venerdì 9 maggio 2014

Un nuovo linguaggio per i figli dell’islam



Dal gran mufti di Turchia. 

Il concetto di tolleranza deve trovare più spazio nell’educazione dei giovani musulmani anche per evitare che il mero rispetto dell’esteriorità dei costumi prevalga sull’interiorità delle persone. È quanto, nella sostanza, ha detto il gran mufti turco Mehmet Görmez, massima autorità religiosa sunnita nel Paese, che ha raccomandato ai genitori di adottare con i giovani un «nuovo linguaggio». Uno stile educativo, insomma, più tollerante soprattutto nei riguardi delle mode giovanili — tatuaggi, orecchini, vestiti, barba o taglio dei capelli — cercando così di non interferire nelle scelte «private».

Con un intervento, ripreso dalla stampa nazionale, a un Forum sulla gioventù, Görmez, capo della Diyanet, la Direzione affari religiosi dello Stato turco, ha spiegato che i giovani oggi «non vogliono più sentire solo consigli, preferiscono esprimersi attraverso un vero dialogo». I movimenti della gioventù nei Paesi arabi e in Turchia hanno provocato negli ultimi anni una «metamorfosi sul piano dell’appartenenza» nel mondo islamico. Così, «da un’idea di appartenenza alla comunità musulmana andiamo verso un posizionamento da musulmano individualista, che si definisce innanzitutto come libero: dobbiamo riflettere sulle circostanze di questa evoluzione, sulle sue conseguenze faste e nefaste», ha affermato.
Secondo il gran mufti, «il giovane di oggi dà grande importanza alla sua vita privata. Respinge ogni intervento nella sua vita privata, sul taglio di capelli, sulla barba, l’orecchino, il tatuaggio». Tuttavia, «credo che non ci si debba immischiare in queste cose», ha aggiunto precisando che «non bisogna intervenire troppo sulle “zone grigie”, fra ciò che è lecito (helal) e illecito (haram). Ciò che appartiene alla libertà individuale non deve essere stretto nella cornice della religione. Invece di interferire nel modo di vestirsi o negli accessori, bisogna cercare di toccare il cuore».
Una posizione tollerante, insomma, che apparentemente sembra distante anche dalla linea impressa dal premier turco Recep Tayyip Erdoğan, che, soprattutto secondo quanto sostengono le forze di opposizione, spingerebbe per una più rigida osservanza dei dettami islamici sul consumo di alcol, sui dormitori misti nelle università, o sui programmi televisivi. Tuttavia, oltre al clamore di alcune iniziative — come l’annunciata intenzione di pregare insieme ad altri leader del mondo islamico a Santa Sofia prima delle presidenziali del 10 agosto prossimo — il premier Erdoğan ha da tempo anche avanzato la proposta di rivedere in modo più restrittivo la legge sull’interruzione di gravidanza, da lui definita come un «omicidio». In Turchia, infatti, secondo i dati comunicati recentemente al Parlamento dal ministro della Sanità, Mehmet Muezzinoglu, è stato registrato negli ultimi dieci anni un vero boom degli aborti, passati dai 33.000 del 2002 ai 79.000 del 2012. Dal 1983, in Turchia, l’aborto è consentito entro le prime dieci settimane. La proposta avanzata da tempo dal partito islamico Akp è quella di abbassare tale soglia alle sei settimane di gravidanza.
L'Osservatore Romano