martedì 28 aprile 2015

Caro Papa, sei il portinaio della cantina di Dio


Il 29 aprile 1380 moriva Caterina da Siena. 

(Catherine Aubin) Prima di tutto, Caterina è una bambina, la figlia del re eterno la cui bellezza è tutta interiore. Nasce a Siena il 25 marzo 1347, l’ultima dei ventiquattro figli di un tintore. Già all’età di sei anni, mentre si trova nella chiesa dei domenicani, è interpellata dalla visione di Cristo in gloria che porta la tiara e gli abiti pontifici, con accanto Pietro e Giovanni. Il Cristo benedice Caterina e gli sorride. Di questo episodio conserva il desiderio di appartenergli e di consacrarsi a lui. Adolescente, rifiuta di sposarsi nonostante le ripetute pressioni dei genitori.
Questi le impediscono di occupare la camera dove era solita ritirarsi per pregare nel silenzio e nella solitudine. Sottomessa a lavori duri e a umiliazioni, scopre la cella interiore, quello spazio che nessuno può prenderle perché è la vita in presenza di Dio.

A sedici anni, Caterina è ammessa fra le mantellate; la maggior parte sono vedove che vivono ognuna a casa propria pur portando l’abito di san Domenico. Caterina prega di notte e riceve interiormente l’insegnamento del Signore. Un giorno, nell’anno 1364, il Signore gli rivela la sua identità. Raimondo di Capua — che diventerà il suo confessore e biografo — racconta: «Quando il Signore Gesù Cristo cominciò ad apparirle, una volta, mentre pregava, le comparve davanti e le disse: “Sai, figliola, chi sei tu e chi sono io? Se saprai queste due cose, sarai beata. Tu sei quella che non è; io invece, Colui che sono”».
A vent’anni, il 2 marzo 1367, Gesù viene a sposarla nella fede. Ascolta il Signore che le dice: «Ecco: io ti sposo a me nella fede; a me tuo Creatore e Salvatore. Conserverai illibata questa fede fino a che non verrai in cielo a celebrare con me le nozze eterne». Da quel momento, la vita di Caterina è trasformata. Esce dalla solitudine e si mette a servire i poveri e gli ammalati. Nel 1375 riceve le stigmate. Tutta la sua dottrina spirituale è centrata sul Cristo e il Cristo crocifisso (cfr. 1 Corinzi, 2, 2), capendo a che punto lo Sposo follemente innamorato della sua creatura vuole unirsi all’umanità della sua Sposa. Nel 1376 incontra Gregorio XI che si trova in Avignone per convincerlo a ritornare a Roma, come infatti fece. Sarà ancora lei a sostenere dopo il suo successore Urbano VI contro l’antipapa agli inizi del grande scisma d’Occidente. Caterina muore il 29 aprile 1380 a Roma in mezzo a una comunità fervente di discepoli.
Il luogo della compassione nella rivelazione che Gesù fa a Caterina è il costato aperto. Prima di tutto, riceve da Cristo la comprensione interiore di ciò che fu la causa della sua passione. Sulla Croce, il Cristo soffre con ogni uomo e per ogni uomo. Caterina insiste molto sul fatto che la vera passione di Cristo è la passione del desiderio. Le sue sofferenze non sono nulla in paragone del desiderio che lui ha di salvare tutti gli uomini e della resistenza che incontra nella contraddizione dei nostri cuori. Come Gesù farà entrare Caterina nella comprensione del suo desiderio infinito? Un giorno gli chiede: «Dolce e immacolato Agnello, tu eri morto quando il costato ti fu aperto: (Giovanni, 19, 34) perché volesti essere percosso e spartito il cuore?» (Dialogo, 75).
In effetti, l’apertura del costato ha una causa esterna, il colpo di lancia del soldato, ma ha una causa interiore molto più profonda: l’amore contenuto nel cuore di Cristo. Nel testo di Giovanni, questa è l’ultima ferita inflitta al suo corpo, è la più profonda, quella che lo trafigge, mentre egli è già morto. La ferita del costato rimane aperta per sempre. È aperta all’infinito. Cristo mostra così che il segreto del suo cuore è l’amore infinito di Gesù in quanto amore del Figlio di Dio per l’uomo peccatore. Questo segno è come un richiamo a un atto di fede nel mistero infinito e invisibile della misericordia divina. Il Figlio rende visibile l’amore infinito del Padre per gli uomini.
Il costato aperto è luogo di salvezza, luogo del battesimo nel sangue di Gesù e l’Acqua viva dello Spirito. Ed è in questo costato, che Caterina chiama spesso «caverna», che l’umanità peccatrice può conoscere il segreto del suo cuore che è l’amore, la carità. Invitando allora a rifugiarsi in questa caverna che è asilo rassicurante. Da questa ferita nasce la sposa di Cristo, la Chiesa, generata dal sangue redentore e dall’acqua viva dello Spirito. La Chiesa sposa dimora corporalmente in Gesù nel suo costato aperto. Caterina è affascinata dal costato aperto di Cristo che esprime simbolicamente tutto il mistero di Gesù sposo nella sua unione con la Sposa.
Per Caterina, tutta la rivelazione cristiana è contenuta nel simbolo del sangue: il sangue dell’Alleanza, il sangue dell’Agnello, il sangue del sacrificio, la Chiesa redenta dal sangue di Cristo, il sangue che opera la riconciliazione e la pace nel mondo. Il sangue è la vita, è semplicemente l’uomo. Dunque, il sangue di Cristo è la sua umanità. Ma Caterina parla anche del «sangue del Figlio di Dio», affermando così che il sangue ha un valore infinito quando è offerto per la nostra salvezza.
Per Caterina, il sangue di Cristo è il segno, anzi, si potrebbe dire il sacramento della carità di Dio. A questa carità si può rispondere solo sprofondandovi per essere in essa purificato e entrare così nell’umiltà. Spinta dal suo desiderio di vedere gli uomini liberati dal peccato, invita Raimondo di Capua a rifugiarsi nel costato aperto di Cristo. Perché è nel costato aperto di Cristo, ossia dello sposo, che la Chiesa rinasce dal sangue versato.
A proposito di questo luogo che è il costato aperto da cui sgorga il Sangue, Caterina racconta un episodio tragico: come si è trovata ad accompagnare fino all’ultimo un giovane condannato e morte e decapitato, un certo Nicola de Tuldo. In questa esperienza Caterina esercita la sua compassione insieme materna e sponsale. Per il sangue del suo sposo, Caterina genera colui che era perso, Nicola di Tuldo, alla vita eterna. L’abbondanza del Sangue che inebria Caterina testimonia anche la sproporzione che c’è fra l’essere stesso di Dio, le sue risorse d’amore e la condizione della creatura, la capacità che ha di ricevere la grazia.
Per circa dodici anni si dedica a un’azione nella Chiesa e nella società del suo tempo che non ha precedenti nella storia. Donna politica, vuole ridurre la violenza che vige nella vita e nelle relazioni delle città italiane. Lavora in modo duraturo alla riconciliazione di Firenze con gli Stati pontifici. Consiglia a Carlo V, re di Francia, di fare la pace con gli inglesi che stanno invadendo il territorio nazionale. Ma soprattutto, lotta per la riforma della Chiesa «sfigurata o lebbrosa», riforma che produrrà e garantirà la pace fra le città.
L’interiorizzazione amorevole che è la sete di salvezza per tutti gli uomini è in lei spirito di comunione al più alto grado. Essa è animata dalla passione del desiderio e questa la proietta sulle strade che conducono verso l’altro. Questo desiderio porta Caterina in mezzo al mondo dove si batte contro il male che non smette di denunciare. Si ritrova sempre in mezzo al fuoco delle divisioni, delle guerre interne e esterne, politiche, sociali ed ecclesiali. Va dritto al centro del male, lo prende su di sé, lo spreme nel suo desiderio, anzi lo spreme nel desiderio di Dio di cui lei si lascia abitare e si lascia rinnovare a secondo delle circostanze della vita.
Un motivo importante torna negli scritti di Caterina, quello dell’opera di salvezza come passaggio dalla «grande guerra» alla «grande pace». Nell’orazione invoca Gesù Cristo, «nostro riconciliatore», come colui che si è fatto nostro mediatore, lui che della grande guerra in cui si trovava l’essere umano rispetto a Dio, ha fatto la grande pace, prendendo su di sé il male dell’uomo fino nel suo corpo sulla croce e dando la sua vita in cambio della morte. La grande guerra per Caterina è prima di tutto quella che oppone l’essere umano con Dio nello stato di peccato. La grande pace è quella del sì di Dio alla liberazione dell’essere umano da questo stato di peccatore affinché abbia la vita che è verità e amore per sempre.
Le situazioni di guerra fra gli esseri umani derivano, secondo Caterina, da questa guerra fondamentale. Come risulta chiaramente dalle lettere che scrive a Gregorio XI in vista della riconciliazione che potrebbe portare la pace sia nella Chiesa sia nella società. Lungo tutta la lettera 209, Caterina cerca di allontanare il Papa dalla guerra e portarlo alla pace. «Santissimo e reverendissimo padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna figliuola Caterina, scrive a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi giunto alla pace, pacificato voi e’ figliuogli con voi; la quale pace Dio vi richiede».
La causa della guerra è l’attaccamento al potere e ai beni temporali; i suoi effetti sono la perdita delle anime e ogni sorta di oltraggi a Dio. Il bene più prezioso della Chiesa sono i beni del sangue dell’agnello per la vita delle sue pecore. Il tesoro della Chiesa è il sangue di Cristo, dato in prezzo per l’anima. Le armi della dolcezza, dell’amore e della pace sono più efficaci della guerra: «Voi gli batterete più col bastone de la benignità, dell’amore e pace, che col bastone della guerra; e verràvi riavuto il vostro spiritualmente e temporalmente. Bisogna riconquistare con la pace piuttosto che con la guerra, non c’è altro rimedio: non pare che Dio manifesti altro remedio, né io veggo altro in lui, che quello della pace. Pace, pace, per l’amore di Cristo crocifisso!».
Nella lettera 270 si rivolge al Papa come «portinaio della cantina di Dio», cioè custode del Sangue del Figlio unico: «Portonaio sete del cellaio di Dio, cioè del sangue dell’unigenito suo Figliuolo, la cui vece rapresentate in terra (...) Questo Verbo dolce ci reca a noi la pace, però che fu nostro tramezzatore tra Dio e noi».
Non c’è altro mezzo per ottenere la pace. Il Papa lavori dunque in questo spirito alla pace tramite la bontà, la pazienza, la compassione piuttosto che lasciarsi fermare dagli affronti e i rimproveri. Che acconsenta alla pace così come è possibile ottenerla, nel rispetto della santa Chiesa: «Pace pace per l’amore di Cristo crocifisso, e non più guerra, ché altro rimedio non ci à».
Caterina riformatrice non ha nessun progetto di insegnamento o di organizzazione religiosa. La sua unica via è la santità. Il suo slancio di amore per la pace, lo attinge nella contemplazione del cuore aperto e si consuma nell’offerta della sua vita per la Chiesa. L’unica efficacia per la salvezza degli uomini e per la santificazione della Chiesa è entrare personalmente nel mistero dell’Amore redentore. Il misticismo di Caterina è un misticismo ecclesiale, è un misticismo di servizio. La sua passione per Cristo la sollecita a servire il Corpo di Cristo, la Chiesa qui e adesso nel mondo, in tutti i modi possibili. «Non faceva che pregare il Signore di restituire la pace alla Chiesa». La sua angoscia di desiderio proviene dalla sua coscienza che tutti i suoi sforzi sono inevitabilmente limitati.
Il testamento spirituale di Caterina è contenuto nelle ultime lettere a Raimondo di Capua durante l’inverno 1380. Raccoglie in breve e porta a termine il suo atto di offerta alla Chiesa: «O Dio eterno! Ricevete il sacrificio della mia vita nel corpo mistico della santa Chiesa. Non ho da darvi che ciò he voi stessi mi avete dato; prendete il mio cuore e pressatelo sul volto della Sposa». L’atto di offerta per la Chiesa è insieme il compimento della vita di Caterina e l’apice del suo messaggio spirituale. Non può fare niente per la Chiesa, ma sente la chiamata di Dio a dare se stessa per la Chiesa, come Gesù che ridonava al Padre tutto ciò che aveva ricevuto da lui.
Ecco qui tutto il programma di santa Caterina per la Chiesa e per il mondo: la santità. La santità parte da un centro e da una sorgente, il costato sempre aperto di Cristo, suo sposo. Da questo cuore sgorga sangue, fonte della nascita e della rinascita continua della sposa, la Chiesa. In questa contemplazione viva sgorga la sua passione per la pace nella Chiesa e nel mondo, mentre ascolta il Signore che dice: «Fatti capacità, io mi farò torrente».
L'Osservatore Romano