venerdì 2 maggio 2014

Istigazione all'aborto...

Una donna su 5 subisce pressioni per abortire... ecco le prove.
di Lorenzo Bertocchi

Le chiameremo Alice e Barbara, due mamme che fanno parte delle 573 donne aiutate nel 2013 dal Servizi Maternità difficile e vita della Comunità Papa Giovanni XXIII, un servizio che don Benzi attivò nel 1997. I dati sono stati presentati ieri a Bologna nel Rapporto 2013 sulle attività della comunità. Sia Alice che Barbara, ha ricordato Enrico Masini, responsabile del Servizio, fanno parte di quel 21% di donne che arriva alla Comunità sotto forti pressioni per farle abortire. La chiamano «istigazione all’aborto». Non immaginiamo però chissà quale disagio sociale, ma sempre più spesso sono ragazze della porta accanto che subiscono pressioni dai genitori, dal marito/compagno, dal datore di lavoro o da un medico.
Delle 573 donne aiutate, circa la metà sono italiane e la crisi ha incrementato questo dato. Poi ci sono le straniere, molte delle quali vittime della tratta del sesso schiavizzato. Spesso è un'amicizia che porta le mamme al contatto con la Comunità, un'amicizia che salva due vite, perché il 69% di quelle che arrivano indecise sull’aborto, alla fine continuano la gravidanza.
È il caso di Alice che nella sua testimonianza ha ricordato di quando «ha aperto gli occhi». 
«I miei genitori mi hanno portata ad abortire – racconta - ma quando sono andata per firmare il foglio e ho visto l’ecografia di mio figlio schiaffata lì sulla scrivania, anche se ho visto che era una cosa piccolissima, non ce l’ho fatta a dire lo tolgo». Alice ha 23 anni, un lavoro poco remunerativo e un “moroso” (il fidanzato) disoccupato, perciò i genitori le dicono di abortire. «Quando sono andata per firmare il foglio mia mamma era lì e continuava a dire: “A me non piace il tuo moroso”, e anche la dottoressa dava ragione a mia mamma: “Dai sei tanto giovane, ne farai altri di figli, ne troverai altri di morosi”. Nessuno si è preoccupato di spiegarmi che differenza c’era tra tenere o non tenere il figlio. Io piangevo e nessuno mi ha chiesto perché».
Barbara, invece – mi racconta Paola Dal Monte, l’animatrice della Comunità che risponde 24 ore su 24 al numero verde 800035036 – arriva grazie alla segnalazione di un operatore sanitario. Barbara ha 26 anni, nessun problema economico, sposata con già un figlio. Il marito le dice: «O abortisci, o ti lascio!» E lei non vuole perdere il marito. Il colloquio con gli operatori della Comunità dura 4 ore. «Ci siamo innanzitutto messi in ascolto - dice Paola - come facciamo sempre. A volte basta questo, perché spesso è un problema di solitudine e trovare qualcuno che ti accompagna davvero è già sufficiente per rimuovere gli ostacoli». Con Barbara, purtroppo, non sarà sufficiente.
«Mentre parlavamo - dice ancora Paola - Barbara ribadiva che se c’è una legge che lo permette allora l’aborto è lecito. Continuava a sostenere il suo dubbio con una frase: “Ma la legge me lo consente!”».
Esattamente il giorno dopo lo psichiatra ha rilasciato a Barbara, come previsto dalla famigerata Legge 194, un certificato che attestava il pericolo per la sua salute psichica. Il lasciapassare per l’aborto era pronto. Barbara, essendo alla 20ma settimana, ha dovuto essere sottoposta all’induzione del parto. Era una bambina che la Papa Giovanni XXIII ha chiamato Gemma, perché nata il giorno di S.Gemma Galgani. Gemma ha vissuto quei pochi secondi che aveva da vivere .
«Se è legale è lecito, è una delle obiezioni che ci sentiamo fare più spesso – dice ancora Paola –. La tanto sbandierata libertà della donna, richiamata dalla stessa Legge 194, nel concreto si trasforma sempre più spesso nella libertà per abortire. Noi lo vediamo, lo viviamo. La donna è sola con sé stessa e sempre più spesso vittima di pressioni di vario genere che la spingono verso l’aborto».

Alice, invece, ha “aperto gli occhi”. «Tutti a dire la loro… ma ad un certo punto ho aperto gli occhi. – racconta Alice -. Ok, ho 23 anni, di figli posso farne ancora, ma alla fine l’aborto l’avrei fatto io. Ora. E questa cosa non mi è andata giù e ho detto: “Io non sono esente dal non fare sacrifici, mi rimbocco le maniche, mi tengo mio figlio”». 
Don Benzi diceva che in ogni aborto c’è “un vorrei, ma non posso”, una richiesta di aiuto a cui bisogna rispondere. La Comunità oltre ad attivare i servizi sociali laddove necessario, ci si mette in prima persona a rispondere: aiuti morali, ma anche materiali, perfino l’accoglienza in case famiglia o le cosiddette “famiglie aperte”, disponibilità all’affidamento (anche diurno), disponibilità ad accogliere (anche per sempre) bambini (anche con handicap).
Alice, che i genitori hanno cacciato di casa dopo che aveva scelto di tenere il figlio, è andata in una casa famiglia della Comunità. Ed ora sta aspettando che nasca sua figlio. «Non me la son sentita di uccidere una vita. – conclude Alice - Ci sarei stata male io. Anche se era un essere di un millimetro era sempre dentro di me. Quello che mi fa rabbia è non essere stata aiutata dalla mia famiglia e dall’ospedale. Se non avessi avuto la fortuna di essere stata indirizzata verso chi poteva aiutarmi adesso io avrei abortito perché mi mettevano addosso uno stress tale che non ce l’avrei fatta. Adesso non vedo l’ora che nasca mio figlio. Tutto il resto si vedrà».

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Quelli che spingono la donna ad abortire
di Paola Bonzi

In questo periodo, impiego molto del mio tempo per le pubbliche relazioni e per essere presente sulla stampa come Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli. Martedì, dunque, ho registrato un servizio per il TGR in cui spero di essere riuscita a comunicare la bellezza dei nostri incontri con le donne che, se aiutate, rinunciano a interrompere la gravidanza.
Salutati e ringraziati i giornalisti, ecco il suono imperativo del cellulare. Un’amica! Tiziana, però, non telefonava solo per salutarmi ma, in quel momento, soprattutto per farmi parlare con una sua collega. Manuela, infatti, essendo entrata in un negozio e avendo dovuto aspettare il suo turno, è stata coinvolta in un discorso il cui soggetto era l’interruzione della gravidanza di una delle signore presenti.
Le solite frasi: «Perché vuoi rovinarti la vita?». «In fondo non è ancora un bambino». «Un figlio l’hai già e vedi quanta fatica costa crescerlo. Come farai nella condizione in cui ti trovi?».
Nulla di nuovo, purtroppo! Oggi si parla anche dei problemi più intimi quasi pubblicamente e, abortire, sembra qualcosa di “normale” in certe situazioni difficili.
Manuela si è sentita interpellata, ne ha parlato con Tiziana ed è arrivata la telefonata. «Cosa posso fare per Lucia? La conosco da qualche tempo e provo per lei un certo affetto. Mi dispiace che abbia preso questa decisione».
«Manuela, vuoi provare a offrirle un colloquio con noi al CAV? Io sono qui e posso aspettarla». Mi arriva poco dopo un messaggio: 12 e 30. Finalmente posso fare il mio lavoro! 
Così mi metto nell’ottica di affrontare un colloquio. Chi sarà Lucia? Quale la sua storia? Che cosa le impedisce di portare avanti la gravidanza? È un momento quasi magico quello del colloquio! Si sviluppano, infatti, strane alchimie per cui sembra che il tempo si fermi, le emozioni ti si rovescino addosso e tu, lì, a cercare di non farti travolgere.
Ecco, infine, le due amiche. Momenti di cortesia per dare il benvenuto. Lucia si sta forse chiedendo perché è venuta e che cosa può accadere di buono per lei in quella stanza con questa sconosciuta. Manuela vorrebbe lasciarla sola con me ma Lucia la trattiene.
Ci sediamo.
L’aria intorno è come rarefatta. Ci sentiamo tutti in attesa.
«Lucia, vuole provare a raccontarsi?».
Così vengo a sapere che è originaria dell’America Latina, essendo arrivata in Italia da bambina. Ha ventotto anni e un bambino che ne compirà sei. La vita con il padre di suo figlio non è stata facile ed è presto arrivata la separazione.

Lei ha da qualche tempo conosciuto Marco con il quale sperava di costruire una famiglia, avevano anche parlato di figlio. Quando, però, il figlio è arrivato, lui se n’è andato, non l’ha più visto, non l’ha più sentito. Si intristisce nel dire queste cose, per un’altra volta si è messa con l’uomo sbagliato!

Si fa silenziosa e ascoltiamo il suo silenzio. «Ora aspetto questo bambino. Nessuno lo vuole, forse nemmeno io». Mi sembra di percepire una specie di singulto soffocato. «Che cosa potrei dare a questo bambino? – dice come tra sé – Della casa non pago più l’affitto, il mio piccolo lavoro è “in nero”, mio figlio andrà alla scuola elementare e chissà quante cose serviranno, dovremo poter mangiare, vivere in una parola. Meglio fermare questa gravidanza».
Ecco, siamo arrivati al capolinea. Il ricordo del suo singulto soffocato mi fa sentire autorizzata a intervenire nel suo dire. «La sua famiglia, la sua mamma?» «Tutti non fanno che ripetermi che devo abortire e che il contrario sarebbe pazzia».
Penso che la pazzia ha il nome del piccolo bimbo che, convinto di essere nel posto più sicuro del mondo, si vedrà rapire la vita.
«Mi scusi, Lucia. Non le ho presentato il nostro lavoro. Siamo un’associazione di volontariato che vuole stare insieme alle donne in difficoltà per una gravidanza non programmata o indesiderata. Ci sentiamo felici quando le madri ci permettono di stare con loro per un pezzo di vita e, per questo, offriamo degli aiuti».
Silenzio con punto di domanda. Continuo: «Alle donne che intendono interrompere la gravidanza per motivi economici, proponiamo un aiuto mensile per il tempo della gravidanza e per il primo anno del bambino. C’è, poi, il nostro percorso fatto di incontri mensili individuali o di gruppo per imparare il difficile mestiere di genitore. A lei proporrei anche il corso di preparazione alla nascita, visto che ha partorito ormai da qualche anno. I bambini hanno poi bisogno di un corredino e, soprattutto, di tanti pannolini che regaliamo noi volentieri. Esiste anche una “borsa della spesa” rigonfia di alimenti di prima necessità. Come le sembra?»
Manuela le prende una mano affettuosamente. «Potrebbe essere una bella soluzione, Lucia.  Non saresti costretta a disfarti del tuo bambino e non ti sentiresti più così sola. Partecipare a un gruppo fatto di altre donne, potrebbe costituire una bella occasione per incontrare delle amiche».
Lucia sembra mettere dentro di sé tutte queste informazioni soppesandole. «Non sapevo che esistessero posti come questo!  - esclama guardando prima me e poi Manuela – tutti raccontano le cose negative della vita e di quelle belle non si parla. Sento che così accompagnata potrei farcela e che questa potrebbe essere una bellissima avventura».
Finalmente respiro.
«Allora, auguri Lucia», e la tengo stretta in un grande abbraccio.

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Pillola del giorno dopo, non tutti stanno a guardare
di Tommaso Scandroglio

Non tutti stanno a guardare. Ad esempio i Giuristi per la Vita, l’Onlus Pro Vita, l’Unione Cattolica Farmacisti Italiani, il Forum delle Associazioni Familiari e l’Associazione Italiana Ginecologi e Ostestrici Cattolici hanno deciso di mettere in stato d’accusa la famigerata pillola del giorno dopo (Norlevo). Questo preparato chimico, attesta la letteratura scientifica (si leggano gli studi di Kahlenborn, Severs, Stanford, Mikolajczyk, Alegre-del Rey, Puccetti, Mozzanega, Cosmi), può avere non solo effetti contraccettivi, ma anche abortivi.
Secondo invece una nota dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) del dicembre scorso, il “Norlevo (levonorgestrel) è un contraccettivo d’emergenza, comunemente chiamato ‘pillola del giorno dopo’. Agisce ritardando l’ovulazione, impedendo così la fecondazione”. Dei suoi possibili effetti abortivi non si fa cenno. Non solo, ma nella Gazzetta ufficiale del 4 febbraio di quest’anno si avvisa che il vecchio foglietto illustrativo del Norlevo in cui si indicava il meccanismo antinidatorio della molecola e dunque abortivo – l’embrione non riesce più ad impiantarsi in utero e così muore – è stato cambiato ed ora gli effetti presenti nel nuovo bugiardino sono solo quelli anticoncezionali. La posizione dell’Aifa è avvalorata in un certo qual modo anche da una sentenza del Tar del Lazio del 2001. In essa i giudici da una parte chiesero che nel foglietto illustrativo del Norlevo comparisse l’effetto antinidatorio, che come abbiamo appena visto oggi non è più indicato, ma dall’altra - dato che secondo loro la gravidanza inizia quando l’embrione si è impiantato sulla parete uterina – il Norlevo non era una pillola abortiva proprio perché i suoi effetti si producevano prima dell’impianto in utero dell’embrione.
Il 30 aprile scorso si è svolta l’ultima puntata di questa saga, puntata però non definitiva. Davanti alla Terza Sezione Quater del Tribunale Amministrativo del Lazio le realtà associative a cui facevamo cenno all’inizio hanno impugnato la determinazione dell’Aifa n. 2215/2013 in cui appunto si cancellava dal bugiardino l’azione di possibile impedimento dell’impianto dell’embrione da parte del Norlevo. Più in particolare l’oggetto del ricorso è il seguente: «l’annullamento, previa sospensione, della determinazione dell’Agenzia Italiana per il Farmaco V & A 2215 del 17 dicembre 2013, pubblicata per estratto sulla G.U., Serie Generale, n. 28 del 4.2.2014, Supp. Ord. n. 10, di modifica dell’autorizzazione all’immissione in commercio del medicinale per uso umano ‘Norlevo’ (14A00534), anche con particolare riguardo alla parte in cui si afferma in modo apodittico e indimostrato che il farmaco non può impedire l’impianto nell’utero di un ovulo fecondato, causando l’interruzione della gravidanza, cioè un aborto, provocando la morte dell’embrione».
Sul banco, non farmaceutico, ma degli imputati sono finiti oltre all’Aifa anche il Ministero della Salute, la società francese Laboratoire HRA Pharma produttrice della pillola e la società Aziende Chimiche Riunite Angelini S.p.A. che distribuisce il preparato in Italia.
All’udienza del 30 aprile, l’Avvocatura dello Stato, che rappresenta l’Aifa, ha chiesto un rinvio per approfondimenti. Il Tar ha concesso una proroga dei tempi e quindi il tutto è stato rimandato al 28 maggio. I Giuristi per la Vita stanno predisponendo una nota sull’intera vicenda.
Vicenda la quale ci ricorda che ancora una volta quando ci sono di mezzo dei bambini che devono nascere vale più il parere dei magistrati che gli asserti oggettivi degli scienziati.