martedì 12 maggio 2015

Al centro della storia



Si è aperto a Firenze il Festival delle religioni. 

(Mario Benotti) In una recente pubblicazione Francis Rooney, già ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede tra il 2005 e il 2008, ricorda la figura dell’arcivescovo Pietro Sambi, nunzio apostolico in Israele e poi negli Stati Uniti. Monsignor Sambi spiegava che l’azione diplomatica della Santa Sede si basa su tre concetti fondamentali. Il primo è la verità, perché se non si conosce la verità non si può nemmeno costruire la pace; il secondo la giustizia, che – ricordava il nunzio – nei tempi moderni sembra essere un po’ persa, e il terzo la libertà, talvolta una sorpresa nella stessa Chiesa. Fra tutte le libertà, la prima è quella religiosa e di coscienza. E il tratto pastorale di Sambi è stato proprio quello del dialogo basato sulla libertà.
C’è chi pensa, adesso, che la stagione del dialogo sia finita. Del resto, a che serve il dialogo tra culture, popoli, religioni? Non è frutto di ingenuità? Insieme con questa domanda hanno ripreso fiato diffidenze mai scomparse. Il dialogo non apre ingenuamente le porte alla violenza e in particolare a quella che viene compiuta in nome della religione? Questo senso di pessimismo e di paura si proietta nei rapporti internazionali e rappresenta un clima che, all’interno delle diverse società, acuisce le tensioni. In un tempo in cui è facile ripiegarsi su se stessi e sui cosiddetti interessi nazionali, piuttosto che alzare lo sguardo e sognare un futuro migliore per tutti.
Il Festival delle religioni, in corso a Firenze, vuol mettere l’accento proprio su questi temi, per gettare il pensiero oltre lo scontro distruttivo. Ma che senso ha continuare gli incontri tra uomini e donne di religioni diverse in uno spirito di dialogo? Le religioni possono, sono e devono essere la via — anche politica — per la pace. La forza dei veri credenti non è l’arroganza, ma la forza interiore di chi sa sempre indicare la via del bene. E il dialogo non solo non indebolisce la propria fede, ma al contrario esige che ciascuno vi aderisca con più profondità.
Le religioni sono decisive per stabilire un legame di fraternità tra i popoli. Certo, le religioni possono anche essere coinvolte nell’alimentare i conflitti, nel sacralizzare confini e diffidenze, ataviche e nuove. Ne nascono temibili fondamentalismi, e grande è quindi la responsabilità delle religioni oggi. Il Novecento, il secolo più secolarizzato della storia, appariva, fino a ieri, come un tempo di crisi gravissima se non di morte delle religioni, ma si è chiuso su scenari dove le religioni sono attori rilevanti delle vicende storiche. Le responsabilità degli uomini e delle donne di religione si fanno più grandi di quanto si potesse pensare fino a ieri.
Papa Francesco riprende questi temi, in continuità con i suoi predecessori dal tempo del concilio Vaticano II, e li sviluppa, spiegando che dialogo tra le religioni e l’annuncio del Vangelo non si escludono ma si alimentano reciprocamente. E questo è il fondamento di una vera e propria azione politica per lo sviluppo delle relazioni internazionali e per la pace nel mondo.
In questi ultimi periodi è stata di particolare evidenza la forza e l’incisività dell’azione politica e diplomatica della Santa Sede ma questa azione si caratterizza per il rapporto con gli altri Stati e le comunità cattoliche nel mondo. A questa si aggiungono naturalmente le nuove relazioni con le altre confessioni cristiane e con le altre religioni. Dialogando su ciò che unisce, a volte anche su ciò che ci divide, le religioni oggi possono dunque essere elemento di stabilità in un contesto internazionale convulso e non facilmente decifrabile.
L'Osservatore Romano