lunedì 5 maggio 2014

Martedì della III settimana del Tempo di Pasqua



Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. (Dal Vangelo secondo Giovanni 6, 30-35)

"Non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero"

Siamo abituati a credere vedendo. Abbiamo bisogno di poterci appoggiare a segni che ci siano familiari, non sopportiamo la precarietà di ciò che sfugge al rigido incasellamento della realtà che abbiamo prodotto. E spesso non siamo neanche capaci di vedere bene, anzi, siamo ciechi; non affermiamo la realtà che ci è di fronte, le persone e gli eventi, ma li inglobiamo nei nostri pregiudizi, falsandone i contenuti autentici, in favore di ciò che vogliamo vedere. Ed è perché manca l'amore, che ci disporrebbe a lasciar perdere i nostri criteri per farci interpellare e mettere in gioco da chi e cosa ci è dinanzi; l'amore, infatti, è l'unico che ci può far uscire da noi stessi, disposti a perdere qualcosa, o molto, o tutto di noi stessi, perché sia affermato l'altro, secondo un pensiero caro a don Giussani. Ami tua moglie? E' facile scoprirlo, basta scrutare il tuo modo di porti di fronte a lei. E ciò vale anche nei riguardi di Cristo. Ammettiamolo, stiamo di fronte a Lui come i Giudei; avevano sperimentato qualcosa di incredibile, intuendo in Lui l'eco di segni passati, e avrebbero voluto la certezza che quel Gesù di Nazaret fosse proprio il Profeta simile e più grande di Mosè che attendevano. Per questo chiedevano ancora un segno, magari più esplicito, e una bella didascalia che rientrasse nelle loro categorie. Non escludevano la possibilità che Gesù fosse il Messia, ma reclamavano un segno a cui erano abituati, intellegibile, decodificabile. Ma mancavano degli strumenti adatti per discernere il significato a cui esso rimanda: era la carne che li muoveva nella comprensione delle Scritture, della Storia, dei segni, non lo Spirito. Anche se apparentemente religiosa e secondo tradizione, la questione che essi ponevano saliva dalla pancia, dall'esperienza della sazietà che restringe inesorabilmente il campo visivo all'istinto primordiale, mangiare per vivere. Il miracolo era così schiacciato su una prospettiva tutta immanente, mentre il Cielo si riduceva a una finestra aperta a comando, pronta a sfamare gli appetiti, risolvere i problemi, provvedere alle necessità. Questo il criterio è apparso evidente quando hanno confuso l'umanissimo Mosè con Dio stesso. Essi non riuscivano a superare le sembianze, idolatravano la creatura dimenticando il Creatore. Fissavano lo sguardo sulla carne pur guardando al Cielo. Come ciascuno di noi, che confondiamo gli eventi della nostra vita quali prodotti delle nostre o delle altrui forze, siano essi positivi o negativi. Dio aggiusta, aiuta, collabora, elargisce qualche strumento perchè noi si possa operare, ma nulla di più. "Aiutati che Dio ti aiuta", frase assurta al rango di Parola di Dio mentre di essa nella Scrittura non v'è traccia. Per questo, quando le cose girano diversamente dai nostri progetti, quando non siamo esauditi nelle nostre preghiere, mormoriamo, ci chiudiamo, e tagliamo con Dio. La nostra relazione con Lui non è altro che una spruzzatina di zucchero a velo sulla torta che ci sforziamo di preparare. E Gesù oggi spiazza noi come ha spiazzato i Giudei che lo seguivano. "Non è stato Mosè, ma Dio stesso a dare il Pane del Cielo", e, volgendo il verbo dal passato al presente, Gesù annuncia che l'azione di Dio non è ferma a un momento di cui si attende la ripetizione. Mosè era un segno per il Popolo, indicava Dio stesso, perché essi non fissassero l'attenzione sulle opere degli uomini, fossero anche quelle dei profeti, ma sull'Opera di Dio. La fede è l'Opera di Dio perchè è il dono che ci mette in relazione con Lui stesso, con il suo amore che dona, senza riserve, la Vita. "La manna", il pane del Cielo, è un segno che sfugge ai limiti dello spazio e del tempo, è il Cielo stesso che appare sulla terra; paradossalmente, proprio nel suo corrompersi giorno dopo giorno, richiama a una dipendenza quotidiana, di ogni istante, la stessa che costituiva Adamo ed Eva nel Paradiso come creature libere e felici, nude e senza difese, abbandonate al proprio Creatore. La manna annuncia il Cielo, il riposo escatologico, la Terra Promessa, il destino d'ogni uomo. Per questo solo il venerdì era concesso prenderne doppia razione, profezia del giorno senza tramonto nel quale non ci sarebbe stato più bisogno di nulla perchè l'amore di Dio avrebbe colmato eternamente ogni uomo. Così si comprende l'annuncio di Gesù, il suo dichiararsi Pane della Vita. L'accostarsi a Lui, il credere, cioè il mangiare, istante dopo istante, la sua stessa Vita è la vera e definitiva sazietà. Lui è Dio stesso, il Cielo approdato sulla Terra, la Vita che non muore e che si fa cibo, manna da accogliere, semplicemente, giorno dopo giorno, rinnovando l'abbandono fiducioso alla sua Opera. Passare dalla carne allo Spirito, odiare padre, madre, figli, fratelli, finanche la propria vita per seguire Lui, lasciando che sia Lui ad operare in noi: "La fede non ha permanenza di per se stessa. Non la si può mai semplicemente presupporre come una cosa già in se conclusa. Deve continuamente essere rivissuta. E poiché è un atto che abbraccia tutte le dimensioni della nostra esistenza, deve anche essere sempre ripensata e sempre di nuovo testimoniata" (da La fede della Chiesa di Roma, dell’allora cardinal Joseph Ratzinger, durante il Sinodo Romano, il 18 gennaio 1993). Solo la fede che cresce e si rinnova in un continuo andare a Cristo ci fa capaci di accogliere quello che realmente il nostro cuore desidera; non avere più fame, non dover più operare perchè gli altri ci sazino con pani che non sfamano, affetti, consolazioni, gioie che passano in un istante. Lasciamoci oggi stupire dal Signore, abbandonando quei criteri attraverso i quali filtriamo tutto, e accogliamo il segno che ci è dato, Gesù stesso, Dio fatto pane, amore sbriciolato per ciascuno di noi.