mercoledì 6 novembre 2013

Per l’India e per i suoi poveri




Solidarietà e servizio priorità della comunità ecclesiale.

La Chiesa in India non può restare muta testimone della povertà e delle grandi contraddizioni che attraversano il Paese. Deve, al contrario, mostrare sempre più il suo volto caritatevole, accogliendo l’invito di Papa Francesco per una Chiesa che sia realmente al servizio dei più poveri della società. È l’impegno ribadito nel corso di un simposio nazionale organizzato, in occasione della chiusura dell’Anno della fede, per riflettere sull’applicazione, nell’India di oggi, della dottrina sociale della Chiesa, alla luce dei documenti del concilio Vaticano II. All’incontro hanno partecipato vescovi, sacerdoti, religiosi e 550 delegati provenienti da 44 diocesi di tutto il Paese. «Abbiamo riflettuto sull’India di oggi. Il nostro è un Paese segnato da grande progresso economico e tecnologico, un Paese che sta diventando sempre più omogeneo sotto l’impatto dei media e della globalizzazione. Ma l’India ha anche i suoi lati negativi», ha detto il vescovo ausiliare di Bombay, Agnelo Rufino Gracias, presidente della Commissione per la teologia e la dottrina della Conference of Catholic Bishops of India.
L’India è un Paese grande come le sue contraddizioni. Da un lato c’è un’economia in rapido sviluppo, e dall’altro un crescente numero di poveri del tutto ignorati. Una persona su tre è sotto la soglia di povertà, con circa 300 milioni di migranti in cerca di lavoro e di sopravvivenza. Secondo il Global Hunger Index Report 2011-2013, un quarto della popolazione mondiale affamata vive in India (210 milioni su 842 milioni) e il 43,5 per cento dei bambini malnutriti sotto i 5 anni al mondo sono indiani.
In questo contesto si è dunque svolto il simposio della Chiesa in India, che ha avuto lo scopo di riflettere su come poter svolgere un ruolo profetico e di testimonianza per la persona e il messaggio di Gesù. E su come concretamente poter combattere la diffusa povertà e costruire una reale civiltà dell’amore.
In particolare, i partecipanti all’incontro hanno sviluppato alcune linee d’azione. In primo luogo, è stato chiesto di seguire con fedeltà l’invito di Papa Francesco che ripetutamente chiede che la Chiesa sia «la Chiesa dei poveri». In questo senso, l’episcopato è stato sollecitato a rendere più efficace l’Education Policy, per spingere le scuole cattoliche e gli altri istituti educativi della Chiesa a essere ancora più vicini ai poveri. I partecipanti al simposio si sono detti poi pronti a combattere la cosiddetta cultura del benessere, «che ci fa pensare a noi stessi e ci rende insensibili ai bisogni degli altri, e che conduce a una “globalizzazione dell’indifferenza”. Come l’uomo ricco nella parabola di Gesù, noi siamo abituati alla sofferenza di Lazzaro. Essa non ci preoccupa». Di qui un impegno che è chiamato a coniugarsi con le azioni di ogni giorno, contrastando ingiustizie e irregolarità. «Noi lotteremo contro la corruzione in ogni modo possibile, né pagheremo o daremo mazzette, chiedendo una ricevuta per ogni acquisto, pagando salari giusti a quelli che lavorano per noi. Useremo i meccanismi e le facilitazioni disponibili, come il Right to Information Act e il Food Security Bill (il provvedimento che prevede la distribuzione di cibo a prezzi calmierati) per combattere la corruzione e lenire le fatiche dei poveri. Saremo coraggiosi nel denunciare tutto ciò che è malvagio, ingiusto e sbagliato, per annunciare davvero la Buona Novella. La cultura del silenzio ha portato alla “cultura della morte”». Infine, l’impegno ad avere «particolare attenzione verso i deboli e gli emarginati, in particolare i dalit, unendoci alle proteste contro la violazione dei diritti umani. Esortiamo le nostre parrocchie a essere più attente nei loro confronti, accogliendoli nelle nostre parrocchie. Vogliamo essere persone che offrono loro speranza. Seguendo l’esempio dei primi cristiani, che hanno condiviso generosamente con i poveri, faremo personali sacrifici, per quanto essi possano costarci, per i poveri, i dalit e i tribali di oggi. Solo allora diventeremo davvero la Chiesa dei poveri».
L'Osservatore Romano