sabato 9 maggio 2015

VI domenica di Pasqua (Anno B)



Nella sesta domenica del Tempo di Pasqua, la Chiesa si incammina verso il compimento di questo percorso con l’Ascensione del Signore e la discesa dello Spirito Santo, che forma la comunità cristiana chiamata a dare testimonianza al mondo dell’amore che la costituisce:
“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”.
Il brano evangelico di oggi continua la parola sui tralci e sulla vite di domenica scorsa: per produrre frutto è assolutamente necessario “rimanere” uniti a Cristo, “rimanere sul suo amore”. Questo rimanere nella parola del Signore significa osservare i suoi comandamenti. Il Figlio rimane nell’amore del Padre perché compie la sua volontà, ne osserva i comandamenti: che non sono leggi esterne, imposte dall’alto, ma espressione dell’amore, parola di vita.
L’unico comandamento
I comandamenti sono le parole di una madre al figlio perché egli non perda la vita, non perda il cammino della vita. Questi comandamenti si riassumono in uno solo: amare. Amare Dio con tutto il cuore e tutta l’anima e il prossimo come se stessi. Amare. Un amore che non esige nulla, che non si fa legge per l’altro, perché all’altro quest’amore dà la vita: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” Questa è la passione di Dio: amare l’uomo, fino a dare la sua vita per lui, fino a perdersi, crocifisso, su una croce per lui: “Sic dilexit Deus mundum”, “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
Vi ho chiamato amici
Da questo amore di Dio nasce la sua filia, la sua amicizia: Dio non ci chiama ad una dipendenza da lui, a una “sottomissione”, dove mai l’amore può diventare sponsale. Dio vuole questa amicizia: “Vi ho chiamato amici”. E il fondamento di questa amicizia è l’amore: innanzitutto l’amore di Dio per noi, ma poi l’amore fraterno che lega in unità: “Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”. (Pasotti)
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VI DOMENICA DI PASQUAAnno B

MESSALE
Antifona d'Ingresso  Cf Is 48,20
Con voce di giubilo date il grande annunzio,
fatelo giungere ai confini del mondo:
il Signore ha liberato il suo popolo. Alleluia.
 
Colletta

Dio onnipotente, fa' che viviamo con rinnovato impegno questi giorni di letizia in onore del Cristo risorto, per testimoniare nelle opere il memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede. Per il nostro Signore...

Oppure:

O Dio, che ci hai amati per primo e ci hai donato il tuo Figlio, perché riceviamo la vita per mezzo di lui, f
a' che nel tuo Spirito impariamo ad amarci gli uni agli altri come lui ci ha amati, fino a dare la vita per i fratelli. Per il nostro Signore...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  At 10, 25-27. 34-35. 44-48
Anche sui pagani si è effuso il dono dello Spirito Santo.

Dagli Atti degli Apostoli

Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!».
Poi prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga».
Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio.
Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.

Salmo Responsoriale  
Dal Salmo 97
Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d’Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!


Seconda Lettura  1 Gv 4, 7-10

Dio è amore.

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.
In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

Canto al Vangelo
  Gv 14,23
Alleluia, alleluia.

Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia.

   
   
Vangelo  Gv 15, 9-17
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.


Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

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Siamo, per natura, un dono, inscritto nel dono più grande che ci ha generato

Commento al Vangelo della VI domenica di Pasqua (Anno B) - 10 maggio 2015


Tranquilli, “Dio non fa preferenze di persone”. Per essere eletti da Lui non abbiamo bisogno di fare alcuna campagna elettorale, anzi. E’ meglio essere capaci di nulla, senza nobili natali. Insomma tu ed io, “scelti” per quello che di noi non sopportiamo, la nostra debolezza.
Tranquilli, "non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga". Ogni nostra scelta sorge da questa "prima scelta" nella quale esistiamo. Secondo la tradizione giudaica, erano i discepoli che sceglievano il Rabbì.
Come ciascuno di noi sceglie, o vorrebbe, o si illude di scegliere, la scuola, il fidanzato, il lavoro, la casa, la macchina, il film da vedere, che cosa mangiare, come vestirsi. Al centro della vita ci siamo noi, con il bagaglio di criteri e gusti che abbiamo accumulato; e identifichiamo la libertà con il poter scegliere in completa autonomia tra le diverse opzioni che ci presenta la vita.
Spesso le passioni ci acciuffano e si impadroniscono di noi rendendoci schiavi dei loro impulsi e istinti. Ma assumiamo anch'esse nella grande famiglia della nostra libertà, magari definendole come la loro più completa espressione. Tuttavia, ci scontriamo con un momento della nostra vita nella quale non abbiamo potuto esercitare alcun tipo di libertà.
E si tratta del momento decisivo: la nascita, o, più correttamente, l'istante nel quale il seme di nostro padre ha trovato accoglienza nell'ovocita di nostra madre ed è apparso quello zigote che siamo stati tu ed io. Prima di quell'istante nessuno di noi esisteva, nessuno ha scelto di essere lo spermatozoo più forte della frotta che tentava di guadagnare l'ovocita al cui Dna donare il proprio. Nessuno di noi ci ha messo nulla, semplicemente eravamo in quel seme lì e in quell'ovocita lì, punto.
E siamo apparsi in questo mondo, uno zigote impercettibile, quarantasei cromosomi che contenevano tutto quello che ci avrebbe caratterizzato, il profilo del naso, il disegno della bocca, il timbro della voce, compresi i difetti. Ci siamo poi impiantati nell'utero di nostra madre attraverso il tessuto che tappezza la sua superficie interna, l'endometrio, in un "dialogo biochimico" affascinante nel quale abbiamo messo a frutto la prima cosa imparata, l'amore per il quale i nostri genitori si sono uniti dandoci la vita: da subito abbiamo cominciato ad offrire qualcosa di noi, secernendo le sostanze necessarie all'impianto dell'embrione per unirle a quelle rilasciate dall'endometrio di nostra madre, altrettanto necessarie. 
Chimica d'amore che rivela l'identità originaria che ci caratterizza: siamo, per natura, un dono, inscritto nel dono più grande che ci ha generato; la nostra vita, sin dalle prime luci dell'alba, è stata donare come abbiamo ricevuto in dono, amare come siamo stati amati. 
L'avverbio "come", "kathós", che appare nel Vangelo, in greco non esprime solo un paragone, ma anche il fondamento e l'originel'amore di Cristo è norma e fondamento di ogni amore. Si potrebbe tradurre anche: "per il fatto che io vi ho amato così, che siete stati chiamati dentro questo mio amore concretissimo, amatevi anche voi con questo amore dal quale siate stati chiamati e costituiti, nel quale esistete; lasciate che l'amore che ho effuso in voi, con il quale vi faccio vivere, e alzare la mattina giunga all'altro, chiunque esso sia". 
“Come” all'origine della nostra vita biologica non vi è alcuna scelta da parte nostra, così all'origine della nostra chiamata ad essere cristiani - ovvero di Cristo, suoi discepoli - non esiste alcuna nostra opzione. E' qualcosa di grande, di forte, di scandalizzante.
Alcuni potrebbero obiettare che stando così le cose non esiste libertà, esattamente come non siamo stati liberi di nascere o meno. E infatti molti maledicono il giorno in cui sono nati, sino a togliersi la vita; oppure divorziano, abbandonano il sacerdozio, la scuola, il lavoro, anche i figli. Ma la prospettiva del Vangelo è molto diversa. E' la prospettiva dell'amore, “il segreto che Gesù ha udito dal Padre” e “fa conoscere” ai suoi “amici” gestati nel seno della Made Chiesa.
Esso è sempre manifestazione della libertà autentica, capace di donare tutto, anche la propria vita. Le parole di Gesù ci spingono a risalire la corrente della nostra storia dal momento presente alla sua origine laddove è stata deposta la nostra elezione, e ancor più indietro, sino all'origine della storia dell'umanità, alla sua creazione.
In essa è inscritta e prefigurata la nostra origine e quindi la chiave della nostra identità, fonte della “gioia piena” di Cristo in noi. Dio ha creato ciascuno per amore, del quale l'unione sponsale dei nostri genitori è immagine e somiglianza. Alla nostra origine vi è l'amore, e quindi la libertà più grande. Essa è inscritta in noi, nel nostro spirito come nella nostra carne, nel cuore come nelle cellule.
E' la libertà che spinge a donarsi e che fa superare ogni confine; è quella che percepiamo quando inizia qualcosa, qualsiasi cosa: al principio di una storia affettiva, di un fidanzamento, di un matrimonio, come di un'amicizia, alle soglie di un'impresa che ci appassiona, di studio, di lavoro, di svago, vi à sempre quell'ansia di infinito, quell'entusiasmo che ci farebbe spaccare il mondo. E' quanto descrive splendidamente Péguy: 
Tutto quello che comincia ha una virtù che non si ritrova mai più.
Una forza, una novità, una freschezza come l’alba.
Una giovinezza, un ardore.
Uno slancio.
Un’ingenuità.
Una nascita che non si trova mai più.
C'è in quello che comincia una fonte, una razza che non ritorna.
Una partenza, un'infanzia che non si ritrova, che non si ritrova mai più.
Ora la piccola speranza
E' quella che sempre comincia.
Quella nascita
Perpetua
Quell'infanzia
Perpetua.
Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici.
La speranza dell'inizio che scaturisce da una grande felicità è il volto della libertà che si fa amore, dedizione, dono. Chi si sente costretto ad amare la propria ragazza? O il proprio marito, o il proprio figlio? Chi non si sente libero nell'affaticarsi in un allenamento che prepara ad una partita decisiva? Chi si vede sottrarre la libertà nell'affrontare notti di studio in vista dell'esame che schiude le porte all'avverarsi del sogno di una vita, quello di diventare un medico, un ingegnere, un cantante d'opera? Non si sente libero solo chi non ama.
Ecco, all'inizio, all'origine della vita vi è un ardore, una freschezza, una razza che poi, purtroppo, lasciamo cadere tra le pieghe dell'egoismo e dell'utilitarismo, magari per le ferite sofferte, per le delusioni, per le sconfitte. Per questo oggi il Signore ci annuncia ancora una volta la verità invitandoci a guardare alla nostra origine, ovvero il suo averci scelti e chiamati ancor prima di essere intessuti nel seno di nostra madre.
Coraggio, “non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi” amato così come saremmo diventati in ogni istante della tua vita, anche se nessun occhio umano, in quell'istante, ci aveva visto e scelto; quando neanche nostra madre si era ancora accorta della nostra presenza. Alla nostra origine vi è, come una roccia indistruttibile, la gratuità dell'amore e dell'elezione di Dio, la Grazia della nostra primogenitura ad essere figli di Dio per questa generazione. 
Scelti per quello che siamo e non per quello che vorremmo diventare, e ditemi se questa non è la notizia capace di cambiare l'esistenza. Siamo stati scelti con i nostri difetti, debolezze, incapacità; nessun concorso, nessun esame, nessuna rincorsa per fare innamorare qualcuno. Per questo, “generati da Dio”, impariamo a “conoscerlo” e d amare in Lui.
La scelta di Dio, gratuita, è più forte d'ogni nostro egoismo, di tutti i nostri testardi rifiuti, delle nostre ingannate pretese di autonomia; più forte di ogni peccato, perché proprio “in questo si è manifestato l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per Lui”.
Capite? Noi abbiamo la vita “per mezzo di Cristo, cioè all’origine della nuova vita di figli di Dio c’è Lui, nostro “amico” nelle viscere di misericordia della Chiesa. Il suo Spirito ne ha fecondato il seno facendo apparire l’uomo nuovo in te e in me.
Per questo, all'origine della nostra vita, come di ogni giorno vi è la sua chiamata che ci "costituisce" suoi apostoli, altri Cristo nella storia, perché "andiamo e portiamo un frutto che non si corrompa". Vivere per qualcosa di eterno, un frutto del suo amore nel quale possiamo "deporre" (secondo l'originale greco) la nostra "anima, la vita", "per gli amici".
Un amore così grande che sa abbracciare ogni istante e ogni millimetro della vita, facendo di ciascuno un "principio, una nascita e un'infanzia perpetua", come uno zigote che non difende nulla ma che offre ogni sostanza vitale - il tempo, le parole, i beni - all'endometrio che li attende. In quei giorni di tanti anni fa era quello zigote lì ad incontrare quell'endometrio lì, così come oggi usciremo con la fidanzata, ceneremo con il marito e i figli, incontreremo Giovanni sulla metropolitana, ci riuniremo con i colleghi, giocheremo la partita di calcetto con gli amici. E tutto sarà un “comandamento” nuovo da “osservare” come il cuore batte e pompa il cuore, e gli occhi si aprono all’impulso del cervello. E’ la vita di Cristo che “comanda” l’amore nella nostra carne, perché Lui “rimane” in noi per mezzo del suo Spirito, compiendo nella nostra vita “la sua obbedienza” alla volontà del Padre, non come uno sforzo moralistico, ma perché la Grazia lo “impone” naturalmente. Perché “come il Padre ha amato Cristo, così anche Lui ha amato noi”, facendoci una trasfusione d’amore celeste.  
Così, in un  cristiano, tutto è vissuto con una “gioia piena” e per questo contagiosa, capace di attirare tutti a Cristo, perché ovunque doneremo noi stessi secondo il Dna dell’uomo nuovo, suo "amico" sin dal seno materno.

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Amore reciproco, ma asimmetrico

Lectio Divina sulle letture per la VI Domenica di Pasqua (Anno B) - 10 maggio 2015


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la VI Domenica di Pasqua (Anno B).
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
 
Rito romano
At 10,25-27.34-35.44-48; Sal 97; 1Gv 4,7-10; Gv 15,9-17
 
Rito Ambrosiano
At 26, 1-23; Sal 21; 1Cor 15, 3-11; Gv 15, 26-16, 4
 
1) L’amore dono di sé stessi senza misura.
 
“Dio è amore” e questo Amore è il centro della fede cristiana. E’ questa la grande rivelazione che sta al centro dei due testi di Giovanni (1 Gv 4,7-10; Gv 15,9-17) che ci sono proposti dalla Liturgia in questa sesta domenica di Pasqua: “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16) e porta frutto: cioè porta Cristo e la sua gioia.
 
La Liturgia di oggi ci invita a percorrere l’esodo interiore (uscire da sé stessi attraverso l’interiore di se stessi, dicevano alcuni Padri della Chiesa), facendoci pellegrini dell’Amore mediante la preghiera di un cuore in ascolto e lasciando le tante cose superflue che rischiano di farci perdere l’essenziale: Dio e il suo amore.
 
Il comando dell’amore – che apre (v. 12) e chiude (v. 17) il passo evangelico di questa domenica– trova in Gesù la sua ragione. La ragione di questo amore è data dal fatto che, se possiamo amarci fra noi, è perché Lui per primo ci ha amati: “Come1 io ho amato voi… amatevi gli uni gli altri”.
 
Con il comando dell’amore, oltre a rivelarsi come ragione (logos) dell’Amore, il Figlio di Dio si propone come modello, norma, fonte e misura: “Come io ho amato voi”.
 
Come modello, perché ci dà l’esempio di vita donata per amore per assomigliargli, vivendo l’amore reciproco, accogliendo l’altro e praticando la misericordia.
 
Come norma, perché il Cristo si propone come Via. Intraprendere questa Via come norma non ha il senso del fare un viaggio verso qualcosa, ma del procedere con Qualcuno, della sequela personale segnata dalla logica della croce.
 
Come fonte, perché coscienti che senza di Lui non possiamo fare niente, attingiamo da Lui la grazia per amare e sapere quindi donarsi per donare la vita non solo come Lui, ma con Lui.
 
Come misura smisurata, perché ci insegna che nell’amore vero non c’è nessuna misura al dono di sé. “La carità di Cristo, accolta con cuore aperto, ci cambia, ci trasforma, ci rende capaci di amare non secondo la misura umana, sempre limitata, ma secondo la misura di Dio. E qual è la misura di Dio? Senza misura! La misura di Dio è senza misura” (Papa Francesco).
 
2) Il nuovo nome di discepoli: AMICI.
 
Come conseguenza logica all’affermazione “Come io ho amato voi” ci saremmo aspettati una frase di questo tipo: “Così voi amate me”. Invece Gesù dice ai suoi discepoli ad amarsi vicendevolmente: “Amatevi gli uni gli altri”. Cristo “comanda” ai suoi discepoli un amore che tende alla reciprocità. Naturalmente se questo amore vuole somigliare a quello di Cristo, deve nascere da una gratuità. Nell’amore di Gesù la dimensione della gratuità è fondamentale ed anche il nostro amore deve averla. L'amore di Gesù non vuole possedere il discepolo. Il Redentore invita ad un amore vicendevole: “Amatevi reciprocamente”, perché il vero amore è missionario e fecondo. Cristo spinge ad un esodo d’amore, che spinge verso gli altri. E’ offrendo amore ai fratelli che si ricambia quello di Gesù.
 
L’altro è una grazia inevitabile, che se l’accogliamo fa maturare il nostro cuore, dilatandolo. L’altro, accolto da me, proclama in me la vittoria dell’amore.
 
L’amore di Gesù, ragione, modello, norma, fonte e misura dell’amore verso l’altro, è un amore di amicizia, dunque un rapporto fiducioso fra persone, un dialogo fraterno.
 
Almeno tre sono le caratteristiche di questo rapporto d’amicizia: la totale dedizione (“Nessun amore è più grande di chi dà la vita per i suoi amici”); la confidente familiarità (“Vi ho confidato tutto ciò che ho ascoltato dal Padre mio”); la scelta vocazionale, che è predilezione gratuita (“Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi).
 
In quanto destinatari di questa predilezione, i discepoli sono “elevati” al rango di amici, che hanno fatto e fanno esperienza dell’amore di Cristo, che ha detto e messo in pratica questa affermazione: “Non c’è amore più grande che dare la vita per gli amici”. Che cosa vuole dire ciò? Molto semplicemente vuol dire che noi siamo inclusi nella carità del Cuore di Cristo. Significa che noi siamo amati da Cristo e che, se l’amore è un esodo da sé, per comprenderne le esigenze dobbiamo uscire da noi e metterci nel Cuore del Signore e, poi, domandarci come ci ama e cosa attende da noi. Il comando dell’amore implica la “necessità” di volere per noi il bene che Lui ci vuole, il dovere di amare noi stessi e di amare gli altri come li ama Lui.
 
3) Amore reciproco: l’amicizia.
 
Parlando di amicizia, Gesù insiste sulla reciprocità dell'amore. Infatti, in che senso l’amicizia è distinguibile dall'amore? Nel senso che l'amicizia è un amore reciproco. Secondo Sant’Agostino non c’è amicizia senza reciprocità, che però non è un calcolo, perché nella vera amicizia non c’è pretesa. Infatti, a modello e fondamento dell’amore reciproco, cioè dell’amicizia, Cristo pone il “come io ho amato voi”, cioè la Croce, dunque la gratuità.
 
La reciprocità cristiana nasce dalla gratuità, che non vuol dire “prestazione non pagata, fatta senza un motivo”, ma fatta con il più grande dei motivi: l’amore.
 
L’amore cristiano è reciproco, ma asimmetrico: il dare e il ricevere non sono sullo stesso piano. La reciprocità evangelica non è il semplice scambio. La nota che la caratterizza è la gratuità che è la verità dell'amore di Dio, ed al tempo stesso la verità del nostro amore. Certo l’amore – quello di Dio come quello dell'uomo – tende alla reciprocità: la costruisce. Ma la reciprocità non è la sua radice né la sua misura. Se ami solo nella misura in cui sei ricambiato, il tuo non è vero amore. E se sei amato solo nella misura in cui dai, non ti senti veramente amato. Soltanto chi comprende questa gratuità nativa, originaria, dell'amore, è in condizione di comprendere Dio e se stesso. L’uomo, immagine e somiglianza di Dio, è fatto per donarsi gratuitamente, totalmente: quindi, nel farsi gratuità, trova la verità di se stesso e manifesta il suo essere “immagine di Dio”.
 
Un esempio di come vivere questo amore -reciproco e asimmetrico- ci viene dalle Vergini consacrate nel mondo.
 
Questa esemplarità nasce, come si sa, dalla carità, dall'osservanza regolare, dalla disponibilità al servizio della Chiesa, che è il Corpo di Cristo. Dalla carità, poi, nasce l'imitazione. “Se amiamo veramente, imitiamo: non possiamo rendere un frutto migliore dell'amore che mostrando l'esempio dell'imitazione” (S. Agostino,Sermone, 304, 2,2)Per questo S. Agostino esorta particolarmente le vergini consacrate a salire su su per i gradi delle beatitudini, imitando in ciascuno di essi le corrispondenti virtù di Cristo. “Beati i poveri di spirito! Imitate colui che, essendo ricco, si è fatto povero per voi (Cfr 2 Cor 8,9). Beati i miti! Imitate colui che disse: “Imparate da me, perché sono mite ed umile di cuore” (Mt 11, 29) … Imitate colui che disse: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 4, 34)… Beati i puri di cuore! Imitate colui che non commise peccato e sulla cui bocca non si è trovato inganno (1 Pt 2,22). Beati i pacifici! Imitate colui che pregò per i suoi carnefici: Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Beati i perseguitati per amore della giustizia! Imitate colui che patì per voi, lasciandovi un esempio affinché ne seguiate le orme (1 Pt 2, 21). Coloro che imitano l’Agnello in queste virtù, in queste stesse ne seguono le orme” (S. Agostino, De S. Virg. 28, 28)
 
Le vergini consacrate, inoltre, seguono, cioè imitano l'Agnello nello splendore della verginità. “Voi dunque - dice loro S. Agostino - seguite l'Agnello conservando con perseveranza ciò che avete consacrato a Lui con ardore” (ibid, 29,29).
 
Le vergini consacrate testimoniano che il fondamento dell'amicizia è l'amore di Dio al quale loro si sono consacrate totalmente. S. Agostino dice: “Ama veramente l'amico chi ama Dio nell'amico o perché Dio è in lui o perché sia in lui” (Serm. 3, 6, 2). Ne segue che l'amicizia vera è è quella che Dio annoda con la sua grazia. “Non c’è vera amicizia - scrive questo grande Santo nelle Confessioni - se non quando l'annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell'amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato” (Conf. 4,4,7).
 
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LETTURA PATRISTICA
Sant’Agostino d’Ippona (354 -430)
De Trinititate, 14, 17, 23
 
L’immagine si rinnova avvicinandosi progressivamente a Dio
 
Certo, il rinnovamento di cui ora si parla, non si compie istantaneamente con la conversione stessa, come il rinnovamento del Battesimo si compie istantaneamente con la remissione di tutti i peccati, senza che rimanga da rimettere la più piccola colpa. Ma come una cosa è non avere più la febbre, altra cosa ristabilirsi dalla debolezza causata dalla febbre, ancora come una cosa è estrarre il dardo conficcato nel corpo, altra cosa poi guarire con un’altra cura la ferita procurata dal dardo; così la prima cura consiste nel rimuovere la causa della malattia, ciò che avviene con il perdono di tutti i peccati, la seconda nel curare la malattia stessa, ciò che avviene a poco a poco progredendo nel rinnovamento di questa immagine. Questi due momenti sono indicati nel Salmo in cui si legge: "Egli perdona tutte le tue iniquità", ciò che si attua nel Battesimo; poi il Salmo continua: "Egli guarisce tutte le tue malattie" (Ps 102,3), ciò che si attua con i progressi quotidiani, quando si rinnova questa immagine. Di questo rinnovamento parla assai chiaramente l’Apostolo quando dice: "Quantunque il nostro uomo esteriore vada deperendo, quello interiore però si rinnova di giorno in giorno" (2Co 4,16). Ora "si rinnova nella conoscenza di Dio" (Col 3,10), cioè "nella vera giustizia e santità" (Ep 4,24), secondo i termini usati dall’Apostolo nelle testimonianze che ho riportato un po’ più sopra. Dunque colui che di giorno in giorno si rinnova progredendo nella conoscenza di Dio e nella vera giustizia e santità, trasporta il suo amore dalle cose temporali alle cose eterne, dalle cose sensibili alle intelligibili, dalle carnali alle spirituali e si dedica con cura a separarsi dalle cose temporali, frenando ed indebolendo la passione, e ad unirsi con la carità a quelle eterne. Non gli è possibile però questo che nella misura in cui riceve l’aiuto di Dio. E Dio che l’ha detto: "Senza di me non potete far nulla" (Jn 15,5). Chiunque l’ultimo giorno di questa vita sorprenda in tale progresso e accrescimento, e nella fede nel Mediatore, questi sarà accolto dai santi Angeli per essere condotto a Dio che ha onorato e per ricevere da lui la sua perfezione, alla fine dei tempi gli sarà dato un corpo incorruttibile per non essere destinato alla sofferenza, ma alla gloria. In questa immagine sarà perfetta la somiglianza di Dio (Gn 5,1 Jc 3,9), quando sarà perfetta la visione di Dio. Di questa visione l’apostolo Paolo dice: "Ora vediamo per mezzo di uno specchio in enigma, ma allora a faccia a faccia" (1Co 13,12). Egli dice pure: "Noi che, a faccia velata, rispecchiamo la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, in conformità all’operazione del Signore che è spirito" (2Co 3,18). E questo che si realizza in coloro che progrediscono di giorno in giorno nel bene.
 
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NOTE
 
1 L'avverbio come, nel testo originario del Vangelo: kathós, in greco non esprime solo un paragone, ma anche il fondamento e l’origine: l’amore di Cristo è norma e fondamento di ogni amore. Il brano evangelico potrebbe essere tradotto anche con questa parafrasi: “Per il fatto che io vi ho amato così, che siete stati chiamati dentro il mio amore concreto, amatevi anche voi con questo amore dal quale siete stati chiamati e costituiti, e nel quale esistete. Lasciate che l’amore che ho effuso in voi, con il quale vi faccio vivere e guardare alla realtà, arrivi all’altro, chiunque esso sia”.