certo le persone che fanno come le Vergini consacrate sono un più chiara testimonianza che Dio è il solo Bene e che noi siamo il bene di Dio: testimoni dell’Amore infinito di Dio. Le consacrate testimoniano che è possibile dare a Dio tutto quello che abbiamo e siamo e così riceviamo quello che Lui è e portiamo al mondo intero. Queste donne vivono mostrando che è ragionevole dare tutto all’Amore. Il fatto che queste donne restano nel mondo non è un compromesso né una scelta a metà, è il loro modo normale di essere testimoni dell’amore di Dio, tra la gente, con la gente. Per questo la vergine consacrata vive ogni giorno la ricerca di un delicato equilibrio di una vita spesa in un mondo che rischia di risucchiarla nei suoi ritmi e nelle sue difficoltà, una vita quotidiana in cui tutto è affidato alla loro responsabilità. Come il Beato Papa Giovanni Paolo II, nella Esortazione apostolica postsinodale del 25 marzo 1996 Vita consecrata, faceva notare indicando alcune caratteristiche essenziali. "E' motivo di gioia e di speranza vedere che torna oggi a fiorire l'antico Ordine delle vergini, testimoniato nelle comunità cristiane fin dai tempi apostolici. Consacrate dal Vescovo diocesano, esse acquisiscono un particolare vincolo con la Chiesa, al cui servizio si dedicano, pur restando nel mondo. " (VC, n. 7).
*
Lettura patristica
Sant’Agostino d’Ippona
Su Zaccheo
dal Discorso 174
“3. 3. Ma tu dirai: Se io sarò Zaccheo, a causa della folla non potrò vedere Gesù. Non rattristarti, sali sull’albero dove, per te pendette Gesù e vedrai Gesù. E su quale specie di albero salì Zaccheo? Su di un sicomoro. Nelle nostre regioni o non esiste affatto o forse raramente cresce in qualche luogo, ma in quelle località abbonda questa specie e il frutto. Sono chiamati sicomori dei pomi simili ai fichi, ma tuttavia diversi; lo possono sapere coloro che li videro e li gustarono. Tuttavia, per quanto indicano con l’etimologia del nome, in latino i sicomori sono detti ” falsi fichi “. Ora guarda il mio Zaccheo, osservalo, ti prego, mentre vuole vedere Gesù in mezzo alla folla e non ne è capace. Egli era umile infatti, la folla era superba; e proprio la folla, come capita abitualmente in una ressa, impediva a se stessa di vedere bene il Signore; si sollevò al di sopra della folla e vide Gesù, non essendo di ostacolo la folla. La folla infatti si rivolge agli umili, a coloro che percorrono la via dell’umiltà, a coloro che affidano a Dio le ingiurie ricevute e che non cercano la vendetta sui nemici, la folla insulta e dice: Uomo senza difesa, che non ti puoi vendicare. La folla fa in modo che non si veda Gesù; la folla, che si gloria, che si vanta quando è riuscita a vendicarsi, ostacola perché non si veda colui che, crocifisso, dice: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Perciò, volendolo vedere, Zaccheo, nel quale si figurava la persona degli umili, non badò alla folla che ostacolava, ma salì su un sicomoro come l’albero del falso frutto. Dice infatti l’Apostolo: Noi predichiamo Cristo crocifisso, certamente scandalo per i Giudei – considera il sicomoro – stoltezza invece per i Pagani. Infine, a motivo della croce di Cristo, i sapienti di questo mondo c’insultano e dicono: Che saggezza avete voi che adorate un Dio crocifisso? Quale sapienza abbiamo? Non di certo la vostra. La sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Non abbiamo davvero la vostra saggezza. Ma voi dite stolta la nostra saggezza. Dite pure quello che volete; noi possiamo salire sul sicomoro e vedere Gesù. Voi non potete vedere Gesù appunto perché vi vergognate di salire sul sicomoro. Si aggrappi Zaccheo al sicomoro, salga umile la croce. E’ poca cosa il suo salire: per non arrossire della croce di Cristo, la fissi sulla fronte dove ha posto l’onore, proprio là, là, sulla parte del volto dove appare il rossore, là si fissi per non provarne vergogna. Penso che tu te ne ridi del sicomoro, però esso mi ha permesso di vedere il Signore. Ma tu te ne ridi del sicomoro, perché sei uomo; ma la stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini.
4. 4. E il Signore vide proprio Zaccheo. Fu visto e vide; ma se non fosse stato veduto, non avrebbe visto. Quelli infatti che ha predestinati, li ha anche chiamati. Egli è colui che parlò a Natanaele, il quale – per così dire, con la sua testimonianza, già stava collaborando al Vangelo – disse: Da Nazareth può venire qualcosa di buono? Il Signore a lui: Prima che Filippo ti chiamasse, ti ho visto quando eri sotto l’albero di fico. Voi sapete come i primi peccatori, Adamo ed Eva, si adattassero delle cinture. Quando peccarono si adattarono delle cinture di foglie di fico e coprirono le parti vergognose; infatti a causa del peccato suscitarono il senso della vergogna. Pertanto, se si fecero cinture i primi peccatori – dai quali discendiamo, nei quali eravamo periti – venendo egli a cercare e a salvare ciò che era perduto, con foglie di fico si fecero di che coprire le parti vergognose, che altro si volle dire con: Ti ho visto quando eri sotto l’albero di fico, all’infuori di: Non saresti venuto a colui che purifica dai peccati se egli per primo non ti avesse veduto nel velamento del peccato? Siamo stati veduti perché potessimo vedere; siamo stati amati affinché potessimo amare. Il mio Dio, la sua misericordia mi precederà.
4. 5. Ora dunque il Signore, che aveva accolto Zaccheo nel cuore, si è degnato di essere ospitato nella casa di lui. Disse: Zaccheo, scendi subito, perché devo fermarmi in casa tua. (Quello riteneva un grande beneficio vedere Gesù). Egli, che considerava un grande e indicibile beneficio vederlo passare, meritò immediatamente di averlo in casa. Viene infusa la grazia, la fede opera per mezzo dell’amore; Cristo, che già abitava nel cuore, viene ricevuto in casa. Dice a Cristo Zaccheo: Signore, dò la metà dei miei beni ai poveri e, se in qualche cosa ho frodato alcuno, restituisco il quadruplo. Quasi a dire: Per questo mi trattengo una metà, non in possesso, ma per avere di che rendere. Ecco in realtà che vuol dire ricevere Cristo, accoglierlo in cuore. Era là infatti Cristo, era in Zaccheo e attraverso di lui Zaccheo diceva a se stesso ciò che ascoltava dalla bocca di lui. Dice infatti così l’Apostolo: Che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori.
5. 6. Perciò, perché si trattava di Zaccheo, che era il capo dei Pubblicani, che era assai peccatore, quella folla, apparentemente sana, che impediva di vedere Gesù, rimase stupita e contestò il fatto che Gesù era entrato nella casa di un peccatore. Era questo un riprovare l’ingresso del Medico nella casa di un malato. Perché appunto da peccatore Zaccheo fu deriso, fu deriso in realtà, lui sano, da gente insana, Gesù rispose ai derisori: Oggi la salvezza è entrata in questa casa. Ecco il motivo del mio ingresso: Oggi è entrata la salvezza. Se il Salvatore non fosse entrato, in quella casa non sarebbe assolutamente entrata la salvezza. Perché, infermo, ti meravigli allora? Chiama anche tu Gesù, non crederti sano. Chi riceve il medico è un malato che ha speranza; è un infermo senza rimedio chi, per insensatezza, fa morire il medico. Che follia è mai quella di chi uccide il medico? Non è grande veramente la bontà e la potenza del medico che del suo sangue ha fatto la medicina per il suo insensato uccisore? Colui che era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto non diceva infatti: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno, mentre pendeva innocente sulla croce? Sono dei folli, io sono medico, infieriscano, tollero con pazienza; nell’uccidermi darò allora la sanità. Facciamo parte dunque di coloro che egli risana. E’ parola umana e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori; grandi e piccoli, a salvare i peccatori. Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.”
*
NOTE
[1] Zaccheo vuol dire “puro, integro, giusto”, nome paradossale per uno che svolgeva un lavoro che lo rendeva –secondo la legge ebraica del tempo- impuro (su purezza e impurità nella Bibbia si veda la n. 1 delle riflessioni di Domenica XXVIII -13 ottobre 2013). Ma in ebraico Zaccheo significa anche “colui di cui Dio si ricorda”, nome quanto mai appropriato per questo pubblicano. Zaccheo è la testimonianza di un cammino molto concreto dall’egoismo alla condivisione, ma è anche il cammino di un viaggio interiore che va dalla “curiosità “ alla conversione.
[2] Dal discorso Dios vive en la ciudad che il Cardinal Bergoglio ha tenuto in occasione del “Primo congresso regionale di pastorale urbana”, tenutosi a Buenos Aires  dal 25 al 28 agosto 2011.
[3] Il sicomoro è un albero di origine africana dall’ampio tronco corto, dai rami bassi con molto fogliame e dal frutto dolce, simile a un fico del suo stesso nome  greco (sico). Proprio intorno a quest'albero è ambientato l'episodio dell'incontro tra Gesù e Zaccheo. Nell’antichità si credeva che il legno di questo albero fosse incorruttibile e veniva usato per fare i sarcofagi regali. Ognuno di noi ha bisogno di un “sicomoro” per salire in alto e vedere Cristo.
[4]  Dio ci ha fatti per Lui, e il nostro cuore è inquieto finché non trova quiete in LUI (fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te – Confessioni 1.1). Questo è anche il riassunto della vicenda esistenziale narrata da Sant’Agostino nelle Confessioni, in cui si può rispecchiare la storia di ogni uomo: una vita irrequieta e insoddisfatta, che trova pace nell’incontro con l’amore infinito del Dio vivo e vero.