sabato 3 maggio 2014

III Domenica di Pasqua - Anno A - 4 maggio 2014


Nella Terza Domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù risorto appare ai due discepoli di Èmmaus, che lo riconoscono solo nella frazione del pane. Ma il Signore scompare dalla loro vista. Allora dicono:

«Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 

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Gli occhi dei due discepoli di Emmaus non riconoscono il Signore. La croce ha inchiodato i loro occhi: lo hanno visto deposto nel sepolcro! Il pensiero che possa essere Lui neanche li sfiora. L’uomo che ora si unisce a loro non è che un “forestiero”. E mentre “il forestiero” svela la loro cecità, davanti alle Scritture, al cammino preparato da Dio per il suo Cristo, ne sono affascinati, il loro cuore arde, ma sono ancora increduli. Gli dicono: “Rimani con noi, perché si fa sera”. E “il forestiero” entra da loro. Gesù, dopo la sua morte e risurrezione, inizia a compiere l’opera, che affiderà poi alla sua Chiesa, di riunire i suoi discepoli, strappandoli alla loro incredulità e preparandoli a divenire suoi testimoni, pronti ad affrontare la morte, se necessario, ma assolutamente certi della notizia che accade davanti ai loro occhi: Cristo è vivo! È risorto. Lo riconoscono nella “frazione del pane”, nel segno che aveva anticipato loro nell’ultima cena: quel pane – il suo corpo – offerto per loro, quel calice – il suo sangue versato, la sua vittoria sulla morte. La notizia è così sconvolgente che anche per questi discepoli ora non c’è più tempo per altro, neppure per il riposo dopo una giornata di viaggio. Si alzano, subito, e corrono al Cenacolo, alla comunità dei Discepoli, che delusi avevano abbandonato, a confessare: “È vero! È risorto”. Questa notizia è per noi oggi. Anche davanti ai nostri occhi, impietriti dalla storia che non comprendiamo, dalla sofferenza, dalla paura, c’è oggi questo annuncio: “Cristo è risorto! È veramente risorto!”.

(don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma)
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MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 65,1-2
Acclamate al Signore da tutta la terra,
cantate un inno al suo nome,
rendetegli gloria, elevate la lode. Alleluia.

 
Colletta

Esulti sempre il tuo popolo, o Padre, per la rinnovata giovinezza dello spirito, e come oggi si allieta per il dono della dignità filiale, così pregusti nella speranza il giorno glorioso della risurrezione. Per il nostro Signore...

 
Oppure:
O Dio, che in questo giorno memoriale della Pasqua raccogli la tua Chiesa pellegrina nel mondo, donaci il tuo Spirito, perché nella celebrazione del mistero eucaristico riconosciamo il Cristo crocifisso e risorto che apre il nostro cuore all'intelligenza delle Scritture, e si rivela a noi nell'atto di spezzare il pane. Egli è Dio...


LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  
At 2, 14a. 22-33
Non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere.

Dagli Atti degli Apostoli
[ Nel giorno di Pentecoste, ] Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò così:
«Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene –, consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso.
Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. Dice infatti Davide a suo riguardo: “Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza”.
Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: “questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione”.
Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire».


Salmo Responsoriale
 
Dal Salmo 15
Mostraci, Signore, il sentiero della vita.Oppure:  Alleluia, alleluia, alleluia.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto al Signore: «Il mio Signore sei tu».
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.

Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio animo mi istruisce.
Io pongo sempre davanti a me il Signore,
sta alla mia destra, non potrò vacillare.

Per questo gioisce il mio cuore
ed esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.

Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena alla tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.
 
Seconda Lettura
  1 Pt 1, 17-21
Foste liberati con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. 

Dalla prima lettera di san Pietro apostolo
Carissimi, se chiamate Padre colui che, senza fare preferenze, giudica ciascuno secondo le proprie opere, comportatevi con timore di Dio nel tempo in cui vivete quaggiù come stranieri.
Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia.
Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio.
 
Canto al Vangelo
   Cf Lc 24,32
Alleluia, alleluia.

Signore Gesù, facci comprendere le Scritture;
arde il nostro cuore mentre ci parli.

Alleluia.
   
   
Vangelo Lc 24, 13-35
Lo riconobbero nello spezzare il pane.


Dal vangelo secondo Luca
Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei[discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
 

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Noi speravamo...

Commento al Vangelo della III Domenica del Tempo di Pasqua 2014

La Pasqua è il trionfo della libertà. Il Vangelo di questa Domenica descrive la pedagogia divina, che educa l'uomo accompagnandolo sin dove la sua libertà schiava della carne lo conduce; e qui, trasformarlo nell'amore in un figlio di Dio, libero davvero per convertirsi, ovvero per ritornare "senza indugio" nel cuore della comunione e della Verità. 
E' il Vangelo dei lontani! In piena Pasqua è il Vangelo di chi non capisce e rifiuta la Pasqua. Perché c'è anche questo, c'era nella Chiesa primitiva, c'è stato durante la storia della Chiesa, c'è oggi. E c'è una Pasqua anche per quelli che, pur avendo ascoltato che "Gesù è vivo", non hanno celebrato nulla, incamminati in direzione opposta al Cenacolo. 
Il cammino dei due discepoli di Emmaus, infatti, è il cammino di quanti si allontanano dalla Chiesa, forse insoddisfatti perché le promesse e le aspettative sono state deluse: "Noi speravamo che Gesù fosse colui che avrebbe liberato Israele". Noi speravamo che Dio ascoltasse le nostre preghiere, e invece niente, papà è morto, mio figlio non ha lavoro, di un fidanzato neanche l'ombra. 
Noi speravamo che nella Chiesa ci fosse amore e carità, e invece il parroco pensa solo ai soldi, le persone sono ipocrite, le messe una sentina di giudizi e ostentazione. Noi speravamo che, anche se divorziati, potessimo essere accolti e fare la comunione, e invece qui ci impediscono di ricevere proprio Colui che dicono ami tutti. 
Noi speravamo, ce lo avevano insegnato a catechismo, che esistesse Dio e che Gesù fosse risuscitato, ma erano tutte chiacchiere ingannevoli; a scuola sì che il professore di filosofia ci ha schiarito le idee: crociate, inquisizione, potere temporale, e poi lo Ior e i preti pedofili, e tutte queste leggi omofobe e sessuofobe che sembrano fatte apposta per frustrare i sentimenti e i desideri più diversi. La ragione con la sua scienza accidenti, solo questa può spiegare quello che nessun prete è stato in grado di chiarire.
Noi speravamo, e in questo "noi" ci siamo tutti, tu ed io innanzitutto, e poi i nostri figli che dopo la cresima hanno salutato la Chiesa, i parenti, gli amici, i colleghi. Tutti quelli che abbiamo avuto un contatto con Cristo e la sua Chiesa e, per un motivo o per un altro, ce ne siamo allontanati. 
Chi da molto tempo, ed è ormai preso dai tentacoli del mondo e dai suoi criteri; e chi giusto il tempo per far causa a un vicino di casa, o per chiudere la porta del cuore alla moglie, o per farsi giustizia, visto che "sono passati tre giorni" e da Dio nessuna risposta.
Ed è proprio in tutta questa confusione e ignoranza che risplende la Pasqua; proprio "mentre" siamo "in cammino", ciascuno diretto al proprio "villaggio di nome Èmmaus", o Roma, o Tokyo: o le idee e le ideologie, o i giudizi sui preti e su Dio stesso, o il bar dove evaporare la gioventù, o qualsiasi luogo "distante circa undici chilometri da Gerusalemme" che è immagine della Chiesa, dove cerchiamo ragione del dolore, consolazione per i fallimenti, pace per le nevrosi, e senso che ci liberi dai complessi.
Sì, anche ogni cammino che ci allontana da Dio avviene "in quello stesso giorno", il giorno di Pasqua! La resurrezione di Cristo ci abbraccia proprio "mentre", come i due discepoli, "conversiamo e discutiamo" cercando di capire ma senza discernimento, nell'impossibilità di accettare il piano di Dio, che la via alla felicità e alla vita piena passa per la Croce.
Quando Papa Francesco ripete di andare alle "periferie dell'esistenza" e di preoccuparsi di annunciare il Vangelo della misericordia prima di affermare i principi, ci sta indicando quanto accaduto sulla strada che conduceva a Emmaus! 
Su di essa transitano - "con il volto triste" perché lontano dalla Verità e dall'amore non c'è felicità - tutti gli "stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti", ovvero la Chiesa e i suoi pastori, i catechisti, i genitori, e coloro che annunciano il Vangelo. Verso Emmaus camminano tutti quelli che, ingannati dal demonio, son gonfi d'orgoglio e interpretano tutto secondo le leggi dure e senza pietà della carne e del mondo. 
Tutti quelli che l'incontro con Cristo aveva sedotto, innescando speranze, forse infantili, acerbe, sentimentali. Gesù è stato importante fintanto che è stato "profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo". Ma quando "i capi dei sacerdoti e le autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso", ci siamo scandalizzati, perché la carne non può accogliere ciò che trascende la ragione; essa è schiava della superbia "originale" che rifiuta l'amore perché è lei a dire cosa e come Dio "deve" operare. 
Abbiamo sperato in Gesù, ma non in Gesù crocifisso. E perché? Perché non ci conosciamo e non ci riconosciamo peccatori; perché chiunque si allontana da Gerusalemme non ha compreso che "bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria". Bisognava che entrasse nella morte dove il peccato ha spinto ogni uomo, nella tomba dove giace il tuo matrimonio o il rapporto con tuo figlio, altrimenti non avrebbe potuto salvarlo. 
Scappiamo da Gerusalemme perché la Croce non ci riguarda, questo è il punto. E non ci sono moralismi, battaglie ideali, campagne stampa, manifestazioni e referendum che tengano, se la Croce non mi riguarda personalmente anche Gerusalemme diventa un luogo opprimente, come la Chiesa e il suo Magistero. Senza l'incontro con Cristo risorto al fondo dei miei peccati, lì sul cammino verso Emmaus, è inutile ogni sforzo. 
Per questo Gesù dilata il suo Mistero Pasquale sino ai luoghi dove scappiamo delusi. Proprio qui, capito? proprio mentre discutiamo "di tutto quello che era accaduto", della Croce e dell'annuncio della Chiesa, "Gesù in persona si avvicina e cammina con noi". 
Gesù avanza accanto a noi proprio mentre ci allontaniamo come Adamo ed Eva - erano due anche loro... - quando si sono separati da Dio e hanno dovuto intraprendere il duro cammino fuori dal Paradiso. Come la nube della presenza di Dio che ha accompagnato il Popolo quando è dovuto andare in esilio. Come lo sguardo del Padre, che non ha mai abbandonato gli sbandamenti del figlio prodigo.
Lì dove si trova tua figlia caduta nel peccato, tuo marito che ti ha lasciato, dove sei tu, incatenato nel rancore, è oggi il Calvario, e il sepolcro dove nessuno è mai stato sepolto, e la pietra rovesciata e Cristo risorto che ci viene incontro.
Oggi e ogni giorno della storia è Pasqua, il primo giorno della settimana! Oggi la croce che mi scandalizza è già avvolta della gloria di Cristo risorto! Gesù era apparso lì in quell'istante con carne e parola, ma non aveva smesso un istante di essere con i due discepoli, a camminargli accanto, il più familiare di tutti. 
No, Gesù non è "così forestiero", lontano dai nostri problemi, come pensiamo sedotti dalle menzogne che ascoltiamo ogni giorno. Gesù sa bene "quello che è accaduto a Gerusalemme", era il compimento della sua missione! 
Per questo Lui è dentro ogni avvenimento di croce che insanguina la storia, nelle nostre case, negli uffici e nelle scuole, negli ospedali e negli ingorghi. Gesù è nelle ansie e nelle difficoltà del matrimonio, nella fragilità dei figli, nel timore del fidanzamento, nella fatica del lavoro e dello studio, nella stanchezza della malattia. 
Chiunque è stato anche solo un giorno nella Chiesa, chi ha fatto il catechismo, chi ha pregato con la nonna da bambino, chi è stato a un funerale, ha potuto ascoltare l'annuncio delle "donne che hanno sconvolto" i discepoli di Emmaus: "si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo". 
E quel grido risuona, all'inizio flebilmente, ma poi imperioso, come un graffio che impedisce la felicità quando si è lontani dalla comunione d'amore con Cristo che si sperimenta nella Chiesa.
Le "donne delle nostre" sono la nostalgia di pienezza e amore che ogni uomo porta nel cuore, anche chi brancola nel buio lontano dalla Chiesa dove non è mai stato. Per questo il Vangelo di oggi è una buona notizia per tutti! 
E una chiamata a conversione per la Chiesa, perché non spenga mai l'annuncio delle donne, il Kerygma che sconvolge e lega indissolubilmente a Cristo la vita di ogni uomo, come brace viva sotto la cenere.
E Cristo è lì, come anche la Chiesa e i suoi apostoli sono chiamati a fare, accanto agli uomini che han visto incenerirsi la speranza. Cammina e ama, senza giudicare. E' presente nei luoghi di dolore e peccato, anche dove i "discepoli" hanno perduto la fede, e non teme di sporcarsi con lo stessa terra calpestata dagli "stolti". 
Non importa se, all'inizio, "i loro occhi sono incapaci di riconoscerlo". Importa che Lui sia lì, a soffiare parole di amore e verità su quella cenere, a "conversare con ciascuno lungo la via, spiegando le Scritture", sino a che non torni in loro ad "ardere il cuore".
Discreto e rispettoso della libertà di ciascuno, Gesù dialoga con tutti, non come in un talk show, ma, "cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiega loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui". 
Attraverso gli eventi della storia, i dolori e le gioie di ogni giorno, Gesù parla e rivela a poco a poco come tutto della storia di ciascuno ha avuto, da sempre, relazione con il suo amore. Il suo sangue, infatti, ha raggiunto ogni lembo di terra, ogni sussulto di vita, ogni peccato. 
E' stupenda la tenerezza di Gesù, l'unico esegeta (Frédéric Manns), l'Agnello immolato capace di aprire i sette sigilli della Scrittura, per rivelarne il senso e illuminare con essa la vita di ogni uomo: Gesù accompagna i passi nella Verità, e cioè che "Egli doveva morire" proprio per te e per me. 
Il suo amore, l'unico, è giunto sin dentro la notte, il crepuscolo di ogni fuga. E Gesù "fa come se dovesse andare più lontano", ed è il colpo del ko... Proprio la possibilità di perdere quella presenza che aveva riacceso il cuore svela definitivamente la propria indigenza, ed è quando ci si scopre impauriti e soli nel buio della superbia. 
Ma Gesù è lì, pronto ad essere accolto ed "entrare per rimanere con loro" che hanno finalmente capito d'essere peccatori e bisognosi del suo perdono.
Allora, non sappiamo quando, ma sappiamo dove - proprio alla fine del viaggio, "vicini al villaggio dove siamo diretti" - forse attraverso un fatto, di certo per la presenza amorevole e misericordiosa della Chiesa e dei suoi figli, quel cuore tornato a scaldarsi può implorare Cristo come fece Abramo visitato dai tre angeli alla quercia di Mambre, perché non passi senza fermarsi: "Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto".
In quel crocevia decisivo si fa chiara l'esperienza che, scappando da Gerusalemme, ci si ritrova nella notte, come Giuda; e non vogliamo porre fine alle nostre vite come lui. La parola di Gesù ci ha destato a una speranza che credevamo perduta. La sua presenza, il suo esserci nonostante tutto, ha illuminato il nostro orgoglio: "noi speravamo" male, "discutevamo" ingannati dal demonio. 
Non è come pensavamo irretiti nelle menzogne che ci hanno insegnato nel mondo. "Resta con noi" perché abbiamo capito di non aver capito niente, della nostra storia, della Chiesa, dell'amore e di Te. Abbiamo però imparato che del tuo camminare con noi proprio non possiamo fare a meno.
In questo momento rivive l'incontro di Giuseppe con i fratelli che lo avevano venduto. Dopo tanti dialoghi e prove, nell'intimità, il figlio prediletto di Giacobbe si "fa riconoscere": "Io sono Giuseppe, il vostro fratello, che voi avete venduto per l'Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perchéDio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio ed Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d'Egitto. Affrettatevi a salire da mio padre e ditegli: Dice il tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l'Egitto...Ed ecco, i vostri occhi lo vedono e lo vedono gli occhi di mio fratello Beniamino: è la mia bocca che vi parla!" Gen 45, 4 ss.).
Non c'è, dunque, da rattristarsi, perché nelle trame oscure che conducono l'uomo a tradire, scappare e peccare, Dio scrive una storia di misericordia. Ha "mandato" Cristo sulla strada di Emmaus prima dei discepoli, sulla Croce gli ha fatto sperimentare la lontananza prima di ogni lontano, perché possano "aprirsi gli occhi" di tutti sul suo amore. Ha consegnato suo Figlio alla morte per "assicurare" a tutti la vita e la salvezza.
Per questo, proprio dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la Grazia: i discepoli "riconoscono Gesù" perché hanno conosciuto se stessi nel suo corpo crocifisso e "spezzato" per amore. In quell'intimità ritrovata nel punto del cammino più lontano da Gerusalemme, appare la Chiesa, il culmine e la fonte della sua liturgia, il rendimento di grazie per l'amore infinito di Dio, l'Eucarestia. 
"A tavola" con Cristo ogni storia trova il suo senso; in quel "pane preso, spezzato e dato" trova pienezza ogni vita perduta. In Cristo ogni fallimento si trasforma in benedizione: anche i passi che ci hanno separato da Lui e dai fratelli, nella luce del suo amore, si scopre che stavano tracciando il cammino percorso per incontrarlo e non lasciarlo più.
Ora il cammino di purificazione è compiuto: Gesù è entrato per "rimanere" con i discepoli; anche se "sparisce alla vista" della carne, ormai Lui è in loro, come in chiunque abbia fatto questa esperienza, ed è finalmente libero. Libero dal peccato e dall'angoscia, come i fratelli di Giuseppe che, perdonati, si "affrettano" a tornare da Giacobbe a dare la buona notizia del fratello ritrovato. 
Così anche noi, con tutti quelli che si erano allontanati, possiamo convertirci, liberi di invertire la marcia e tornare sui nostri passi; liberi di cambiare modo di pensare e di vivere; liberi di fare "ritorno senza indugio a Gerusalemme", incontro ai fratelli per "narrare ciò che ci è accaduto lungo la via e come l’abbiamo riconosciuto nello spezzare il pane"; liberi di celebrare, nella comunione, la pienezza della Vita che non muore, perché «davvero il Signore è risorto!»
E da qui, liberi di donarsi e uscire per farci compagni di viaggio dell'infinita schiera dei "tristi" e delusi viandanti che ci sono accanto, per innescare in loro il fuoco della speranza.

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Commento della Congregazione per il Clero

III Domenica di Pasqua - Anno A - 4 maggio 2014


È celebre e famigliare la vicenda dei due discepoli che incontrarono Gesù sulla via di Emmaus, una delle prime manifestazioni del Risorto. La condizione in cui i due si trovano ci è famigliare; avevano creduto in Gesù e lo avevano seguito, nutrendo grandi aspettative circa quello che Egli avrebbe fatto. Ma le cose erano andate assai diversamente, con la condanna e la morte di Gesù e con la “sconvolgente” notizia della sua risurrezione, difficile da accettare. È quanto capita ad ognuno di noi quando seguiamo Gesù, cercando di imbrigliarlo nei nostri schemi e nelle nostre attese. Crediamo che ci ama e ci vuole aiutare, ma anche inconsciamente, abbiamo la pretesa che ciò debba avvenire a modo nostro. La nostra fede, come quella dei discepoli di Emmaus, diviene in questo modo “condizionata”, limitata; resta fede solo se le cose vanno in un certo modo.

Ma Gesù ha detto che la verità ci farà liberi, anche da noi stessi, dalla nostra precomprensione delle cose, a volte troppo stretta, e ci viene incontro, sempre, ma a modo suo e secondo i suoi tempi. Essere discepoli perciò richiede una grande libertà interiore, una “elasticità spirituale” che permetta di riconoscere il Signore quando ci si presenta dove e quando non lo attendiamo.

Come può avvenire questo? Il racconto del vangelo odierno ci permette di trovare una risposta. Dobbiamo distinguere tra il Gesù dei nostri pensieri, la nostra “personale” immagine di Gesù, ed il Gesù vero, quello che oggi ci viene incontro nella sua Parola e nei Sacramenti. Un “Gesù privato” è facilmente limitato, inadeguato a rispondere ai bisogni reali della vita, si manifesta solo quando serve e, soprattutto, quando non disturba i nostri piani; un “Gesù privato” è un Messia comodo, che ci asseconda in tutto e non ci invita mai davvero a conversione.

Viceversa, il Gesù vero, quello che la Chiesa annuncia e testimonia da sempre – lo vediamo nella prima lettura – e che si rende presente nei Sacramenti e nella Parola continua a fare ciò che faceva al tempo della sua esperienza terrena. Incita, accoglie, riprende, sostiene, insomma guida il suo popolo sulla via da lui aperta verso il Regno dei Cieli. Senza l’ascolto della Parola e senza i Sacramenti, cioè, rischiamo che Gesù sia una bella foto, appesa al muro, che ogni tanto guardiamo e che ci fa venire in mente qualche pensiero edificante. Attraverso la preghiera – personale e comunitaria – attraverso la lettura della Parola di Dio – che il Santo Padre ha con efficace semplicità richiamato come strumento quotidiano della nostra vita spirituale – attraverso i Sacramenti – che ci donano la Grazia, la forza e la pace di Dio…siamo in relazione con la persona di Gesù risorto, uniamo la nostra vita alla sua e, attraverso una familiarità che sempre si rinnova, sappiamo riconoscerlo nella vita di tutti i giorni, nei poveri, nei bisognosi, anche in persone “moleste” e semplicemente poco simpatiche.
Il tempo della Pasqua è quindi il tempo della memoria e della testimonianza. Facciamo memoria di ciò che Cristo ha fatto per noi, per tutti gli uomini, una memoria che non è un semplice atto intellettuale,  bensì un fatto esistenziale. Infatti, ricordiamo la Risurrezione di Cristo prima di tutto con le nostre parole e le nostre azioni, con le nostre scelte e comportamenti quotidiani. In questo modo, lo annunciamo agli altri e lo ricordiamo a noi stessi.

Chiediamo per ciascuno di noi la semplice fermezza di Pietro. Noi cristiani siamo custodi di un messaggio unico, che ci tramandiamo da duemila anni da persona a persona; Cristo è risorto, le porte del cielo sono aperte, andiamo verso di esse insieme, come fratelli. Questo è il cuore della nostra testimonianza, ciò che ci fa seguire Gesù e, per amore, ci porta a trasformare la nostra vita.

Chiediamo anche la grazia di sapere ogni domenica – ed ogni altra volta che partecipiamo alla Santa Messa o che ci confessiamo – di saper riconoscere Gesù presente accanto noi, costruendo così una relazione vitale con la sua persona, e non coltivando uno sbiadito ricordo della sua immagine.

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III Domenica di Pasqua - Anno A - 4 maggio 2014
Commento di ENZO BIANCHI

Il racconto del vangelo odierno, quello dei discepoli di Emmaus, è ricchissimo di messaggi, anche se il messaggio centrale intorno a cui tutto converge è sempre la resurrezione di Gesù. Brevemente e, come sempre, senza pretesa di commentare in modo esaustivo questa pagina, cerchiamo in essa la Parola che ci dà vita sul nostro cammino a volte faticoso e oscuro.
Quando Gesù fu catturato, i discepoli fuggirono tutti per la paura, lo scoramento, e qualcuno tra di loro fu anche tentato di andarsene, di abbandonare la comunità. Ecco, infatti, che due di loro partono da Gerusalemme, lasciano gli altri e vanno verso il villaggio di Emmaus, dove quasi sicuramente vi era la loro casa. Sono due uomini delusi, pieni di tristezza – sentimento che traspare anche sui loro volti –, ma conversano, dialogano, scambiano parole, riandando agli eventi di cui erano stati testimoni: cattura, condanna e crocifissione di Gesù.
Tutto sembra loro un fallimento e grande è la frustrazione delle loro speranze riposte in Gesù: l’avevano seguito credendo in lui, ascoltandolo, ma la sua morte è stata veramente la fine per lui, per la sua comunità, per l’attesa di ogni discepolo. Era un profeta, aveva una parola performativa, compiva azioni significative, ma i capi dei sacerdoti lo hanno consegnato ai romani ed egli è stato crocifisso. Sono passati ormai tre giorni, dunque Gesù è morto per sempre, e la loro vita sembra non avere più senso, direzione, fondamento. È la condizione in cui spesso veniamo a trovarci anche noi, e per questo l’anonimato di uno dei due discepoli ci aiuta a collocarci all’interno del racconto…
Ma su quel cammino ecco apparire un altro viandante che si accosta ai due e pone loro delle domande. Non si avvicina con un messaggio da proclamare, ma con il desiderio di ascoltare quel dialogo, di comprendere cosa i due hanno nel cuore, di accompagnarli. Innanzitutto chiede loro: “Che cosa sono questi discorsi che fate camminando, pensosi?”. In risposta, Gesù – di cui per il momento solo il lettore conosce l’identità – ascolta un racconto pieno di affetto per il loro rabbi: ascolta quello che è successo, ascolta ciò che dicono su di lui, ascolta le loro speranze deluse, e solo alla fine li interroga con molta delicatezza sulla loro fede, sul loro affidamento alle Scritture. Perché non sono capaci di credere ai profeti? Perché non sono capaci di leggere le Scritture?
Allora Gesù, come tante volte aveva fatto con i suoi discepoli, rilegge la Torah di Mosè e i profeti, e attraverso le Scritture fa comprendere ai due la necessitas della sua morte. Attenzione, non il destino ma la necessitasillumina la morte di Gesù: in un mondo ingiusto, il giusto viene rifiutato, osteggiato e anche tolto di mezzo, perché “è insopportabile al solo vederlo” (Sap 2,14); e se il giusto, il Servo del Signore, resta fedele a Dio e alla sua volontà, rifiutando le tentazioni del potere, della ricchezza e del successo, allora è condotto alla morte rigettato da tutti. Quegli eventi che a una lettura umana significano solo fallimento e vuoto, possono anche essere compresi diversamente, se Dio lo concede, con i suoi doni. Ma proprio perché quei discepoli non credono alle Scritture, neppure possono riconoscere Gesù nel viandante che cammina con loro.
Giunti a casa, il misterioso viandante sembra voler proseguire da solo, ma i due, che stando accanto a Gesù hanno imparato da lui almeno l’attenzione per gli altri, si mostrano ospitali. Per questo insistono: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno ormai è al tramonto”. E così il viandante rimane con loro, entra nella loro casa.
E quando sono a tavola, dopo le parole, egli compie dei gesti sul pane, soprattutto lo spezza per darlo loro. A questo gesto, il più eloquente compiuto da Gesù nell’ultima cena (cf. Lc 22,19), segno di un’intera vita offerta e donata per amore, “si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”: ma subito il viandante, il forestiero, il pellegrino scompare dalla loro vista. Presenza elusiva ma sufficiente per i due discepoli, i quali riconoscono che alla sua parola il cuore ardeva nel loro petto e che con la sua vita eterna egli poteva farsi presente e spezzare il pane.
In questo mirabile racconto si parla di camminare insieme, di ricordare e pensare, di rispondere a chi chiede conto e quindi di celebrare la presenza vivente di Gesù, il Risorto per sempre. Ma ciò può avvenire in pienezza solo nella comunità cristiana, nella chiesa: per questo i due “fanno ritorno a Gerusalemme, dove trovano riuniti gli Undici e gli altri”, che li precedono e annunciano loro la resurrezione. E questo è ciò che avviene anche a noi ogni domenica, che avviene anche oggi, nella comunità radunata dal Signore: la Parola contenuta nelle Scritture, l’Eucaristia e la comunità sono i segni privilegiati della presenza del Risorto, il quale non si stanca di donarsi a noi, “stolti e lenti di cuore”, ma da lui amati, perdonati, riuniti nella sua comunione.
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L'Eucarestia di Emmaus

Lectio Divina per la III Domenica di Pasqua - Anno A - 4 maggio 2014


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la III Domenica di Pasqua (Anno A). 
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LECTIO DIVINA
Rito Romano
At 2,14a.22-33; Sal 15; 1 Pt 1,17-21; Lc 24,13-35
Rito Ambrosiano
At 19,1b-7; Sal 106; Eb 9,11-15; Gv 1,29-34
L’Agnello di Dio in cibo per noi
1) La strada da Gerusalemme a Gerusalemme, passando per Emmaus.
Il Vangelo di San Luca è incorniciato dal racconto di due fatti: l’annunciazione dell’Angelo a Maria, all’inizio, e l’incontro di Gesù con i due discepoli di Emmaus, al fine.
Il primo è come una prefazione che ci spiega cosa capiterà ascoltando il Vangelo: la Parola si incarna in noi, come si è incarnata nella Madonna.
Il secondo è la conclusione, che sintetizza che cosa è capitato a chi ha “letto” il Vangelo, ascoltando la Parola con attenzione e seguendola con costanza: si diventa figli nel Figlio di Dio, che spezza il pane di vita con noi e per noi.
In tutto l’anno liturgico, particolarmente nella Settimana Santa e in quella di Pasqua, il Signore è in cammino con noi e ci spiega le Scritture, ci fa capire questo mistero: tutto parla di Lui. E questo dovrebbe far ardere anche i nostri cuori, così che possano aprirsi anche i nostri occhi. Il Signore è con noi, ci mostra la vera via. Anche noi riconosciamo la Sua presenza come i due discepoli riconobbero Gesù nello spezzare il pane, così oggi. Cleopa e l’altro discepolo, di cui il Vangelo non ci dice il nome e che può essere il rappresentante di ciascuno di noi, riconobbero il Messia e si ricordarono dei momenti in cui Lui aveva spezzato il pane. E questo spezzare il pane ci fa pensare proprio alla prima Eucaristia celebrata nel contesto dell’Ultima Cena, dove il Redentore spezzò il pane e così anticipò la sua morte e la sua risurrezione, dando se stesso ai discepoli.
Gesù spezza il pane anche con noi e per noi, si fa presente con noi nell’Eucaristia, ci dona se stesso e apre i nostri cuori.
Nell’Eucaristia, nell’incontro con la sua Parola, possiamo anche noi incontrare e conoscere Gesù, in questa duplice Mensa della Parola e del Pane e del Vino consacrati.
La Parola ha acceso il cuore dei discepoli, il Pane apre loro gli occhi: Lo riconobbero allo spezzare del pane. Il segno di riconoscimento di Gesù è il suo Corpo spezzato, vita consegnata per nutrire la vita. La vita di Gesù è stata un continuo appassionato consegnarsi. Fino alla croce e dalla croce.
La Parola e il Pane cambiarono la direzione del cammino dei due discepoli. La notte non era più un’obiezione al cammino e senza indugio lasciarono un rifugio umano, la locanda di Emmaus, e fecero ritorno al Cenacolo di Gerusalemme, dove la comunita degli apostoli li accolse nella comunione e li confermò nella fede rinata dall’incontro col il Risorto.
Almeno ogni domenica la comunità cristiana rivive così la Pasqua del Signore e raccoglie dal Salvatore il suo testamento di amore al Padre e di servizio ai fratelli, soprattutto con la Santa Messa, che ebbe come primo nome “fractio panis” (frazione, “spezzamento” del Pane di Vita nuova).
Grazie a questo “spezzare il Pane” che non è solamente preghiera, ma atto, gesto di Dio e della Chiesa, l’esistenza umana acquisisce una dimenzione eucaristica, perché unisce la fatica umana alla carità di Dio, che ci accoglie come figli nel Figlio. Ci accoglie perché è Padre da sempre e per sempre e ricco di misericordia.
Ai due discepoli di Emmaus Gesù spiegò le Scritture (fractio Verbi = frazione, condivisione della Parola), poi spezzo il Pane (fractio Panis= frazione, condivisione del Pane) e condivise la Vita (fractio Vitae = frazione della Vita nuova e, quindi, definitiva). Oggi Lui fa tutto ciò per noi, noi imitiamo questi due discepoli e non smettiamo di essere pellegrini dell’Infinito.
2) Da viandanti a pellegrini.
Penso che sia corretto affermare anche che San Luca ha costruito il racconto dei due discepoli di Emmaus attorno all'immagine del cammino.
Dapprima un cammino che allontana da Gerusalemme, dagli avvenimenti della passione e dal ricordo di Gesù: potremmo dire un cammino dalla speranza alla delusione (“Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”), un cammino carico di tristezza (“Si fermarono col volto triste”). 
Poi - dopo il cammino con lo Sconosciuto - un cammino di ritorno, dalla delusione alla speranza: “Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme”.
L'inversione di marcia è dovuta alla nuova lettura degli eventi che lo sconosciuto ha loro suggerito. Gli eventi sono rimasti quelli di prima (la croce e il sepolcro vuoto), ma ora sono letti con cuore, mente e occhi nuovi.
A questo punto sorge, secondo me, una domanda molto importante: “Come riconoscere il Signore che cammina con noi?”
Ai due discepoli di Emmaus, che avevano ascoltato con commozione la spiegazione di Gesù circa la sua passione e morte, gli occhi si aprirono quando Gesù si sedette a tavola, accettando l’invito a stare in loro compagnia, e compì quattro gesti (prese il pane, ringraziò, lo spezzò e lo distribuì).
Questi gesti riportano indietro, alla cena eucaristica, alla vita terrena di Gesù (una vita in dono come pane spezzato), alla croce che di quella vita è il compimento.
Questi stessi gesti riportano anche in avanti, alla vita della Chiesa, al tempo in cui i cristiani continueranno a “spezzare il pane”. Spezzare il pane è dunque un gesto, in un certo senso riassuntivo, nel quale si concentrano, sovrapponendosi, le tre tappe dell'esistenza di Gesù: il Gesù terreno, il Risorto e il Signore ora presente nella comunità. Lo spezzare il pane, cioè la dedizione, è sempre la modalità riconoscibile della presenza del Signore: è la modalità del Crocifisso, del Risorto e del Signore glorioso presente nella Chiesa. È questo il tratto che fa riconoscere il Signore Gesù.
Quindi noi dobbiamo fare lo stesso percorso dei due discepoli. In primo luogo dobbiamo riconoscere di aver bisogno di qualcuno che li guidi verso la luce e la verità e questo Qualcuno è lo stesso Gesù che si fa compagno di viaggio nella loro esistenza segnata, in quel momento, dallo scoraggiamento e dalla delusione più nera.
In secondo luogo, abbiamo bisogno di ritrovarsi insieme ed è Gesù stesso a darci l'occasione per farlo con un altro spirito ed in un altro contesto, quello appunto della celebrazione dell'eucaristia. Infatti è Gesù che spezza il pane e i due discepoli riconoscono il Signore e rileggono la loro esperienza di gioia vissuta poche ore prima, insieme a quello Sconosciuto, che gli fa ardere il cuore mentre li catechizza ed insegna loro a guardare la vita nel segno della speranza e della gioia senza fine.
In terzo luogo, noi discepoli del giorno d’oggi, comi i primi discepoli abbiamo bisogno di portare l’annuncio di Cristo agli altri ciò che abbiamo con gli occhi della fede: Gesù stesso. Sull’esempio dei discpeoli di Emmaus sentiamo l’urgenza di partire senza indugio per riferire ciò che avevano vissuto, l'esperienza di gioia e fede che facciamo nell'incontrare il Risorto nell’Eucaristia (ma anche negli altri Sacramenti), nella Sacra Scrittura, nella Comunità Cristiana. Per poterlo riconoscere nel povero, poi, ci vuole una purezza angelica (M. Teresa di Calcutta).
Non dobbiamo dimenticare che le prime a portare l’annuncio della risurrezione di Cristo furono le donne. Loro le prime nell’amore, andando al sepolcro di prima mattina, furono le prime nella fede.
Il “genio femminile” da loro vissuto in modo maturo permise loro di “vedere lontano” al di là delle apparenze, di “intuire” e di “vedere con gli occhi e con il cuore” [1]. Nelle Vergini consacrate che vivono nel mondo questo genio femminile si esprime anche in un costante ascolto della Parola, che poi è custodita, creduta, messa in pratica e annunciata. Con la loro verginità esse sono completamente a disposizione dell’Evangelizzazione, Spose di Cristo a servizio del Vangelo. Esse mettono in pratica « Felici coloro che regolano i propri passi sulla parole di Dio », è questa un’antifona che si può cantare dopo la consegna delle insegne di consacrazione (Rituale di consacrazione della Vergini, n. 30).
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NOTE
[1] Le parole tra virgolette e in corsivo sono di S. Giovanni Paolo II e si trovano nella “Mulieris dignitatem”.

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Lettura Patristica
Sant’Agostino d’Ippona
Consenso Evang. 325
“Delle apparizioni del Signore risorto ai discepoli è necessario trattare non solo per mettere in luce l'accordo che sull'argomento esiste fra i quattro evangelisti (Mt 28,1-20Mc 16,1-20Lc 24,1-53 Jn 20,1-21,25), ma anche per sottolineare com'essi concordino con l'apostolo Paolo, il quale nella Prima Lettera ai Corinzi scrive cosi: Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo mori per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto (1Co 15,3-8). Quest'ordine nel succedersi dei fatti non è seguito da nessuno degli evangelisti. Occorre quindi porsi il problema se l'ordine presentato dagli evangelisti non contrasti per caso con quello di Paolo.
Ricordiamoci tuttavia che il racconto non è completo in nessuna delle fonti: per cui la ricerca è da estendersi solo alle cose riferite da più narratori, per rilevare se ci siano contrapposizioni nei loro racconti. Orbene, fra gli evangelisti il solo Luca non riferisce che il Signore fu visto dalle donne, le quali avrebbero visto soltanto gli angeli (Lc 24,4). Matteo afferma che egli si fece loro incontro mentre se ne tornavano via dal sepolcro. Marco in più dice che il Signore fu visto per primo da Maria Maddalena (Mc 16,9), e in cio s'accorda con Giovanni; solo che sul modo dell'apparizione descritto ampiamente da Giovanni (Jn 20,14), Marco non dice nulla. Diverso il racconto di Luca: egli non solo omette di narrare le apparizioni del risorto alle donne ma nel riportare le parole che quei due discepoli (uno dei quali si chiamava Cleopa) a lui rivolsero prima di riconoscerlo, dà l'impressione che le donne non raccontarono ai discepoli nient'altro se non che avevano visto degli angeli, a detta dei quali egli era vivo. Leggiamo il testo: Ed ecco che in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sessanta stadii da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto.
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accosto e camminava con loro; ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: "Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino e perché siete tristi?". Uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: "Tu solo sei cosi forestiero in Gerusalemme da non sapere cio che vi è accaduto in questi giorni?". Domandò: "Che cosa?". Gli risposero: "Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto cio sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di avere avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto" (Lc 24,13-24).
Stando a Luca, i due di Emmaus narrarono le cose in modo che gli altri condiscepoli potessero ricordare o ravvivare il ricordo di quanto riferito dalle donne o da coloro che di corsa si erano recati alla tomba appena seppero che il suo corpo era stato portato via dal sepolcro. Luca, per l'esattezza, dice che a correre alla tomba fu il solo Pietro: egli si prostro verso l'interno, vide che c'erano soltanto i lenzuoli sistemati a parte e poi se ne torno indietro stupito in cuor suo per quello che era accaduto (Lc 24,12). Questi particolari nei confronti di Pietro Luca li colloca prima del racconto dei due che il Signore incontro lungo la via e dopo aver narrato delle donne che avevano visto gli angeli dai quali appresero la notizia della resurrezione di Gesù.
Pare che Pietro proprio in quel frattempo corse al sepolcro; ma il racconto di Luca su Pietro è da prendersi come una ricapitolazione. Pietro infatti si reco frettolosamente al sepolcro quando vi si reco anche Giovanni, e cio accadde dopo che dalle donne, e soprattutto da Maria Maddalena, avevano avuto la notizia della scomparsa della salma. Ora questa Maria Maddalena reco la notizia dopo aver visto la pietra rotolata via dal sepolcro; e dopo ancora accadde la visione degli angeli e dello stesso nostro Signore. Gesù dunque dovette apparire due volte alle donne: una volta presso la tomba e un'altra facendosi loro incontro mentre si allontanavano dalla tomba (Mt 28,10Lc 24,24Jn 20,14): e tutto questo dovette succedere prima che egli si mostrasse lungo la strada a quei due discepoli, uno dei quali si chiamava Cleopa.
Tant'è vero che questo Cleopa, parlando col Signore che ancora non aveva riconosciuto, non disse che Pietro era andato al sepolcro ma: Alcuni dei nostri si sono recati al sepolcro e hanno trovato le cose come avevano descritto le donne. E dunque verosimile che anch'egli descriva i fatti in forma riassuntiva soffermandosi un poco su quel che da principio le donne riferirono a Pietro e Giovanni riguardo al trafugamento della salma del Signore. Se pertanto Luca dice che Pietro corse al sepolcro riportando le parole di Cleopa, secondo il quale alcuni discepoli si erano recati al sepolcro, il racconto del terzo evangelista va completato con Giovanni il quale afferma che ad andare al sepolcro furono in due; e se in un primo tempo fa menzione del solo Pietro è perché Maria aveva portato la notizia soltanto a lui (Jn 20,6-8).
Può anche sorprendere quanto riferito da Luca e cioè che Pietro non entrò nel sepolcro ma si prostrò e vide soltanto i lenzuoli; dopodiché se ne andò via stupefatto (Lc 24,12). Ciò appare in contrasto con Giovanni, il quale attribuisce la cosa a se stesso, cioè al discepolo che Gesù amava, e scrive che fu lui a vedere le cose così. Egli, sebbene arrivato per primo, non entrò nel sepolcro ma si chinò e vide i lenzuoli collocati da una parte. Tuttavia in un secondo momento entrò anche lui (Jn 20,6), di modo che i fatti si sarebbero svolti così: in un primo momento Pietro si prostrò [fuori del sepolcro] e vide (ciò è ricordato da Luca e omesso da Giovanni), ma più tardi entrò anche lui ed entrò prima che entrasse Giovanni. In questa maniera i due racconti contengono la verità né vi è fra loro alcuna opposizione.”