venerdì 16 maggio 2014

Emergenza globale




Ventuno milioni di persone vittime della tratta. 

(Antonio Maria Vegliò) «San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto». Con queste parole, pronunciate nell’omelia della canonizzazione del 27 aprile scorso, Papa Francesco ha voluto proporre una rilettura del passaggio evangelico dell’incontro di Tommaso con il Risorto.

Tra le ferite di cui oggi soffre il corpo di Cristo c’è, senza dubbio, quella della tratta degli esseri umani che — come ha affermato il Papa parlando alla conferenza internazionale sulla tratta delle persone umane il 10 aprile scorso — «è una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo. È un delitto contro l’umanità».
Quella della tratta è una realtà in significativo aumento, che coinvolge uomini e un numero più elevato di giovani donne e minorenni. A oggi, queste forme contemporanee di commercio di persone rappresentano il mercato maggiore dopo il traffico di armi e di droga. Da un calcolo approssimativo, sono circa ventuno milioni le persone schiavizzate nelle reti criminose, il cui giro d’affari ammonta a trentadue miliardi di dollari l’anno. La dimensione transnazionale delle organizzazioni criminali è dovuta anche alla protezione di alcuni ambienti corrotti della politica e delle forze dell’ordine, in particolar modo nei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori. Così avviene, per esempio, nelle zone del sud est asiatico, dove gli interessi economici connessi allo sfruttamento sessuale sono molto consistenti e diffusi.
La tratta è, nelle sue varie forme, una emergenza globale, una realtà che divora l’umanità delle persone. Nei Paesi di destinazione le donne, in particolare, vengono spesso considerate e trattate alla stregua dei criminali che lucrano sulla loro persona, e sono punite invece di essere protette.
Più volte Papa Francesco ha denunciato la tratta di persone, definendola «una vergogna per le nostre società che si dicono civilizzate». Proprio nel messaggio rivolto ai fedeli brasiliani in occasione della campagna quaresimale di fraternità 2014, il Pontefice ha affermato: «Non è possibile rimanere indifferenti quando si viene a sapere che esistono degli esseri umani comprati e venduti come merci! Pensiamo alle adozioni di bambini destinati all’espianto di organi, alle donne ingannate e obbligate a prostituirsi, ai lavoratori sfruttati, senza diritti, né voce».
Tutti noi siamo chiamati a prendere coscienza di coloro che sono vittime di questo crimine, uomini e donne caduti nella trappola della «cultura dello scarto», che si trovano inghiottiti nella schiavitù e nell’indifferenza delle nostre società. Abbiamo il dovere di dare loro voce, di diffondere la cultura del rispetto dei diritti umani, sensibilizzando a tenere comportamenti responsabili a tutti i livelli, e promovendo azioni concrete e coordinate per aiutare le vittime e prevenire questa piaga.
Il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, tra le sue varie competenze, segue con attenzione la questione della tratta, approfondendone lo studio e incoraggiando gli impegni volti a far conoscere e a combattere questo fenomeno. Nell’ultimo documento, Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate. Orientamenti pastorali, pubblicato nel giugno 2013, non mancano indicazioni su questo tema.
Sono diverse le iniziative che vedono la Santa Sede in prima linea nella lotta contro questo crimine, come la già citata conferenza internazionale sulla tratta delle persone umane, svoltasi in Vaticano il 9 e il 10 aprile, e l’accordo firmato tra la Santa Sede e altre confessioni religiose, che istituisce il Global Freedom Network, per sradicare le moderne schiavitù. Anche a livello delle Chiese locali e delle congregazioni religiose, non mancano attività ed eventi organizzati in diverse nazioni, tra i quali ricordiamo i programmi «Slave no more» e la rete internazionale «Talità Kum» delle religiose contro la tratta, la giornata di preghiera contro il traffico di vite umane svoltasi a Manila lo scorso dicembre, la già citata campagna di fraternità brasiliana sul tema «È per la libertà che Cristo ci ha liberati», o le via crucis di solidarietà e preghiera appositamente organizzate.
Perché tale fenomeno possa essere sradicato, è necessaria, anzitutto, la conversione dei criminali, che Papa Francesco, nel discorso indirizzato al dicastero il 24 maggio dello scorso anno, invitava a «fare un serio esame di coscienza davanti a se stessi e davanti a Dio». Ma il cambiamento dei cuori riguarda anche ciascuno di noi. Il Pontefice, nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, ci interpella chiedendoci: «Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato? Non facciamo finta di niente. Ci sono molte complicità. La domanda è per tutti! Nelle nostre città è impiantato questo crimine mafioso e aberrante, e molti hanno le mani che grondano sangue a causa di una complicità comoda e muta» (n. 211). Come ha affermato nell’omelia del 27 aprile, i due Papi canonizzati «non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello, perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù». I santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II intercedano presso il Padre affinché diventiamo sensibili a questa tragica realtà.
L'Osservatore Romano