giovedì 8 maggio 2014

La danza del dono

Henri Matisse, La danza, olio su tela, 260 x 391 cm, Museo Hermitage, San Pietroburgo.
Henri Matisse, La danza

Tuttolibri - La Stampa, 5 maggio 2014
di ENZO BIANCHI

Dire dono significa dare gratuitamente: senza scambio, senza contro-dono, senza creazione del debito, senza reciprocità: non c’è dono autentico senza gratuità. L’essenza del cristianesimo sta nell’annuncio non solo dell’amore che vince la morte, ma di un amore gratuito, chiamato “grazia” nella millenaria tradizione cristiana. La grazia – chen in ebraico, cháris in greco, gratia in latino – è favore, benevolenza, amore che non deve essere meritato: è amore preveniente, gratuitamente riversato da Dio, impensabile come evento umano. 
Sicché, quando si fa evento, fa sì che “dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20), l’amore gratuito, libero, incondizionato, fedele per l’eternità. Questa è buona notizia, vangelo: l’amore di Dio non va meritato, ci precede, ci raggiunge prima che noi possiamo fare qualcosa per meritarlo! Addirittura, Dio ci ama mentre siamo peccatori, simultaneamente al nostro essere suoi nemici, suoi negatori (cf. Rm 5,6-10).L’amore di Dio per l’umanità tutta è amore che non può essere ripagato. Come recita un’antica anafora che in un solo versetto ci dà tutto il movimento originato dalla gratuità: “Ti rendiamo grazie, Signore, noi tuoi servi peccatori ai quali hai concesso la tua grazia che non può essere ripagata” (Anafora di Addai e Mari). 
L’uomo rende grazie, accoglie la grazia e la riconosce, ma questa gratitudine non precede né determina il dono di Dio che è gratuito, appunto, motivato solo dal suo amore per noi esseri umani.C’è un’altra parola di Gesù in proposito: “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi … Come io ho amato voi, così voi dovete amarvi gli uni gli altri” (Gv 15,9.12). Nessuna reciprocità, nessuna simmetria: io dono a te non perché tu ridoni a me, ma affinché tu doni agli altri! È una dinamica senza ritorno, con un ricominciare continuo dell’amore gratuito: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente donate!” (Mt 10,8). 
Certo, per entrare nella logica del dono e della gratuità occorre imparare ad accogliere il dono: se non ci fosse la capacità di ricevere, non ci sarebbe neanche gratitudine, né capacità di riconoscimento dell’altro grazie al quale io mi umanizzo. Ciò che sono, lo devo agli altri: questo riconoscimento è la gratitudine, condizione nella quale si impara ad amare lottando contro tutti gli impulsi distruttivi della paura, della gelosia, del narcisismo, del tornaconto.
 Purtroppo anche il cristianesimo è diventato ed è sovente ancora proposto come una religione in cui si compiono azioni, si dona in cambio di un merito, di un premio, di una remunerazione, ma questa è perversione del “buon annuncio”, dell’”ev-angelo”. La salvezza, o è gratuita oppure non è salvezza cristiana, anzi, non è più salvezza! “Qui salvandos salvas gratis”, come si canta nel Requiem!Per entrare nella “danza del dono” occorre dunque non la risposta del contraccambio quando si riceve, ma il donare a propria volta. Così la gratuità non è spezzata ma potenziata, perché il donatore nel compiere il gesto del dare deve aprirsi alla fiducia, accettare l’incertezza sull’accoglienza del dono, senza pensare al proprio tornaconto. 
Se poi la grazia è causa di gratitudine, del rendere grazie, ciò è stupore, meraviglia, a sua volta veramente “grazia”.Non solo il dono è gratuito, ma anche il donatore è presenza operante gratuita, e questa sua gratuità è correlata alla libertà del destinatario del dono. Non solo il dono di Dio è grazia, ma anche Dio stesso è gratuito, non necessario per l’uomo, che può entrare in relazione con lui nello spazio della libertà, non determinato da alcuna necessità di dover stare davanti a Dio.
Il Dio cristiano non è quello del teismo, necessario garante dell’ordine cosmologico, morale e politico, ma è un Dio che per amore e nella libertà offre la sua alleanza all’uomo, il quale può solo rispondere nella libertà e nell’amore. Questa gratuità di Dio incita gli uomini a vivere la loro esistenza da fratelli, riconoscendosi reciprocamente nient’altro che esseri umani ma capaci di relazione e di amore.

*

Consigli di lettura...dal Salone del Libro

Bose, 8 maggio 2014 I padri della chiesa, L’atto del leggere
A chi deve essere permesso di scrivere libri? A chi è buono o a chi non lo è? Sarebbe ridicolo, dopo aver rifiutato gli scritti delle persone giuste, accogliere quelli prodotti da coloro che tali non sono … perché deve essere impedito a chi annuncia la verità di lasciare qualcosa di utile alla posterità?
    È bello, penso, dare in eredità buoni figli a quelli che vengono dopo: questi infatti sono discendenza di corpi, i libri invece sono prole dell’anima, alla stessa stregua in cui chiamiamo padri coloro che ci hanno insegnato i principi della religione. La sapienza è qualcosa di umano e che si partecipa. Pertanto Salomone dice: “Figlio, se accoglierai le mie parole e serberai in te stesso i miei precetti, il tuo orecchio ascolterà la sapienza” (Pr 2,1-2). Egli indica di serbare la parola che è stata seminata come in terra nell’animo di chi impara e questa è appunto la seminagione spirituale
Clemente di Alessandria, Stromati