mercoledì 29 aprile 2015

Giovedì della IV settimana del Tempo di Pasqua



La Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani,
non è costituita per cercare la gloria terrena,
bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione.

Concilio Vaticano II, Lumen gentium

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Dal Vangelo secondo Giovanni 13,16-20.

In verità, in verità vi dico: un servo non e' piu' grande del suo padrone, ne' un apostolo e' più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perche', quando sara' avvenuto, crediate che Io Sono. In verita', in verita' vi dico: Chi accoglie colui che io mandero', accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».
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Possiamo essere "beati", e non è così difficile. Basta "sapere" di essere "servi". Ma purtroppo, essere servi è proprio quello che non ci piace... E per questo non siamo "beati", cioè felici in pienezza. "Servire" nel posto di lavoro? Al contrario, in nome della giustizia non muoviamo un dito per fare qualcosa che non ci compete. "Servire" in famiglia? Ma se la donna tutto deve fare meno che "servire". E potremo continuare, a cominciare dai figli, che prova a dirgli di mettersi a servizio dei fratelli... Siamo contagiati dall'orgoglio di Lucifero, e risuona in noi lo stesso "non serviam", non serviamo degli angeli decaduti perché volevano essere "più grandi del loro Padrone" e Creatore. Ma oggi il Signore ci annuncia che è preparata per noi la prima e fondamentale "beatitudine": “Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato” (Sal 32,31). Nella Chiesa possiamo sperimentarla, attraverso la confessione e gli altri sacramenti, nella predicazione e nella comunità che mai ci rifiuta. Nella misericordia possiamo "conoscere" il Signore, e il Padre in Lui. "Conoscere", ovvero essere ricreati in Cristo, che con la sua vittoria sulla morte ci dona l'identità perduta con il peccato. La stessa sua identità, l'immagine e la somiglianza con il Padre, quella del "servo" che offre la sua vita gratuitamente. Coraggio allora, gettiamoci con fiducia tra le braccia crocifisse del Signore. Coraggio, Lui si è legato a noi indissolubilmente, e la nostra vita acquista senso e pienezza solo nel lasciar trasparire dai nostri sguardi, dalle parole, dai gesti, dalla vita, la sua presenza. Frasi del tipo "ho bisogno di tempo per me stesso", "devo cercare la mia identità", stonano con la vita rinnovata di chi ha "accolto" Gesù. Sarebbe assurdo e innaturale voler vivere un'altra vita. "Saremo beati" se, "capendo", cioè sperimentando nel nostro intimo di essere la carne di Cristo che cammina nella storia, "metteremo in pratica", "faremo" secondo l'originale greco, quello che la natura divina di cui diveniamo partecipi desidera compiere in noi. Gesù "conosce quelli che ha scelto", ogni nostra debolezza e contraddizione, e ci attira a sé costituendoci "altri se stesso" per gli uomini che incontreranno. Allora, la nostra "beatitudine" è accogliere oggi la sua Parola che ci "fa", ci crea, suoi apostoli. E "sapere" che essa coincide con la salvezza offerta al nostro prossimo. Per questo ogni incontro, ogni parola detta, ogni gesto che scaturisce dall'intimità con Gesù è una scintilla dello Spirito Santo capace di salvare una vita; tu ed io nel mondo perché ogni persona che incontreremo abbia in noi l'occasione di "accogliere Cristo", e, con Lui, il Padre. Ma, come in Gesù, anche in noi "si deve adempiere la Scrittura" che ci profetizza il tradimento: "Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno". Anche oggi, qualcuno si "leverà contro di noi"! Non stupirti, come Giuda ha fatto con Gesù, qualcuno ci venderà, tradirà la fiducia, l'amore, traviserà i "segni" del "discepolo mandato" dal Signore. E sarà proprio l'amico, lui per primo. Giuda si incarnerà in chi "mangia con noi”. E' un mistero che spacca il cuore. Ma "si deve adempiere" nella nostra vita, altrimenti non si aprirebbe un cammino di salvezza per chi ci rifiuterà. Deve arrivare l'umiliazione, altrimenti non potremmo "sapere" nella nostra carne che Gesù è "Io sono", l'Onnipotente che entra nella morte e vi esce vittorioso. Ma coraggio, perché ce lo "dice fin d'ora, prima che avvenga", per farci partecipi del suo discernimento che guarda a ogni evento con gli occhi dell'amore. "Un discepolo non è più del Maestro" crocifisso, e "un apostolo non è più grande di Colui che lo ha inviato", umiliato e tradito. "Servi" di tutti, è questo il nostro "brand" inconfondibile. Lo è in quanto genitori, presbiteri, vescovi, perché lo è in quanto siamo cristiani. Chi ci è accanto ha bisogno della prova che siamo "mandati" da Cristo, ha diritto a vederci crocifissi. Come è accaduto, e accade ogni giorno per noi, che contempliamo nella nostra vita l'amore infinito di Cristo che ci accoglie e perdona i mille tradimenti con cui diciamo di non conoscerlo.