sabato 17 maggio 2014

Il Papa contro i teologi? Solo quelli cattivi



di Enrico Cattaneo

Diversi interventi fatti da papa Francesco fanno sorgere una domanda: ma il Papa ce l'ha con i teologi?
Impostiamo questo argomento secondo il metodo usato da san Tommaso nella Somma Teologica, dove egli pone la questione sotto forma di domanda, quindi elenca gli argomenti a favore (videtur quod), poi quelli contrari (sed contra), per tirare infine le conclusioni e le risposte alle obiezioni.
Partiamo dunque con la domanda: Papa Francesco ce l’ha con i teologi?
Videtur quod. Sembra proprio di sì. 
1. Nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (24/11/203), nn. 122-126, Papa Francesco sottolinea l’importanza della «pietà popolare», chiamata anche «spiritualità popolare» o «mistica popolare» (n. 124), che vede «incarnata nella cultura dei semplici». Ora questo svaluta il ruolo dei teologi.
2. Parlando ai docenti e studenti delle Pontificie Università di Roma tenute dai gesuiti (Gregoriana, Biblico, Orientale), il Papa afferma che «il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre». E più avanti: «Il teologo che non prega e che non adora Dio finisce affondato nel più disgustoso narcisismo. E questa è una malattia ecclesiastica. Fa tanto male il narcisismo dei teologi, dei pensatori, è disgustoso». Egli teme che quegli Istituti diventino «macchine per produrre teologi e filosofi» (www.vatican.va, Papa Francesco, discorso del 10/04/214). Da qui si deduce che Papa Francesco non ha una buona opinione dei teologi.
3. Ultimamente, nel dialogo con gli alunni dei Pontifici collegi romani, il Papa osserva che la «formazione intellettuale» è uno dei quattro pilastri della formazione sacerdotale (assieme a quella spirituale, comunitaria e apostolica). Tuttavia egli mette in guardia contro «il pericolo dell’accademicismo», dove uno si affatica per prendere una laurea e farsi chiamare “dottore”. Lo studio allora diventa tutto, e questo «purismo accademico non fa bene», fa scivolare nelle «ideologie, e questo fa ammalare». Così «si ammala anche la concezione di Chiesa», e si arriva ad abbracciare «una ermeneutica non cristiana, un’ermeneutica della Chiesa ideologica» (Osservatore Romano 14/05/2014, p. 4). Quindi si deduce che i futuri sacerdoti non devono impegnarsi più di tanto nella formazione intellettuale e nello studio.
4. Nella omelia alla Messa a Santa Marta del 14/05/2014, Papa Francesco dice che ci sono intellettuali, cioè teologi, i quali «credono che le cose di Dio si possono capire soltanto con la testa, con le idee, con le proprie idee: sono orgogliosi, credono di sapere tutto e quello che non entra nella loro intelligenza non è vero» (Osservatore Romano 14/5/1014, p. 8). Quindi il Papa ce l’ha con i teologi.
Sed contra. Risposta. 
Per rispondere a queste obiezioni, che si basano su affermazioni abbastanza forti, che possono turbare i teologi di professione e scoraggiare gli studenti, bisogna prendere le mosse un po’ da lontano. Non è un mistero che dopo il Concilio Vaticano II anche la teologia è andata in crisi e molti teologi si sono sbandati. Innumerevoli sono stati i richiami provenienti dalla Congregazione della Dottrina della Fede. Senza troppo generalizzare, è un fatto che in molte Facoltà Teologiche e Seminari alcuni professori hanno insegnato e insegnano cose in contrasto con la dottrina della Chiesa, o per lo meno ambigue.

La teologia dogmatica, che dovrebbe insegnare qual è la dottrina della Chiesa e come i pronunciamenti dei Concili e del Magistero siano radicati nella Parola di Dio (scritta e trasmessa), spesso ha lasciato il posto alla teologia positiva, dove tutto diventa “storia della teologia”, e dove sono studiati di preferenza singoli autori, qualunque sia la loro posizione rispetto alla dottrina della Chiesa. Da qui il disorientamento generale che c’è negli studenti, che sentono campane molto diverse all’interno di una stessa Facoltà. Ha ragione dunque il Papa di mettere in guardia nei confronti di una teologia autoreferenziale, non inserita nella vita della Chiesa.
Alcuni però deducono che c’è in Papa Francesco un certo anti-intellettualismo, che potrebbe risultare pericoloso e dannoso. Questo è falso. Il Papa, pur dando un taglio fortemente pastorale al suo ministero, non ce l’ha con la ragione, con l’attività intellettuale, come se la svalutasse. Egli parla spesso di “dottrina della Chiesa”, segno dunque che egli ci tiene all’aspetto dottrinale. Papa Francesco non ce l’ha con i teologi, ma con quelli che si sono fatti imbrigliare dalle ideologie. Spiegheremo più sotto che cosa egli intenda per “ideologia”.  
Un’altra conseguenza indebita che alcuni tirano dalle affermazioni del Papa è la tendenza a ricadere nel fideismo. Il fideismo svaluta la ragione e dice che le verità si raggiungono solo con la fede. È vero che nella dottrina cattolica ci sono i misteri della fede (Trinità, Incarnazione, Risurrezione, ecc.) che sono inaccessibili alla sola ragione, ma ci sono tante altre verità su Dio, sull’uomo e sul mondo che possono essere raggiunte anche con la ragione (cf. Concilio Vaticano I).

Oggi si fa particolarmente strada un fideismo in campo morale, quando si dice che la morale cristiana è accettabile solo dentro a una visione di fede. Sarebbe come dire che i 10 Comandamenti valgono solo per i credenti e non per tutti gli uomini. Certo, la fede aiuta a cogliere con più chiarezza e certezza non solo quello che i comandamenti dicono, ma anche tutte le conseguenze che ne derivano. Infatti, se tutti gli uomini hanno scritto nella loro coscienza la differenza tra bene e male, tuttavia fanno molta fatica ad applicare questo principio nelle situazioni concrete, ragion per cui, come dice Isaia, si arriva a chiamare bene ciò che è male. Per questo c’è bisogno della Parola di Dio e soprattutto della grazia di Dio, senza la quale non riusciamo a fare quel bene che pure vediamo con la nostra mente. Questo però non toglie che si possa e si debba fare appello a quella “legge naturale” che Dio ha scritto nel cuore di ogni uomo e che la nostra coscienza ci testimonia.
Veniamo ora alle risposte ai singoli punti:
Al n. 1. Sottolineando l’importanza della pietà popolare, il Papa non nega il ruolo dei teologi, che la Chiesa «apprezza e incoraggia», «purché non si accontentino di una teologia da tavolino» (Ev Gaud. 133). In particolare, «le Università sono un ambito privilegiato per pensare e sviluppare questo impegno di evangelizzazione in modo interdisciplinare e integrato» (Ev Gaud. 134). Egli ha affermato che «gli esegeti e i teologi aiutano la Chiesa a maturare il proprio giudizio» (Intervista di A. Spadaro, Civ. Catt. 19/09/203). Dunque pietà popolare e teologia non sono in contrasto, ma devono incontrarsi.
Al n. 2. Il Papa non ha una buona opinione non dei teologi in generale, ma di quelli che non pregano, che non hanno vita spirituale, che non uniscono studio e preghiera, che non hanno la mente aperta allo Spirito di Sapienza, che non camminano con la Chiesa.
Al n. 3. Per comprendere quelle affermazioni del Papa sull’ideologia, bisogna capire bene che cosa significa “ermeneutica ideologica”. Papa Francesco lo fa intendere chiaramente: essa significa interpretare la Chiesa con categorie prese “da fuori”, da concezioni estranee, di tipo sociologico, politico o laicista, cioè immanentista e razionalista, mentre la Chiesa va capita con le categorie «che la Chiesa stessa ci offre», che sono le categorie «cristiane», cioè «capire la Chiesa con occhi di cristiano, con mente di cristiano, con cuore cristiano, dall’attività cristiana» (ivi). Fuori da questa prospettiva si ha «un lavaggio di cervello teologale, che alla fine ti porta a un incontro con Cristo puramente nominalistico, non con la Persona di Cristo Vivo» (Al Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali, 21/09/2013).
Al n. 4. In definitiva il Papa invita anche i teologi alla conversione, ad abbandonare l’orgoglio intellettuale. Anche il teologo infatti, come il sapiente Salomone, può perdere la fede: «L’uomo più saggio del mondo si è lasciato portare avanti per un amore indiscreto, senza discrezione. [...] Avere fede non significa essere capaci di recitare il Credo. Ma tu puoi recitare il Credo e aver perso la fede» (Omelia a Santa Marta del 13/02/2014).
In conclusione, alla domanda iniziale bisogna dare una risposta negativa, e cioè che Papa Francesco non ce l’ha con i teologi, ma solo con i cattivi teologi, quelli che seguono più le loro ideologie che non la dottrina della Chiesa.

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Chiediamo ai vescovi una moratoria sulle interviste
di Giuseppe Tires

Vorrei fare una semplice proposta: vescovi e cardinali non diano più interviste di qualsiasi genere, a qualsiasi giornale. Almeno per un certo tempo. Si prendano un periodo sabbatico. Noi semplici fedeli abbiamo bisogno di un black-out, un periodo di silenzio stampa dei nostri pastori, per riprenderci dalla confusione e dallo sconcerto. Non se ne può più.
Non è necessario che cardinali e vescovi dicano la loro su ogni cosa e in continuazione, che si contraddicano a vicenda, che si critichino l'un l'altro sui giornali, che esprimano le loro opinioni personali, che facciano rivelazioni di cose coperte da segreto, che anticipino le conclusioni di un Sinodo che deve ancora cominciare, che diano giudizi su questo e su quello, che rivelino cosa dirà la prossima enciclica del Papa con fughe di notizie, anticipazioni, interpretazioni, ammonizioni, previsioni. I fedeli sono disorientati.
Il cardinale Kasper sta continuamente parlando della comunione ai risposati e di mille altre questioni, gira il mondo a fare conferenze e a concedere interviste come fosse il capo di un partito che si prepara a dare battaglia al prossimo Sinodo.  Il cardinale Maradiaga ha criticato il suo collega Müller non in un colloquio privato, ma sulle pagine del Tegespost. Non poteva incontrarsi con lui e fare una chiacchierata? Ora monsignor Galantino spiazza tutti con frasi perlomeno ambigue e disorientanti. All'interno del ristretto gruppo di cardinali incaricati della riforma della curia le esternazioni inopportune non si contano. E si tratta di un pool di cardinali con una enorme responsabilità in mano.
Tutti abbiamo ormai capito che tra i cardinali ci sono mille posizioni sui temi del prossimo sinodo. Non si era mai visto un simile chiacchiericcio prima di un sinodo. Perché non stanno zitti e le cose che devono dirsi non se le dicono al sinodo? Oppure perché non si riuniscono e non se le dicono a porte chiuse? I fedeli sono allarmati e molti temono che questo chiacchiericcio continui poi anche al Sinodo. Non è un bell'esempio di responsabilità. Sulle cose che essi trattano disinvoltamente nelle interviste ai giornali i fedeli ci impegnano la vita. Poi, si dice, farà la sintesi il Papa. Ma anche questo rischia di deformare le cose: come se il Papa fosse colui che media tra le posizioni di un confronto e che la verità, che il Sinodo insegnerà, sarà solo il frutto di una sintesi dialettica.
In questo ultimo periodo vescovi e cardinali sono sembrati dei politici, che si parlano in codice attraverso i giornali. Si criticano le esternazioni dei giudici che, si dice, dovrebbero parlare solo mediante gli atti. Perché non fanno lo stesso anche vescovi e cardinali? Parlino con dichiarazioni, con messaggi, con omelie, con lettere pastorali, insomma con atti di magistero, non con quattro battute improvvisate davanti ad un microfono di un giornalista. Lo facciano almeno per un po’, per permetterci di riprenderci dallo stordimemto.
Qualcuno dice: ma quello non è magistero. D'accordo, e allora i pastori, ossia il magistero, perché lo adopera? L'inflazione delle chiacchiere non aiuta, la gente non è sempre in grado di distinguere, le strumentalizzazioni sono in agguato, l'inflazione degli interventi ne neutralizza l'importanza, sicché anche gli interventi veramente importanti verranno poi interpretati come chiacchiera. I vescovi e i cardinali devono parlare poco, appunto perché poi, quando parlano, quello che dicono abbia un peso.
È stupefacente che, dopo aver constatato lungo questi decenni quanto possano pesare le deformazioni che i media gettano sulle cose di fede – sono riuscite a deformare un intero Concilio -, si concedano ancora interviste improvvide per poi avvitarsi nella ridda delle smentite quando ormai il danno è irreparabile. Non si capisce questa smania da proscenio da parte di uomini di grande responsabilità nella Chiesa, non si capisce chi e cosa vogliano provocare, non si comprende questa consegna alle logiche del mondo e allo spettacolo.
Tempo fa era scoppiato il caso Vatileaks, ma anche questo è una specie di Vatileaks, un gocciolamento continuo di indiscrezioni, frecciate indirette, ambiguità, concetti sul filo del rasoio, affermazioni e smentite. A farne il peso sono i fedeli.
La mia è una umile richiesta. Non sono nessuno. Ma per favore, signori cardinali e vescovi, smettetela con le interviste. Almeno per un po’.