mercoledì 7 maggio 2014

Società buona e futuro del lavoro



Il convegno internazionale della Fondazione Centesimus annus pro pontifice. Cosa c’entra la solidarietà con gli affari

(Mario Ponzi)  «Società buona e futuro del lavoro: possono la solidarietà e la fraternità far parte delle decisioni riguardanti il mondo degli affari?». Questo il tema del convegno internazionale della fondazione Centesimus annus pro Pontifice, che avrà luogo dall’8 al 10 maggio in Vaticano. Ne abbiamo parlato con il vice-presidente dell’accademia dei Lincei, Alberto Quadrio Curzio, presidente del comitato scientifico della fondazione, che in questa intervista al nostro giornale anticipa alcune delle riflessioni che proporrà durante la conferenza.
Pensare che solidarietà e fraternità possano essere prese in considerazione nel mondo degli affari può sembrare un’utopia. Si può dimostrare il contrario?
Sì. E cercheremo di farlo innanzitutto focalizzando l’attenzione su un ordine di principi che pone alla base il riferimento costante al perseguimento del bene comune.
Esso non coincide con il benessere e l’opulenza materializzati, quanto piuttosto con la valorizzazione delle persone e delle comunità, della libertà e della responsabilità, dell’equità e dell’efficienza. In sostanza il bene comune cerca l’armonia costruttiva tra le parti, perseguita con gradualità ma anche con continuità. La dottrina sociale della Chiesa offre questi principi per costruire una società migliore. Da parte sua la fondazione ha sempre incentrato la sua visione di bene comune su tre punti di riferimento: sussidiarietà, solidarietà e sviluppo.
Come declinare questi tre principi?
La sussidiarietà è un grande principio di libertà e responsabilità, che in verticale distribuisce il potere istituzionale “sovrano” tra i diversi livelli di governo e in orizzontale distribuisce la funzione nella “produzione dei beni” tra istituzioni, società ed economia. In termini più specifici, la sussidiarietà si colloca in un disegno che si propone di risvegliare e mettere in moto la creatività delle persone, stimolando la partecipazione dei corpi sociali intermedi, coinvolgendo le comunità nella produzione di beni e servizi e riuscendo a costruire e ad aggregare. La solidarietà è il perseguimento del bene comune. Ciò deve avvenire sempre più in forma dinamica e creativa, non meramente o prevalentemente redistributiva, che spesso declina nell’assistenzialismo. L’intrapresa e l’impresa sono fondamenti irrinunciabili delle solidarietà. Ciò è quanto chiede anche la solidarietà intergenerazionale, troppo spesso sottovalutata. Lo sviluppo, che è ben più importante della crescita, combina sussidiarietà e solidarietà per la promozione delle persone e delle comunità, al fine di portare a un vero incivilimento e oltre, a livelli più alti, verso un umanesimo integrale che riguarda tutti.
In questo momento di crisi quale potrebbe essere il ruolo dei cristiani?
Uno scenario socio-economico mondiale come quello dell’epoca che viviamo — derivato anche dal cambiamento intervenuto nel corso degli ultimi decenni nelle relazioni tra i Paesi a diversi gradi di sviluppo, al quale poi, negli ultimi sei anni, si è aggiunta una grave crisi che ha colpito soprattutto i Paesi sviluppati — costituisce certamente per i cristiani la richiesta forte di un rinnovato impegno per il bene comune. La richiesta muove proprio dalla visione della dottrina sociale della Chiesa che, a cominciare dall’enciclicaCentesimus annus di Giovanni Paolo II, ha segnalato che i problemi socio-economici mondiali all’apertura del ventunesimo secolo non erano risolti dalla prospettiva della globalizzazione e che i divari nei gradi di sviluppo e la scarsa consapevolezza di un’etica cristiana, umana e civile dello sviluppo prefigurava nuovi rischi. LaCentesimus annus è stata il raccordo tra il ventesimo secolo che finiva e il ventunesimo che si apriva.
Tutto ciò tradotto in azione?
Si tratta di ripartire da un profondo ripensamento dei rapporti economici internazionali e dalla riscoperta della solidarietà dinamica che, oltre alla distribuzione delle risorse esistenti, si preoccupa anche della produzione e riguarda i rapporti nord-sud ed est-ovest. Questa solidarietà si esplica attraverso le varie componenti dello sviluppo: lo sviluppo economico promosso dalle istituzioni, dalla società e dalle imprese, costituite da imprenditori e lavoratori; lo sviluppo intergenerazionale, che si basa su sistemi previdenziali sostenibili e che porta alla valorizzazione della famiglia; lo sviluppo sociale, che promuove la coesione della società e dei territori.
In poche parole, cosa serve oggi per ridare una prospettiva di speranza all’umanità?
Urge una maggiore visione di lungo periodo che prescinda da egoismi particolaristici e sia invece capace di costruire una politica del bene comune. Sotto questo profilo il riferimento alla dottrina sociale della Chiesa è e resta essenziale.
L'Osservatore Romano