domenica 10 maggio 2015

Dilemmi sul percorso della storia.



 La trappola dei valori

(Lucetta Scraffia) «Noi vogliamo allontanarci dalla storia nella misura in cui ritroviamo in essa delle “tradizioni” che saremmo tenuti a rispettare, e da cui vorremmo invece liberarci»: la riflessione di Rémi Brague sulla storia e sulle idee dominanti della post-modernità è chiara e limpida, critica senza essere polemica. Ha il coraggio di un punto di vista diverso, espresso senza aggressività, senza prosopopea inutile.
Riflessioni apparentemente semplici, ma in realtà anticonformiste: per esempio — scrive in Dove va la storia? Dilemmi e speranze (a cura di Giulio Brotti, Brescia, La Scuola, 2015, pagine 160, euro 9,50) — vedendo che le pratiche sessuali e le regole relative al matrimonio variano secondo le epoche e le popolazioni, non dobbiamo ricavarne l’idea che siano tutte valide. Perché così ci si dimentica «di domandarsi perché i popoli che praticano — poniamo — la poligamia o la poliandria non abbiano potuto accedere alla modernità, sul piano tecnologico e politico». Così Brague si domanda, giustamente, se non ci sia un legame «tra la concezione della persona (della donna, soprattutto) sottesa a certe condotte in materia di sessualità e una tendenza alla stasi culturale?».
Proprio in base a queste evidenze, e in risposta a ogni relativismo culturale, Brague sostiene che «la cultura europea non è affatto “normale”: accetta di assumere in sé degli elementi che pure le restano estranei» e ne spiega in rapide ma significative pennellate la specificità rispetto a islam ed ebraismo. A questo proposito, si oppone a chi semplificando parla di religioni rivelate mettendo in luce come sia importante chiarire che cosa viene rivelato: per l’islam, Dio non rivela se stesso, ma manifesta la sua volontà. Se giudaismo e cristianesimo, dunque, sono religioni della rivelazione, solo per l’islam si può parlare di religione rivelata.
Ma queste differenze troppo spesso vengono superficialmente accantonate, e i dialoghi fra le religioni non sono altro che «monologhi paralleli avvolti nello zucchero».
La trilogia scritta dallo studioso — La Sagesse du monde (1999) e La Loi de Dieu (2015) sono infatti completati ora da Le règne de l’homme. Genèse et échec du projet moderne (Paris, Gallimard, 2015, pagine 403, euro 25) — affronta il tema della modernità, al quale lo riporta, con una serie di domande profonde, l’intervistatore Brotti. Anche su questo tema, Brague rivela un pensiero complesso, sfumato: per quanto riguarda l’inizio della modernità «io — scrive — cerco di distinguere più soglie, situate in diverse regioni e in diverse epoche», e passa quindi ad analizzare la nascita della scienza moderna, modificando alcuni dogmi storiografici, e soprattutto criticando «la tendenza all’autocompiacimento» per cui «la Modernità racconta la sua storia come quella di un irresistibile progresso verso... lei stessa».
Nell’emergere delle neuroscienze, e nel loro tentativo di spiegare con la reazione biologica il comportamento umano, lo studioso vede un ritorno di un antico tentativo, quello di fare di una scienza particolare una scienza universale, tentazione che si è ripetuta nel tempo ogni volta che è comparsa una nuova scienza. Ben consapevole del pericolo che si nasconde dietro questo nuovo modello di spiegazione, che rischia di uccidere l’umanesimo. Perché «l’idea di umanesimo si svuota, se non si fonda sul presupposto che l’uomo possa accedere alla verità e che sia un soggetto libero e responsabile, creatore della storia».
Una posizione originale è nella sua opposizione all’uso del termine “valori”, termine abusato nel nostro linguaggio quotidiano: «Il modo più sicuro per farsi sconfiggere è di farsi trascinare sul terreno dell’avversario. Proprio questo fanno coloro che accettano di parlare di “valori” e della necessità di “difenderli”. La parola non è neutra, nasconde una trappola. In effetti, insinua la rappresentazione di un radicale soggettivismo, per cui saremmo noi a conferire un valore, ad attribuire un prezzo alle cose».
E quindi si oppone a chi considera il cristianesimo una sorta di “scatola di valori” da difendere, perché — dice il pensatore francese — «la società cristiana non è stata fondata da gente che credeva nel cristianesimo, ma da gente che credeva in Cristo».
Originali e profonde anche le riflessioni avanzate su temi oggi di grande attualità, come il rapporto nei confronti delle leggi naturali: Brague considera le leggi della natura solo espressione metaforica, ma utile a orientare le scelte umane, perché «l’analogia tra le leggi morali e le leggi naturali ha in ogni caso il vantaggio di suggerire che la morale consiste anche nel rispettare le condizioni che permettono la vita».
Così, a proposito dell’indissolubilità del matrimonio, scrive: «Per sempre non è una formula enfatica dovuta all’esaltazione di un momento, ma risponde alla struttura stessa dell’amore (...) in un certo senso il cristianesimo non aggiunge nulla all’umano, ma lo prende sul serio, nelle sue dimensioni più profonde. Anche nel campo dei rapporti matrimoniali, quindi, la tentazione è sempre una mancanza di ambizione: essa consiste nel credersi incapaci di ricevere da Dio l’aiuto (la grazia) che ci permetterebbe di realizzare la pienezza della nostra umanità».
E conclude con uno sguardo al futuro delle nostre società occidentali a crescita demografica zero. Noi abbiamo bisogno — sostiene Brague — che la vita abbia valore non tanto per viverla, ma perché sia legittimo trasmetterla agli altri. Oggi, infatti, la «vera questione è se la vita valga la pena di essere donata».
L'Osservatore Romano