sabato 17 maggio 2014

Rosso Flammae


Flammae Cordis1
di Maria Eleba Rosati      trentamenouno
La verità è che io questo post avevo iniziato a scriverlo giorni e giorni fa, ed aveva un titolo ed un’immagine diversa.
La verità è che scrivo, ma dovrei dormire già da un pezzo, e infatti la palpebra non stenta a ricordarmelo, ora che, ripresi i turni di lavoro sulle 8 ore, ho accantonato la pratica abituale di scrivere il blog a notte fonda, relegandola a sabati sera particolarmente ispirati, prima di cadere schiantata dal sonno su una qualsiasi superficie.
La verità è che non so da che parte cominciare a scrivere, per raccontare questa storia di amore, di amicizia, di fedeltà.
Potrei cominciare da un invito a cena, rivoltomi ormai anni fa da due ragazze, arrivate a Roma da poco dal Piemonte, per studiare e lavorare: più o meno la mia età, erano venute ad abitare proprio dietro casa mia, cosa poco usuale per due normali ragazze fuori sede. Potrei iniziare dallo stupore che è seguito a quella cena, nello scoprire che le due ragazze erano consacrate, suore senza velo e senza tonaca, e che speravano un giorno di poter vivere la loro consacrazione con un abito, che rendesse evidente a tutti la loro scelta di vivere il rapporto con Cristo nella pienezza della vita comunitaria, nella preghiera, ma soprattutto nel lavoro. Un lavoro come gli altri, da ingegnere e da medico, portato avanti con la fatica che tutti affrontiamo. E poi uno Sposo, lo Sposo, da pregare nel silenzio di una cappellina, a cui affidare l’aridità delle giornate, la fatica dei rapporti con le persone, e con le compagne di comunità (che nel frattempo passate da due a tre), la nostalgia di casa e della famiglia.
Potrei iniziare da quello che non so, e che posso solo immaginare, cioè la fatica che hanno fatto le mie amiche per vivere la loro vocazione alla vita consacrata, agli occhi di un mondo che va al contrario, di fronte agli amici, ai colleghi di lavoro, di fronte alle loro famiglie. Quello che non so immaginare è lo sconforto di certe sere di pioggia, e di certi giorni di sole, della lontananza da casa, della tentazioni, gli scontri, i momenti di confusione, di dubbio, di incertezza e di paura, il timore di aver sbagliato tutto, e di dover mollare.
Potrei iniziare a raccontare della testimonianza di fede, fedeltà e obbedienza che è la vita delle mie amiche per tutti noi, che piano piano le abbiamo conosciute, e abbiamo iniziato a condividere con loro i nostri cammini di crescita spirituale, attraverso quel laboratorio di bellezza che è l’ Oratorio della Chiesa Nuova, attraverso le chiacchierate con loro, le confidenze con loro, nei momenti di gioia e di dolore condivisi con loro in questi anni di attesa.
L’ attesa piena di speranza che ha accompagnato il momento più recente di questa storia, sabato scorso, quando le mie amiche hanno finalmente vestito l’abito delle Flammae Cordis, nuova sezione femminile di consacrate della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri. Le abbiamo viste così indossare l’abito a lungo desiderato, rosso, come fiamme che escono dal cuore di Cristo, e pronte ad infiammare chiunque si avvicina a loro.
Ecco a dove arriva tutto questo cammino di “potrei”: a costruire una storia di bellezza profondissima, come di rado capita di vedere. Perché Luisa, Emanuela e Laura, oggi sono Flammae, consacrate a Dio. Lontane dalle varie suor Cristina del momento, dalle paladine del girl power, lontane dall’immagine della vita castrata della monaca di Monza, o da quegli esemplari di  suore tremende che tutti almeno una volta abbiamo conosciuto. Bellissime, piene di vita, Donne vere, maiuscole, che dal momento in cui hanno indossato l’ abito si sono rivestite di uno splendore abbagliante, che sabato ha commosso tutti noi, che eravamo lì, con loro. Belle come spose, radiose come madri, sono lo specchio di una femminilità che stentiamo a riconoscere oggi; donne che hanno donato loro stesse, e non hanno perso un briciolo di tutto quello che fa bella e grande la vita. Capaci di quell’accoglienza materna, di quella cura, di quell’attenzione che solo le madri sanno dare, con il loro corpo e la loro vita donata interamente Dio, e con la fierezza e la bellezza di cui sono rivestite ora, sono pronte a camminare per le strade di Roma, e a continuare a lavorare come hanno sempre fatto, per testimoniare con la presenza la verità della fede. E la serietà della scommessa decisiva della vita: puntare la propria esistenza su Cristo, nella certezza di ricevere il centuplo già su questa terra.
A noi che le portiamo nel cuore, come le sorelle più care, rimane lo stupore di aver assistito sabato ad un momento da vertigine, pieno di una bellezza da spaccare il cuore, e la gratitudine profondissima, quasi inesprimibile, a Dio per aver chiamato donne come loro ad essere Sue, e per averle messe sul cammino di fede di tanti di noi. E a loro per aver risposto “Sì”, e per aver insegnato, ancora una volta, a me e a tutti, la serietà dell’obbedienza e della fiducia nella vocazione, e l’importanza di buttarsi nell’impegno e nel dono della propria vita, nella certezza che “per meno di tutto non vale la pena”.