di Costanza Miriano foto di Leonora Giovanazzi
Partiamo baldanzose, io e Leonora – lei la mente, io le gambe – alla ricerca del Convento dei Cappuccini: la messa è in italiano, alle dieci, orario da gruppo vacanze, perfetto. Il navigatore dice una cosa, il valletto dell’albergo un’altra, il passante con aria da residente un’altra ancora. Mentre vaghiamo con la testa bassa, Leo sulla mappa dell’iPhone, io alla ricerca di rametti spezzati e impronte di cervi – sicuro segno della vicinanza di una messa – alziamo per caso lo sguardo e vediamo della gente che entra in una chiesa. Non era quella che volevamo, ma la messa sta cominciando, è in una lingua comprensibile, inglese, e nel nostro rito, cattolico, due coincidenze notevoli qui a Gerusalemme. Non si può dire di no (previo esame della suora che ci chiede se siamo cattoliche, ormai anche a questo mi sto abituando).
L’insegnamento numero due del viaggio in Terra Santa, dopo quello sul cibo, è: “le mie vie non sono le vostre vie”. Oggi neanche una delle tappe che avevamo programmato è andata secondo i piani. Eppure ho la sensazione che vada bene così.
Intanto la processione di ragazze filippine che alla fine della messa portano una rosa ciascuna ai piedi della statua della Madonna è di una tenerezza incredibile. E poi il sacerdote nell’omelia racconta che una volta a un esame ai ragazzi era consentito portarsi solo un foglio con degli appunti. Tutto quello che fosse entrato nel foglio sarebbe stato lecito, ma solo quello. Tutti si erano sforzati di scrivere più cose possibile, in caratteri minuscoli e super stretti. Il più furbo di tutti però mise il foglio per terra e ci fece salire sopra un amico bravo. Anche l’amico era entrato nel foglio, e il prof. dovette passare l’espediente. Il ragazzo fu l’unico a superare l’esame, grazie ai suggerimenti giusti. Anche noi possiamo avere accanto l’amico bravo, ma non ci pensiamo mai.
Non sarà alta teologia, ma a me è servito, perché credo che siamo noi a non chiamarlo Gesù, il più delle volte, a non chiedergli aiuto per l’esame, a non approfittare della sua amicizia. Così ci incartiamo nei modi più assurdi e ci annodiamo e ci complichiamo la vita.
Mi sembrava che questo invito inatteso nella Terra Santa che ho ricevuto fosse un invito a venire sui suoi passi, a cercarlo nei suoi luoghi, ma tutta la giornata di oggi mi ha detto piuttosto che le sue vie non sono le nostre vie, l’ho sentito chiedermi “perché cercate tra i morti colui che vive?” Perché oggi tutti i luoghi in cui volevo andare erano chiusi, chiusi per un pelo, chiusi per il Papa, chiusi per motivi di sicurezza, ma chiusi.
Ma, alla fine, succede molto di più nell’anonima parrocchia di periferia. Dio si fa carne e si lascia mangiare. Non che questi luoghi non siano santi e benedetti, non che non sia felicissima di essere qui, ma questi cancelli chiusi mi hanno ricordato dove mettere il cuore.
Dopo la messa ci incamminiamo verso l’orto degli Ulivi, ma prima, pensando di avere tutta la giornata a disposizione, ci fermiamo nel mercatino tradizionale a comprare piccoli regali (insegnamento numero tre: coprire le spalle con qualcosa, qui gli uomini sono molto sensibili ai centimetri di pelle nuda). Spezie e tè profumati e incensi intensissimi e preparati per insalate e zuppe che mescolano dolce e salato, uvetta e curry, cardamomo e anice, e ogni tipo di erba ti entrano dentro, con odori mai sentiti così forti.
A pranzo, dopo la visita al cortile della flagellazione, ci fermiamo in un posto a caso – tanto io bevo solo, mi sono fatta un panino in albergo al mega buffet multistrato della colazione, l’ho avvolto in un fazzoletto e ce l’ho nella borsa, la vera cafona del gruppo vacanze (non posso vedere tutto quel ben di Dio senza prendere niente). Le condizioni igieniche sono un po’ creative, ma tanto io sto ingerendo ogni sorta di batterio nella speranza di avere almeno un po’ di dissenteria (come quella del diavolo veste Prada: “giusto un piccolo attacco e sono pronta per le sfilate”).
Vicino a noi siedono Barbie e Ken, una coppia di bellissimi, che poi si rivelano lui italiano lei tedesca. Vivono a Tel Aviv, città di cui tutti magnificano la vita notturna più cool (o hot? Come si dice? Non farò mai la redattrice di costume…). Socializziamo brevemente, perché abbiamo fretta di tornare al Sepolcro (chiuso causa Papa) e di andare al Getsemani (chiuso lo stesso, fino a martedì).
Anche il luogo in cui i discepoli si addormentano è chiuso, e così saliamo fino al Dominus Flevit, il luogo da cui Gesù la domenica delle palme guardando Gerusalemme – la vista è perfetta – pianse. Ci fermiamo a riposare, il sole picchia fortissimo, il custode ci offre un caffè arabo. Un po’ deluse da tante tappe a vuoto entriamo nella chiesetta costruita per ricordare il pianto di Gesù per dire il rosario. Lì lo sguardo mi cade sul mosaico – niente di antico, niente di artisticamente significativo – che raffigura una gallina che tiene i pulcini sotto le sue ali. Mi ricordo che Gesù disse che tante volte aveva cercato di proteggere gli abitanti della città come una gallina con i suoi pulcini, “ma voi non avete voluto”. E le lacrime che versò quella volta sono un po’ anche per noi, che proprio non lo vogliamo come amico, non lo vogliamo far salire su quel foglio bianco perché ci aiuti all’esame.
Torniamo a casa – dell’orto degli Ulivi per il momento ho solo un fiore di bouganville che sporgeva dal muro, pur sempre nutrito da quella terra (ma ci torniamo) – attraverso la via che Gesù ha fatto con la croce, e dopo la corsa (il modo migliore per conoscere le città, e poi la strada questa volta ha un nome facile da ricordare: King David, King David, King David, ce la posso fare a non perdermi) andiamo alla conferenza stampa di padre Lombardi, travestite da giornaliste. Il segreto è simulare sicurezza, sapere sempre dove si sta andando, anche quando si infila la porta del bagno invece di quella dell’ascensore.
Pare che l’incontro tra Peres e Abu Mazen a casa di Francesco sarà molto presto (qualcuno in sala stampa parla del 6 giugno) e che l’obiettivo finale del Papa in tema di ecumenismo sarà celebrare l’eucaristia con tutti i cristiani, di tutti i riti. Intanto al Santo Sepolcro hanno pregato insieme.
Dopo cena c’è un cocktail su una super terrazza panoramica offerto dal sindaco di Gerusalemme, con cibo buonissimo (un buffissimo ragazzo dell’organizzazione per spiegarmi i cibi mi fa tutti i versi degli animali), e vini super (dicono, io non bevo), ma fa troppo freddo e dobbiamo correre in albergo a scrivere. Il grande capo indiano Estiqaatsi aspetta ansioso i miei aggiornamenti.
Domattina l’incontro con Peres (mi fanno già male i piedi preventivamente per i tacchi). Peccato, perché volevo chiedere al sindaco se mi trovava una casetta a Gerusalemme. Niente di che, mi accontento anche di un monolocale vista Getsemani.