La gender theory rientra nella scuola con il cavallo di Troia delle direttive anti-bullismo
Ve li ricordate i libretti “Educare alla diversità”? Servivano per indottrinare, tra i banchi di scuola, bambini e ragazzi al credo gender. Pensati dall’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali (Unar) vennero ritirati dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (Miur) per il polverone mediatico che sollevarono.
Ora, se una prima volta un truffatore ha tentato di gabbarti, ma tu lo hai scoperto perché, ad esempio, vestiva trasandato, stai pure sicuro che se è furbo si ripresenterà a te sotto altre spoglie. Magari in giacca e cravatta, sbarbato e con dei baffi posticci per non farsi riconoscere. Insomma più presentabile di prima.
Questo è quello che sta cercando di fare il Miur a spese degli studenti delle scuole di ogni ordine e grado. Il Ddl Fedeli dal titolo “Introduzione dell'educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università” è già vigente.
Vi sono due operazioni fresche fresche messe in campo dal Ministero per far salire in cattedra la teoria del gender. La prima si chiama “Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo” dell’aprile del 2015 che reca il marchio Miur. Si tratta in buona sostanza di alcune iniziative per prevenire e combattere il bullismo a scuola e in rete: numeri verdi per segnalare atti di bullismo, così come chat, sms, skype etc. Oltre a questo ci sono anche corsi di formazione per docenti. Per il Miur il bullo di oggi non se la prende più solo con il secchione, il ragazzino sovrappeso e quello troppo gracilino e pure bruttarello. La nuova vittima è l’adolescente omosessuale e transessuale. In queste linee si dice infatti che gli atti di bullismo prendono di mira anche chi è differente per “genere, identità di genere, per orientamento sessuale. […] Il considerare, per esempio, ‘diverso’ un compagno di classe perché ha un orientamento sessuale o un’identità di genere reale o percepita differente dalla propria poggia le sue basi sulla disinformazione e su pregiudizi molto diffusi”.
Fermiamoci un attimo a riflettere. Bene che si fermi la mano del violento contro il ragazzino omosessuale; bene che si riconosca pari dignità a tutte le persone; male che si consideri l’omosessualità e la transessualità come orientamenti naturali. Siamo al solito giochetto: il rifiuto della violenza non deve portare all’accettazione dell’omosessualità. Insomma si usa il bullismo come cavallo di troia per innaffiare i giovani virgulti con l’acqua che scende dal monte gender. Annotiamo a margine, ma non troppo, che i genitori non sono stati avvisati dell’attivazione di queste linee di orientamento gay friendly.
Passiamo alla seconda iniziativa ancor più capillare ed efficace. Per parlare di questa seconda iniziativa dobbiamo tirare in ballo la Soroptimist. Si tratta di un organizzazione internazionale tutta al femminile, legata ai Lions Club, presente anche in Italia con 145 club. E’ rappresentata all’Onu e al Consiglio d’Europa. Scopo di questa organizzazione è promuovere la condizione femminile nel mondo. Nell’aprile del 2014 questi signori, anzi, queste signore firmano un protocollo con il Miur dal titolo “Promuovere l’avanzamento della condizione femminile e prevenire e contrastare la violenza la discriminazione di genere mediante un corretto percorso formativo in ambito scolastico”. Il protocollo entra d’imperio nel Piano di offerta formativa, cioè quel piano che detta legge nella formazione ed educazione dei nostri figli a scuola. Viene anche istituito un Comitato attuativo paritetico – Miur/Soroptimist – perché gli intenti comuni non restino sulla carta.
A fine novembre dell’anno scorso il protocollo partorisce un progetto pilota rivolto ai docenti, ma non ai genitori, dal nome "Prevenzione della violenza contro le donne: percorsi di formazione-educazione al rispetto delle differenze". Si tratta di dieci moduli formativi da svolgersi in venti province ed altrettanti incontri. La finalità è la seguente: “favorire la consapevolezza del ruolo docente nella formazione dell’identità di genere delle giovani generazioni allo scopo di rendere più agevole il loro percorso verso la costruzione di identità libere e consapevoli”. I titoli dei moduli sono assolutamente in linea con tali scopi. Ne citiamo qui solo alcuni: “Costruire l'identità di genere a scuola”; “Pedagogia e orientamento di genere”; “Lingua, linguaggi e genere”; “Percorsi di genere nei territori”.
E’ proprio il caso di domandarsi: che genere di incontri saranno questi? Facendo un’operazione di carotaggio andiamo a vedere cosa hanno detto le emissarie del Miur/Soroptimist in uno di questi incontri, precisamente in quello che si è svolto lo scorso 23 aprile presso l’ICT Schiapparelli. Presenti tra le altre anche una nostra recente conoscenza: la dott.ssa Irene Biemmi, ricercatrice presso l’Università di Firenze. Secondo la dottoressa gli stereotipi di genere continuano a permeare i libri di testo. Cosa vuol dire? Vuol dire ad esempio che in questi libri scolastici e per l’infanzia le donne fanno solo certi lavori e gli uomini solo certi altri. Vuol dire che alcuni aggettivi li troviamo più spesso riferiti solo ai maschi - sicuro, coraggioso, serio, onesto, ambizioso, minaccioso, pensieroso, bruto, fiero, egoista, saggio, deciso, audace, libero, impudente – ed altri aggettivi attribuiti solo alle femmine - antipatica, pettegola, smorfiosa, vanitosa, civetta, altezzosa, affettuosa, angosciata, premurosa, paziente, buona, vergognosa, docile, deliziosa, disperata, ipersensibile, dolce, innocente. Inoltre vuol dire che le femminucce vengono descritte più pacate e contemplative, mentre i maschietti più attivi e votati all’azione. Forse perché, chiediamo noi, le cose stanno proprio così?
Per niente, protesta la Biemmi e afferma che credere che vi siano tratti psicologici, caratteriali, di temperamento e capacità peculiari dell’uomo e della donna è un errore. In realtà sono tutti condizionamenti ambientali e culturali. La Biemmi aggiunge che occorre offrire a bambini e bambine un catalogo aperto di identità di genere, ignorando il sesso di riferimento, come fa il genero con la suocera petulante. Per questo bisogna tirare fuori dal cassetto il progetto Polite. Trattasi di un codice di autoregolamentazione, siglato tra gli altri anche dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento Pari opportunità e dall’Associazione italiana editori, per la promozione e adozione tra gli editori di libri di testo per l’educazione alle pari opportunità.
L’operazione messa in campo dal Miur e dalla Soroptimist è la seguente: con la scusa di difendere la donna da ingiuste discriminazioni – fine sacrosanto – anche in questo caso si vuole diffondere il dogma del gender. Queste sono le tappe ben individuabili nei documenti e negli incontri citati. Tu donna non devi fare solo la donna, ma anche il maschio o chi vuoi tu. L’identità di genere è un vestito in 100% elastane. Assume le forme che desideri, si adatta alla perfezione all’idea sessuale che hai in testa per te. Ergo il dato di natura non esiste, è uno stereotipo, una costruzione artificiosa ideata per mettere all’angolo la donna. Un vecchio retaggio di un machismo che fu. La differenza sessuale è una gabbia perché significa incasellare la donna, ma anche l’uomo, in parti già assegnate da un perfido regista, forse chiamato Dio. Invece i ruoli sono e debbono essere fluidi e ce li possiamo inventare di sana pianta. Ne consegue che non c’è più maschio, né femmina, non ci sono più pareti divisorie, ma è tutto è un grande open space della pan-identità di genere. Ecco, questa è proprio la teoria del gender.
In breve, la lotta al bullismo e alla discriminazione contro le donne è solo un espediente per diseducare le verdissime generazione alla gender theory. E così un giorno accadrà che il piccolo Marco sarà punito dalla sua maestra perché avrà osato mettersi il grembiulino azzurro per andare a scuola. E la punizione consisterà nello scrivere alla lavagna cento volte: “Io non sono un maschio”.
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Il gioco gender contrario all'islam I multiculturalisti vanno in tilt
E a Trieste alla fine è entrato in campo anche l’islam. Con un articolo pubblicato su www.civiltaislamica.it , l’autore Abu Ismail Morselli si colloca dalla parte di Amedeo Rossetti, il genitore che per primo si è opposto alla somministrazione del Gioco del Rispetto nelle scuole materne comunali di Trieste.
Nell’articolo intitolato Contro il Gioco del Rispetto. Una iniziativa importante, l’islam triestino dà il suo pieno appoggio all’opposizione contro questa manovra educativa. Certamente il Comune ne risentirà, perché finché sono i cattolici ad opporsi a certe cose si può anche soprassedere, anzi può diventare un titolo di merito, ma quando ci si mettono gli islamici le cose si fanno più difficili. Anche perché si sgonfia l’idea di una Giunta comunale che promuove il dialogo interculturale, che nasce e si fortifica invece non grazie ma contro il Comune.
Da quando il Rossetti prese carta e penna per fare una cosa semplice come chiedere di essere informato da parte della scuola su progetti poco chiari, le cose si sono molto evolute. Il settimanale diocesanoVita Nuova ha promosso una analisi scientifica del Gioco del Rispetto, che ha riguardato anche le immagini contenute in uno dei suoi moduli – il Memory - immagini molto tendenziose e surrettiziamente ispirate all’ideologia gender.
Anche il dibattito tra i genitori si è molto sviluppato e una scuola materna comunale ha deciso di uscire dal Gioco del Rispetto, rinunciando alla sua applicazione. Un segnale importante perché tra i genitori l’esempio conta molto. Essi si sentono spesso soli e hanno bisogno di trovare fiducia in se stessi e di essere supportati. E’ per questo che stamattina si tiene in un locale triestino la conferenza stampa di presentazione del Comitato Genitori Trieste. I fondatori sono quattro genitori, tra cui anche un’insegnante, a cui in futuro potranno aggregarsi quanti vorranno dare una mano. Scopo del Comitato – come si legge dallo statuto – è di promuovere una cultura dell’educazione che rafforzi il protagonismo dei genitori. Naturalmente del Comitato fa parte anche Amedeo Rossetti. Da quanto ci risulta, la notizia ha già destato l’interesse di molti ed anche dalle città vicine sono arrivati segnali di interesse per la nuova iniziativa.
Il settimanale diocesano Vita Nuova aveva pubblicato un editoriale dal titolo E’ l’ora dei genitori. Le vicende triestine testimoniano che è proprio così. Sono bastati pochi genitori attenti e consapevoli per sollevare un caso nazionale e gettare l’amministrazione comunale nella confusione. Confusione che si può sperimentare anche in questi giorni. Il Comune ha distribuito ai genitori della scuola dell’infanzia I Cuccioli un modulo per l’adesione al Gioco del Rispetto. Ebbene, il modulo prevede solo la possibilità di dire di SI, manca l’opzione per il NO; nel modulo non si fa menzione di attività alternative, mentre la Vicesindaco Fabiana Martini aveva solennemente parlato di «organizzazione delle attività alternative per i bambini le cui famiglie si dichiareranno contrarie alla partecipazione dei loro figli a quest’attività»; infine il modulo non dà alcuna informazione sul Gioco ma ribalta l’obbligo di informazione sulle famiglie. Un modulo maldestro, secondo alcuni, volutamente manipolatorio per altri. I genitori, si sa, davanti ad un modulo della scuola tendono a compilarlo e a consegnarlo. Per dire di NO al progetto dovrebbero trattenerlo e non consegnarlo. La cosa appare poco rispettosa della libertà di ognuno di poter scegliere in modo fondato.
Il “caso” Trieste continua, quindi, e quando le cose si mettono in moto per una causa buona è difficile fermarle.