lunedì 1 giugno 2015

Le donne e la vecchiaia




(Lucetta Scaraffia) Nel corso dell’ultimo secolo la durata della vita si è talmente allungata da arrivare quasi a raddoppiare quello che era il dato medio all’inizio dell’Ottocento, almeno per quanto riguarda i paesi cosiddetti avanzati. E in questa gara a chi vive più a lungo le donne mantengono ovunque il primato, anche se sono quelle che si curano di meno; quando poi prendono medicine, si tratta di farmaci testati solo sugli uomini. Qualcuno dice che è perché non lavorano, ma si tratta di una ipotesi facilmente smentita dalla realtà: le donne lavorano in media molto più degli uomini perché aggiungono ai ruoli familiari quelli professionali. La risposta vera sta forse nella maggiore capacità delle donne di affrontare la vecchiaia: non avendo puntato tutto sulla realizzazione nel lavoro — come fanno gli uomini, che entrano spesso in depressione quando vanno in pensione — accettano più facilmente una fase della vita in cui la realizzazione di sé è limitata ai rapporti personali, alle soddisfazioni affettive e all’esercizio della solidarietà. Proprio per questo — da quando è quasi scomparsa la mortalità per parto, che ha segnato per secoli il loro destino — le donne anziane si sono moltiplicate, assumendo anche ruoli nuovi ed esplorando spesso impensate possibilità. Che non sono solo fare ginnastica o curarsi di più di se stesse, come suggeriscono i media, ma anche, forse soprattutto, approfondire la loro vita spirituale. Quell’aspetto che era forzatamente trascurato negli anni del doppio se non triplo impegno lavorativo, nel tempo della vecchiaia è finalmente accessibile anche a loro. È come se l’allungamento della vita offrisse a molte donne la possibilità non solo di aiutare gli altri, allargando il raggio degli affetti e dei legami, ma anche di approfondire il senso della loro vita, del loro impegno religioso, con letture e incontri, con pellegrinaggi e ritiri spirituali, trovando in questa dimensione un nutrimento dell’anima di tipo nuovo. I primi a beneficiare di questo impegno sono i familiari, accompagnati nella preghiera con maggiore attenzione, ma anche tutte le persone che appartengono al loro gruppo sociale, che ne riconoscono la capacità rinnovata di aiuto e di ascolto. Se ci guardiamo intorno, vediamo che le donne anziane tengono in piedi il mondo: non solo come nonne che aiutano spesso in maniera insostituibile ad allevare i nipoti, ma anche come assistenti dei poveri e dei più anziani, come aiuto dei parroci nella vita di parrocchia, dove spesso impegnano il loro tempo improvvisamente libero. Ma anche, e non secondariamente, nella preghiera: le anziane sono capaci di sostenere per questa via la vita delle persone care, che spesso non ne sono neppure consapevoli. Ed è risaputo, come conferma suor Emidia, intervistata in prima pagina, che le donne sanno sopportare meglio la sofferenza fisica, e trasformare anche le crescenti sofferenze in nuove opportunità per lo spirito. La vecchiaia femminile quindi è potenzialmente carica di doni, tanto che gli uomini dovrebbero imparare da questo modello, come fa Simeone nel prendere in braccio il piccolo Gesù, rivelando una tenerezza materna. (lucetta scaraffia)
L'Osservatore Romano