E due! Dopo il lungometraggio “droghiamoci meglio droghiamoci tutti”, proiettato a inizio mese con l’approvazione del decreto sugli stupefacenti, la multisala Parlamento 68 ha sfornato ieri un nuovo film, quello del “divorzio sprint”. La versione definitiva sarà proiettata a breve sugli schermi del Senato: se però i numeri della Camera hanno un senso, la circostanza che la nuova legge sia passata con 381 a favore, 14 astenuti e 30 contrari non lascia dubbi sul seguito a Palazzo Madama. La vicenda esige considerazioni di merito, e poi nel comportamento tenuto dalle varie forze politiche, e infine quanto alle prospettive per ciò che interessa la famiglia.
Nel merito. Il sistema in vigore finora prevede che la domanda di divorzio possa essere proposta purché siano decorsi tre anni dalla comparizione delle parti davanti al presidente del tribunale per il giudizio di separazione personale; col nuovo testo sarà sufficiente un anno dalla notifica del ricorso per il giudizio di separazione. Dunque, la riduzione di tempo disposta dalle nuove norme supera i due anni rispetto al sistema attuale. Se la separazione è consensuale, il nuovo testo riduce l’anno a sei mesi; il tutto prescinde dalla esistenza e dalla età dei figli. È evidente che una così drastica riduzione dei termini ha come effetto immediato quello di rendere più difficili ripensamenti o ricomposizioni, e che il giudizio di separazione non è più – come secondo la logica originaria della prima legge sul divorzio, la c.d. Fortuna-Baslini, del 1970 – l’occasione per prendere le distanze da una situazione di difficile convivenza/coabitazione: un tempo non lunghissimo, ma neanche di poche settimane, che lasciava aperta la prospettiva di un ritorno alla vita comune insieme (poco probabile, ma non impossibile), derivante anche da una congrua esperienza di vita per conto proprio. Con la nuova legge, la separazione, o meglio la richiesta di separazione – non si attende la sentenza di separazione – diventa il semplice formale passaggio verso il divorzio; varrebbe la pena eliminare ogni residua ipocrisia e unificare separazione e divorzio in un unico procedimento, visto che l’obiettivo è arrivare il prima possibile al divorzio. Altrettanto evidente è che i figli non contano nulla: una mamma di bambini nati da poco può trovarsi nel giro di poco più di un anno nella condizione di “divorziata” senza volerlo, e probabilmente, vista la fretta, senza che le disposizioni relative ai piccoli siano sufficientemente ponderate; peggio, può trovarsi nella debolezza di accettare “questa minestra” per non “uscire dalla finestra”, alla faccia della parità e della tutela dei minori.
I voti. Due giorni fa l’Istat ha certificato che nel 2013 l’Italia ha toccato il limite negativo di nuove nascite; dipende da tante ragioni, non ultima la scarsa stabilità dei nuclei familiari: le più accurate ricerche attestano che le famiglie fondate sul matrimonio hanno una più elevata propensione a mettere al mondo figli rispetto a situazioni differenti (convivenze o single). Qualche ora prima i rappresentanti dei partiti che alle elezioni europee hanno perso, o hanno conseguito un minor numero di voti rispetto alle previsioni, hanno espresso il proposito di rivolgersi per il futuro al 42% di astenuti, per raccogliere le istanze che quegli elettori. Poiché fra le istanze rimaste senza risposta ci sono certamente quelle – non soltanto – del silenzioso popolo delle famiglie, alla prima occasione utile si è pensato bene di dare ragione al partito del non-voto, e si è mostrato sovrano disinteresse per il futuro demografico della Nazione. Ncd, non pago della splendida performance elettorale, né del contributo determinante fornito all’approvazione della legge sulla droga, ha ufficialmente dichiarato il proprio favore al divorzio-sprint, con le eccezioni, manifestate in motivati dissensi e in voti contrari di Eugenia Roccella, Alessandro Pagano e Raffaele Calabrò. La Lega ha lasciato libertà di coscienza ai suoi deputati, con toni molto critici sul provvedimento: il che è come dire che su un tema così cruciale non ha posizione; Massimiliano Fedriga ha però motivato il suo voto contrario. Forza Italia ha avuto un proprio deputato correlatore della legge, Luca D’Alessandro, dunque non l’ha solo votata, ma ha concorso a formarla, e di questo si è reso interprete in modo trionfale Giancarlo Galan: chi in FI ha manifestato dissenso sono stati Antonio Palmieri e Luca Squeri. Scelta civica ha entusiasticamente approvato il divorzio sprint, dopo avere – in poco più di un anno, quindi nei termini della legge – divorziato dal proprio elettorato. Fratelli d’Italia, con La Russa, si è associato, dissociandosi anch’egli da larga parte dell’elettorato del suo partito. Il solo gruppo che ha votato contro è stato quello dei Popolari per l’Italia: Paola Binetti e Mario Sberna hanno espresso la loro opposizione. È da segnalare, nel Pd, l’astensione di Beppe Fioroni. Ovviamente non c’è neanche da dire di Pd, Sel e M5S.
Prospettive. La programmazione della multisala Parlamento 68 è intensa, ed è ancora in corso. Mancano all’appello le unioni civili – si chiamano così, ma sono un paramatrimonio fra persone dello stesso sesso –, in Commissione Giustizia al Senato, il d.d.l. Scalfarotto, sempre nella stessa Commissione, e l’ultimo provvedimento pervenuto all’esame: il doppio cognome, che ha fatto il suo esordio due giorni fa in Commissione Giustizia alla Camera, con la relazione di Michela Marzano. Il popolo della famiglia può decidere di continuare a restare a casa: visti i comportamenti dei partiti dai quali poteva attendersi qualcosa di più, potrebbe convincersi che una parte di esso ha fatto bene a non andare a votare. È evidente, però, che se l’Aventino prosegue nelle piazze, e se vicende come la droga o il divorzio sprint passano senza alcun tipo di reazione, poi dovrà astenersi anche dal protestare, non avendone più alcuna legittimazione. Se invece decidesse che è l’ora di smetterla, e comunicasse le proprie opinioni con un nuovo Family day, potrebbero accorgersene perfino dentro al Palazzo.