Soglie del mistero per credenti in cammino
La morte di Dio era per alcuni una certezza qualche decennio fa. Anzi, già al tramonto del XIX secolo l’uomo folle di Nietzsche denunciava e annunciava la morte di Dio con toni trionfalistici e tragici al contempo. Un requiem aeternam Deo tanto famoso quanto infame, tanto realista quanto illuso. Geniale, ma illuso, perché Dio non è morto. E non è un’affermazione credente. È un’affermazione sociologica. Viviamo un ritorno al sacro, un ritorno del divino.
Non solo Nietzsche ha sbagliato, ma anche i protagonisti della cosiddetta «teologia della morte di Dio» come J. Robinson, W. Hamilton, Th. Altizer, per dire solo qualche nome. Le premonizioni delle loro teologie non hanno colto nel segno. La secolarizzazione non ha eroso il “senso religioso” e le esigenze metafisiche dell’uomo.
Anche la grandissima sensibilità di Dietrich Bonhoeffer, loro antenato forse, non ha potuto prevedere lo scenario attuale. Il grande teologo e martire protestante parlava dell’avvento di una coscienza non religiosa e scriveva convinto: «Stiamo andando incontro ad un tempo completamente non-religioso; gli uomini, così come ormai sono, semplicemente non possono essere religiosi. Anche coloro che si definiscono sinceramente “religiosi”, non lo mettono in pratica in nessun modo».
Questo scenario prospettato dista anni luce dalla situazione in cui viviamo. Il Cardinal Gianfranco Ravasi osserva al riguardo che «quel Dio che qualche decennio fa sembrava irrimediabilmente morto, persino nella teologia – e per di più neppure ucciso dagli uomini, come esagitatamente declamava il filosofo tedesco Nietzsche nella sua opera Gaia scienza(1882), ma semplicemente sepolto dall’oblio dell’uomo evoluto –, in realtà sembra più vivo che mai».
Ma un uomo della cultura di Ravasi non si arrende al facile ed epidermico trionfalismo del ritorno di Dio. Per questo, nel suo libro Sulle tracce di un incontro. Soglie del mistero per credenti in cammino, edito dalla San Paolo, invita a soffermarsi sulla fisionomia di tale Dio perché, come ci ricorda il profetico David Maria Turoldo, il problema fondamentale non è tanto se Dio esista o no, quanto piuttosto quale Dio scegliere.
In termini più diretti e crudi: Chi è questo Dio che è tornato? Che volto ha questa esperienza religiosa? Che cosa significa religioso in questo contesto? È “Dio” – si chiede Ravasi con acuta ironia – quel sacro «fluido e inconsistente della New Age, simile a una medusa, avvolto in melodie un po’ melense, collocato su altari di raffinato design all’interno di chiese simili al club di fitness dell’anima, con un’“eucaristia” analoga a una dieta purificatrice, capace di miscelare yogurt e yoga?».
L’itinerario proposto da Ravasi in questo suo libro è di una riscoperta e orientamento del senso religioso, orientato non verso un dio fatto a misura da indossare e da consumare, ma verso un incontro con il Tu di Dio irriducibile a qualsiasi idolo.
Il cammino tracciato, con una sensibilità mistagogica, parte dal risvegliare la sete di senso e di pienezza non di rado soffocata e assopita dai tanti, troppi, impulsi a cui siamo sottoposti e a cui ci sottoponiamo più che volentieri. È questa la figura dell’uomo contemporaneo: «Con le mani alzate in segno di adorazione e di resa di fronte al Moloch televisivo, l’uomo contemporaneo sa tutto sui cibi e sui vestiti, sulle mode e sui consumi, ma non è più in grado di porsi le domande autenticamente “religiose” che artigliano la coscienza, non sa più scoprire il senso della vita, le radici dell’essere, la via del bene e quella del male, la meta dell’esistenza. Conosce il prezzo di tutto, ma ignora il valore vero della realtà» (12).
Il cammino si delinea in 12 tappe partendo appunto dal superamento dell’indifferenza, verso la presa di coscienza del “Dio nascosto” che non è riconducibile a nessuno schema razionale immediato. Dall’allenare il cuore all’ascolto della “voce di silenzio sottile” per accogliere la Parola e vivere la preghiera e l’incontro con Dio nella bellezza che si rispecchia sommamente nell’uomo immagine di Dio conformato alla sua somiglianza nell’amore.
R. Cheaib