venerdì 2 maggio 2014

Parla Peter Singer, guru dell’aborto eugenetico e dell’infanticidio


peter-singer-014

di Giulio Meotti    Il Foglio  11 marzo 2008
Una mattina di aprile del 1999, decine di disabili manifestarono davanti all’ingresso della Nassau Hall, all’Università di Princeton. Quel giorno il filosofo Peter Singer avrebbe assunto la direzione della cattedra di bioetica più prestigiosa al mondo. Sylvia Nasar sul New York Times aveva appena paragonato il suo ingaggio a quello di Bertrand Russel al City College di New York. Quel giorno i disabili dell’organizzazione Not Dead Yet scandivano il loro oltraggio contro il nuovo Jeremy Bentham, lo chiamavano “l’uomo più pericoloso del mondo”. L’ateo pro life Nat Hentoff nei suoi editoriali chiedeva all’università di cacciare quel “professore dell’infanticidio”. Diane Coleman, la fondatrice di Not yet dead che aveva per anni manifestato contro Jack Kevorkian fuori dai tribunali, ha scagliato un nuovo anatema contro Singer : “Nessuno deve dimostrare di essere persona”.
George Pell, arcivescovo di Melbourne, dove Singer insegnava prima di atterrare nel Massachussets, gli ha dichiarato guerra, chiamandolo “il ministro della propaganda di Erode”. Molti studenti se ne sono andati sbattendogli la porta in faccia, chiamandolo “professor morte”. E’ nata anche una Princeton Students Against Infanticide.
A dieci anni dall’arrivo di Singer a Princeton, le proteste non sono cessate. I disabili portarono copie dei suoi scritti, su tutti l’inquietante Cosa c’è di sbagliato nell’omicidio?. Il congressman repubblicano Steven Forbes aveva scritto una lettera al rettore di Princeton, Harold Shapiro, in cui evocava il programma di eugenetica nazista e chiedeva la revoca dell’incarico a Singer. Quattordici anni prima Singer aveva scritto un libro dal titolo Should the baby live?, in cui affermava che “alcuni bambini con gravi disabilità devono essere uccisi”. Il Wall Street Journal paragonò Singer al segretario di Hitler, Martin Bormann :”Ci chiediamo cosa impedisca a Princeton di arruolare un nazista o un giapponese che non vedeva nulla di sbagliato negli esperimenti sui prigionieri di guerra”. Un deputato del congresso disse che la nomina equivaleva a “mettere Josef Mengele a capo della bioetica”. Sono soltanto alcune delle reazioni legate al nome di Singer. Il professor David Oderberg, invitato dal Foglio a replicare con un articolo alle tesi di Singer, ci ha risposto che “per nulla al mondo accetterei di comparire in una pagine con Singer”. Al suo posto ha risposto Wesley Smith, grande bioeticista allievo di Ralph Nader e difensore di Terri Schiavo.
Nel 1999 con il titolo “Quando è giusto uccidere un infante”, il New York Times pubblicò un estratto del libro di Singer Etica pratica , base del suo insegnamento a Princeton, in cui si sostiene che l’eutanasia può essere applicata anche a un neonato emofiliaco. E’ vero che il neonato emofiliaco potrebbe vivere “in positivo equilibrio tra la felicità e l’infelicità” e quindi ci si potrebbe opporre all’eutanasia. Ma se la sua morte inducesse i genitori ad avere un altro figlio “con migliori prospettive di felicità maggiore per tutti”, l’opposizione dovrebbe cadere. “Da un punto di vista complessivo – afferma Peter Singer – uccidere il neonato emofiliaco non è l’equivalente morale di uccidere una persona. La perdita di una vita felice da parte del primo bambino è superata dal guadagno di una vita più felice da parte del secondo. Di conseguenza, se uccidere il bambino emofiliaco non ha conseguenze negative per altri, da un punto di vista complessivo, sarebbe giusto ucciderlo”.
La storia di Peter Singer, principale fautore mondiale dell’utilitarismo, inizia a Treblinka, il campo di sterminio polacco dove i nazisti annientarono metà della sua famiglia. Uno dei suoi nonni, un grande rabbino, morì ad Auschwitz. I suoi avi a Vienna avevano frequentato Freud, Adler e Schnitzler, provenivano dal milieu colto della cultura mitteleuropea. Singer è stato soprannominato “il filosofo della soluzione finale”, un giornale del Massachussets lo chiama “decano della morte”. Ma sarebbe un errore fatale liquidarlo come un uomo folle, i suoi scritti sono usati nei corsi universitari in Italia, è tradotto da Einaudi, viene invitato al Festival della filosofia di Mantova, il premier spagnolo Zapatero si è avvalso della sua consulenza sul Progetto Grande Scimmia. Inoltre Singer si porta benissimo in alta società con la sua “etica sociale che determina quali vite umane abbiano un valore e quali non ne abbiano”. Nel 1997 Singer fu invitato a tenere una conferenza sulla “dolce morte” in Svezia.
Il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal organizzò il boicottaggio perché, disse, “è inaccettabile un professore di morale che giustifica l’uccisione di nuovi nati handicappati”. Secondo il New York Times la sua popolarità è simile a quella di Albert Einstein negli anni Quaranta all’Institute for Advanced Studies. Non c’è teoria filosofica che abbia scatenato più clamore di quella di Peter Singer negli ultimi cinquant’anni.
Vegetariano di sinistra, predicatore della disobbedienza, evoluzionista e socialdemocratico, paladino degli animalisti e teorico della filantropia verso l’Africa ( in Famine, Affluence and Morality ha proposto la carità per superare il debito del Terzo Mondo), sposato con una militante dell’antirazzismo pedagogico, luminare della bioetica che da sempre investe un quinto dello stipendio in opere di beneficienza, Singer ha formulato teorie che con gli anni sono diventate casi da manuale, dal Protocollo di Groningen sulla “morte bambina” alle raccomandazioni del Royal College sull’eutanasia dei neonati handicappati fino al parere del Nuffield Council on Bioethics, secondo il quale ai medici del Regno Unito dovrebbe essere imposto l’obbligo di staccare la spina ai bambini nati prima delle 22 settimane di gestazione. Singer ha anche curato le più importanti voci di Etica dell’Enciclopedia Britannica.
Il bioeticista Arthur Caplan scrive su Time che “è facile demonizzare Singer, ma è un uomo la cui risonanza merita considerazione da tutti”. per questo il Foglio ha deciso di intervistarlo. Singer ha scritto che “nei prossimi 35 anni, la visione tradizionale della santità della vita umana collasserà sotto la pressione dei progressi scientifici, demografici e tecnologici. Potrebbe accadere che solo dei superstiti, un gruppo di irriducibili fondamentalisti ignoranti difenderà l’idea che ogni vita umana, dal concepimento alla morte, sia sacrosanta”. Per questo era importante dargli la parola. Perché Peter Singer è bioetica main stream.
 Iniziamo con il suo retroterra filosofico. Lei si definirebbe un pragmatista?
Certamente, sono un utilitarista e un oggettivista, anche se penso che l’etica debba essere pratica, responsabile.
Lei crede nei valori dell’illuminismo?
Sì, mi considero totalmente illuminista.
Accetta la definizione di razionalista ?
Sì, la ragione è un concetto fondamentale.
Qual è la sua idea dominante nella distinzione tra “persone” e “non persone” ?
Il fatto che un essere non sia una persona non significa che non dobbiamo nutrire preoccupazione per il suo benessere. Tutti fanno questa distinzione fra persone e altri esseri. L’essere un uomo è sufficiente e necessario per essere una persona? Se con “umano” intendiamo un “membro della specie homo sapiens”, è difficile marcare la differenza fra persone e non persone. Come può essere così cruciale questo fatto biologico dell’appartenenza alla specie? Si chiama specismo e lo specista è il più crudele dei razzisti, è uno che traccia una linea, chi è fuori manca di uno status morale. Anziché tracciare una linea di distinzione fra persone e altri esseri sulla base della specie, dobbiamo guardare a caratteristiche morali significative. C’è chi ha proposto la razionalità, altri l’autonomia, altri l’autocoscienza, altri la capacità di comprendere l’altro o desiderare un futuro. Queste sono caratteristiche moralmente significative. Ad esempio, soltanto gli esseri che hanno la capacità di comprendere che esistono possono fare dei piani per il futuro. L’uso del termine “persona” risale ai primi giorni della cristianità, con lo sviluppo della dottrina della Trinità. Boezio enfatizzò la “natura razionale” come il tratto distintivo della persona. Se assumiamo come moralmente significanti queste caratteristiche nella distinzione fra persone e altri esseri, è immediatamente evidente che non c’è fondamento nella linea tracciata fra esseri umani e altri animali. Al contrario, riguardo a queste caratteristiche, alcuni esseri umani non le hanno e alcuni animali non umani le possiedono. I feti umani, i bambini appena nati e gli esseri umani intellettualmente disabili non possiedono razionalità, autonomia, autocoscienza e capacità di comprendere che esistono nel tempo. Mentre gli scimpanzé e i grandi primati hanno queste capacità, almeno un certo grado. Su queste basi possiamo dire che alcuni esseri umani non sono persone , mentre alcuni animali non umani lo sono.
Gli esseri umani secondo lei hanno diritti naturali inerenti?
No, è un concetto sbagliato. I diritti servono per proteggere gli esseri umani, ma non sono naturali.
Lei ha rivoluzionato la bioetica e la discussione sui diritti umani. Qual è stato il suo obiettivo?
Sul piano teoretico, volevo portare rigore e consistenza all’etica. Sul piano pratico, dirigere l’attenzione sulla sofferenza e la sua riduzione. Per questo mi sono concentrato sull’obbligo dei ricchi di fare di più per assistere i più poveri del mondo, quel miliardo di persone che vivono con un dollaro al giorno. Mi sono anche concentrato sulla sofferenza indifendibile che infliggiamo sugli animali, specialmente negli allevamenti, dove costringiamo gli animali a vivere in modo orribile in modo poter avere la loro carne da mangiare, il loro latte, le loro uova. Poi c’è la sofferenza della fine della vita, con l’eutanasia permessa in Olanda, in Belgio, nell’Oregon e presto in Lussemburgo.
Lei ha sostenuto la necessità di porre fine all’esistenza di bambini handicappati e con una prognosi severa.
Con la mia collega, Helga Kuhse, abbiamo iniziato a pensare a questo dopo aver fondato il Centre for Human Bioethics alla Monash University di Melbourne. Ci interessavano i medici sul trattamento dei bambini con spina bifida. Questa condizione è meno diffusa oggi, perché le donne assumono l’acido folico in gravidanza e perché la maggior parte dei bambini con questa malattia vengono abortiti in utero. La ragione del lasciarli morire era la miserevole vita che avrebbero condotto e la cura dei bambini che sarebbe diventata un peso per i genitori. Ma molti di loro non morivano rapidamente, alcuni vivevano per mesi, altri non morivano affatto. Non era una politica desiderabile. La decisione morale era se un bambino handicappato dovesse vivere o morire. Una volta presa la decisione, la morte del bambino, abbiamo pensato che dovesse avvenire in modo umano. La decisione se il bambino debba morire o no deve essere presa sulla dettagliata conoscenza della sua condizione, sulla situazione della famiglia e sulla e sulla possibilità di rifiuto dei genitori. Una questione è se il bambino appena nato abbia lo stesso diritto alla vita di un adulto. Io non lo penso. Gli infanti possono provare dolore e devono essere protetti dalla sofferenza, ma non hanno consapevolezza e non sanno concepirsi nel tempo, nel futuro. Un altro elemento è il legame fra la madre e il figlio. Esiste, anche prima della nascita, ma non è così forte come quello che si forma le settimane successive alla nascita. Quindi se le prospettive del bambino sono povere, sarà più facile per i genitori distaccarsi dal bambino appena è possibile.
 Al quotidiano inglese Independent lei ha detto che ammette l’eliminazione di un bambino disabile se “è nei suoi interessi e della famiglia”.
Se il bambino ha una condizione incompatibile con un anno o più di vita, ma sarà accompagnata da sofferenza in quel periodo, l’eutanasia è nell’interesse del bambino. E deve essere eseguita. Anche se il bambino potrà avere una vita senza eccessiva sofferenza, come nel caso della sindrome di Down, ma i genitori pensano che sia un peso eccessivo per loro e vogliono averne un altro, penso sia ragionevole considerare gli interessi del futuro bambino. I genitori possono a buon diritto dolersi che sia nato loro un bambino malformato. In questo caso l’effetto della morte del bambino sui genitori può essere una ragione per ucciderlo, piuttosto che contro. Se possiamo stabilire criteri per decidere a chi deve essere permesso di morire e chi deve essere invece curato, allora possiamo stabilire dei criteri per decidere chi dovrebbe essere ucciso.
Il 9 aprile del 1982 a Bloomington, nell’Indiana, un bambino nacque con l’ostruzione dell’esofago, risolvibile con un’operazione di routine che gli avrebbe consentito di mangiare. Ma i genitori, quando videro che era affetto da sindrome di Down, si rifiutarono di farlo operare, su consiglio del medico Walter Owens. Baby Doe morì sei giorni dopo. La Corte suprema dell’Indiana definì “medica” la decisione di lasciarlo morire. Perché fu un caso importante?I
Perché fu l’inizio del discorso sulla qualità della vita e sul diritto dei genitori di rifiutare il trattamento medico. Non voleva che il bambino vivesse e io approvai la loro decisione. La sua disabilità fu discriminante per il diritto di rifiutare il trattamento.
Qual è la sua posizione in merito al discorso sulla “qualità della vita”?
Non tutti gli esseri umani hanno diritto alla vita soltanto perché sono esseri umani. io sono dalla parte dei sostenitori della “qualità della vita”. Il feto non ha autocoscienza e alcun senso della propria esistenza nel tempo. Non può sperare, non sa cosa sia il futuro. Per questo non ha diritto alla vita. Non penso che l’uccisione di un feto o di un bambino sia moralmente equivalente con l’uccisione di un essere razionale e autocosciente. Ovviamente uccidere un bambino non è moralmente indifferente. Ma il torto consiste nel danno alla donna incinta, che ha concepito quel bambino. La morte del feto e del bambino è una tragedia per i genitori, non per il feto o il bambino.
Lei ha scritto che su una cosa è d’accordo con il movimento pro life : non c’è differenza fra il bambino non nato e uno appena nato. Un’idea su cui insiste anche il dottor Eduard Verhagen, teorico ed esecutore dell’eutanasia olandese sui bambini.
Verhagen ha ragione, come può esserci una differenza morale cruciale fra lo sviluppo di un essere umano dentro e fuori il corpo materno?Tutto ciò che dico è, perché limitare l’uccisione nell’utero? Non avviene niente di magico alla nascita. Un bambino prematuro può essere meno sviluppato di un feto in fase avanzata.
Qual è la sua posizione sull’aborto a nascita parziale, quando il medico in fase ultima della gravidanza uccide il bambino aspirandone il cervello?
Non è una tecnica desiderabile, ma è medicalmente necessaria. Non penso che lo stato debba comunque porsi fra la donna e il medico vietando questa tecnica. E’ un metodo da praticare per rispettare la volontà della donna che vuole interrompere la gravidanza.
Esistono ragioni morali per restringere le leggi sull’aborto?
Prima della capacità del feto di provare dolore, alle venti settimane di gestazione, non vedo alcuna giustificazione nel restringere il diritto d’aborto. A venti settimane il cervello non è ancora sviluppato fino al punto di rendere possibile la coscienza. Fino a quel punto il feto è meno sviluppato, meno consapevole delle circostanze, degli animali che ogni giorno uccidiamo per mangiarli. L’unica restrizione possibile è su come gli aborti sono eseguiti, per ridurre il dolore del feto. Non una proibizione degli aborti tardivi, ma maggiore attenzione alle tecniche per eseguirli. Il feto non è una persona, quindi nessun feto ha la pretesa alla vita di una persona.
Per quali patologie è legittima la sedazione terminale del bambino?
E’ difficile specificare le condizioni per le quali si deve praticare eutanasia infantile. C’è la spina bifida, l’epidermolysis e la malattia di TaySachs. Suggerisco per questo di seguire i medici di Groningen, che hanno considerato seriamente i casi medici.
Lei ha proposto una rivisitazione del decalogo biblico. Perché?
Perché dobbiamo squarciare il velo sui conflitti con l’etica tradizionale, compresa la proibizione dell’uccisione della vita umana innocente quando ci sono circostanze in cui farlo può essere la miglior cosa da fare.
Qual è la sua reazione quando la paragonano al nuovo Mengele?
Ho perso tre nonni nell’Olocausto, quel paragone svilisce ciò che fecero i nazisti e mi offende profondamente.
Se dovesse accettare il piano di paragone fra l’eutanasia dei nuovi nati e il programma nazista, cosa risponderebbe?
La differenza principale è che negli anni Trenta l’eutanasia era diretta dai medici per ordine del governo, io voglio che sia una decisione dei genitori in accordo con il medico. L’eutanasia nazista era razzista, diretta a modificare il volk, il popolo, mentre io propongo l’alleviazione delle sofferenze, non da parte dello stato, ma dei genitori.
Lei ha scritto molte pagine su come l’infanticidio era praticato a Roma, a Sparta, in Giappone. E che per questo dobbiamo giudicare relativa la nostra condanna dell’uccisione dei nuovi nati.
Ho detto che dobbiamo guardare criticamente alla tradizione cristiana della santità della vita umana, non è universale. Le passate civiltà ci hanno offerto un altro modello sulla vita e sulla morte.
Lei pensa che non vi sia alcuna differenza fra il feto di sette mesi e il neonato di una settimana di vita?
C’è un graduale sviluppo degli esseri umani e i prematuri e i nuovi nati sono molto simili. Ma io accetto l’idea che ci sia un paradosso in questa distinzione. Molti anni fa, nel 1994, proposi di fare eutanasia fino a un mese dalla nascita. Oggi penso che non dovremmo porre alcun limite temporale, dipende sempre caso per caso. Non c’è differenza fra fare eutanasia al 27esimo o al 28esimo. Il limite è uno solo, più aspettiamo più cresce il legame fra il bambino e i genitori, quindi l’eutanasia deve essere eseguita prima possibile.
C’è alcuna differenza morale fra la selezione prenatale e lo screening genetico sugli embrioni?
Sì, nel senso che è meglio per una coppia e la donna selezionare in vitro il figlio. Sono due tecniche per la scelta del figlio e l’eliminazione di disabilità.
Lei definirebbe l’aborto una procedura di uccisione ?
Sì, non uso mai eufemismi, l’aborto è omicidio. E’ l’eliminazione di un bambino. Ma non significa che non sia moralmente giustificato.
Come può giustificare gli esperimenti sugli embrioni umani e condannare quelli sulle specie animali?
Lo faccio sulla base dell’idea che l’embrione non prova dolore. E’ ovvio, l’embrione non ha sistema nervoso, non soffre per la manipolazione, l’animale sì.
Lei ha parlato di “desantificare” la vita umana. In che senso?
I cristiani hanno stabilito che basta essere un membro della specie homo sapiens per avere rispetto assoluto. Io penso che non sia difendibile come teoria. Dobbiamo ripensare quando accordare protezione alla vita umana.
In Italia c’è stata una grande discussione sulla rianimazione dei bambini prematuri. Il ministro della Salute, Livia Turco, ha detto che è “crudele” rianimarli contro la volontà dei genitori. Lei è d’accordo?
Sono d’accordo con il ministro. Per me deve esserci sempre il consenso dei genitori. I medici non sono liberi di rianimare senza autorizzazione.
Il Premio Nobel Francis Crick disse che non possiamo liquidare l’eugenetica come puro orrore nazista. James Watson la teorizza come strumento di controllo dell’evoluzione umana. Lei cosa pensa dell’eugenetica?
Se per eugenetica intendiamo ciò che fece il nazismo o la sterilizzazione forzata, dobbiamo rigettarla. Se per eugenetica invece intendiamo l’idea che i genitori selezionano le caratteristiche genetiche è un’idea positiva. E’ la diagnosi prenatale. E’ l’idea di riduzione della sofferenza. Molti parlano di ritorno dell’eugenetica, ma nelle società liberali l’eugenetica non sarà coercitivamente imposta dallo stato per il bene collettivo. E’ una scelta dei genitori
Lei quindi è favorevole alla selezione della specie attraverso la scelta eugenetica?
Sì, nel senso che sono per la totale libertà dei genitori di selezionare il proprio patrimonio genetico. Non per il bene della specie, ma a beneficio dei genitori e dei figli. Tutta la tecnologia deve essere al servizio della scelta.
Quando parliamo di vita e morte, perché le categorie del piacere e del dolore sono così importanti?
Ognuno di noi vuole evitare il dolore e ottenere il massimo grado di piacere. Quando vediamo la sofferenza in un bambino o in un animale, vogliamo fermarlo. Io ho sempre seguito questo principio nella mia vita.
Esistono valori morali assoluti?
Sì, ma dipende da cosa significa morale. Per me è sempre ridurre la sofferenza, per questo non sono un relativista.
Cosa prova quando i disabili manifestano contro di lei?
Viviamo in democrazia, ognuno ha diritto alla critica. Ma devono leggere i miei libri. Penso che siano confusi spesso, come sul fatto che non riflettano sulla terminazione di gravidanze con disabilità. Anche a Princeton ci sono dibattiti molto forti, è la natura dell’università.
Perché porre fine alla vita di un bambino handicappato?Perché lo vogliono i genitori o perché è moralmente giusto drenare sofferenze?
Io penso che sia ragionevole non far nascere un simile bambino.
Lei crede nella filantropia?
Sì, è la mia guida nella vita. Come la lotta alla povertà globale.
Sull’eutanasia dei bambini disabili, sulla base di quale fattore ne decidiamo la gravità?
I genitori e i medici insieme decidono, sulla base della prospettiva di vita del bambino, sulla capacità dei genitori di prendersene cura e cosa accadrebbe se avessero un altro bambino e se il primo venisse ucciso.
Lei ha parlato di imminente collasso della santità della vita umana.
Perché ciò che sta accadendo ne dimostra l’inconsistenza ed è sotto i nostri occhi.
E’ a favore della Ru486?
Certamente, è un aborto sicuro e meno doloroso, deve essere permessa ovunque.
In che modo l’evoluzione darwiniana si collega al principio della qualità della vita umana?
L’evoluzione è neutrale, non è morale. Non ci sono valori, è un fatto. La comprensione dell’evoluzione passa dalla natura umana e dalla sua lettura, significa creare una società migliore.
Lei ha scritto che “non possiamo condannare l’eutanasia soltanto perché la praticarono i nazisti”. Conferma quelle parole?
Sì , perché la nuova eutanasia, l’unica degna di chiamarsi tale, è ben differente da quanto fecero i nazisti. Quella di oggi riguarda la libera scelta delle persone.
Lei avrebbe lasciato morire Terri Schiavo?
Sì, il marito aveva diritto a farlo. Era un atto ragionevole perché Terri non provava dolore in quanto non aveva coscienza. Non importa come sia morta. I malati neurovegetativi sono simili agli infanti disabili, non sono esseri coscienti, razionali, autonomi, la loro vita non ha valore intrinseco, il loro viaggio è arrivato alla fine. Sono biologicamente vivi, ma non biograficamente.
*

Le sue teorie furono giudicate a Norimberga

di Wesley J. Smith
Peter Singer non crede nei diritti umani universali. La prova di questo aspetto poco discusso della sua filosofia si trova in un libro del 1994, Rethinking life and death, in cui si rende conto dell’eutanasia per quello che è : omicidio. Singer è candido nel negare l’eguaglianza umana e sostenere quella che lui definisce “etica della qualità della vita”. Nell’etica della qualità della vita, considerarsi un essere umano non è cruciale per i diritti inerenti, dal momento che Singer pensa che non tutte le vite umane abbiano un eguale valore morale inerente. Soltanto le “persone” godono del diritto alla vita.
La maggior parte di noi pensa che “persona” ed “essere umano” siano sinonimi. Non Singer. Egli eleva gli “animali non umani”, come i cani, gli elefanti e i maiali, allo status di persone, sulla base del fatto che sarebbero autocoscienti. Allo stesso tempo, egli sveste alcuni esseri umani della loro personalità, in particolare coloro che hanno disabilità cognitive e tutti i nuovi nati, perché mancherebbero di caratteristiche rilevanti come l’autocoscienza nel tempo e la capacità di ragione. Come applicazione di questa teoria, Singer abbraccia l’infanticidio.
Dal momento che un infante non ha alcun inerente diritto alla vita, un bambino può essere ucciso se i genitori e i medici decidono che questo sia il meglio. Secondo Singer l’assassinio è una risposta accettabile alle difficoltà di avere un bambino con un difetto dalla nascita. Le tesi di Singer hanno un impatto pernicioso. Se un tempo il sostegno per l’uccisione dei bambini con disabilità era un pensiero minoritario, oggi è rispettabile, perfino dominante , dopo che i medici dell’Università di Groningen hanno ammesso nel 2004 di aver praticato eutanasia su bambini profondamente disabili rispettando i termini di ciò che è stato chiamato il Protocollo di Groningen. Il Protocollo consente ai medici di uccidere o lasciar morire tre categorie di bambini malati o disabili : il bambino che non ha possibilità di sopravvivere, un fatto spesso malamente diagnosticato;il bambino che potrebbe sopravvivere dopo un periodo di trattamento intensivo ma la cui aspettativa di vita è molto negativa;il bambino che non dipende dalla tecnologia per la stabilità fisiologica ma la cui sofferenza è grave e non può essere alleviata. Questo significa che non vengono eliminati via iniezione soltanto i bambini morenti, ma anche i bambini handicappati che non hanno bisogno di cure intensive.
Dopo la Seconda guerra mondiale i medici tedeschi furono impiccati per crimini contro l’umanità per aver ucciso bambini disabili. Tuttavia, sotto la leadership di Peter Singer, l’infanticidio è diventato rispettabile. Se questo trend continuerà, dovremo scusarci per aver giustiziato quei medici.
Wesley J. Smith