Cecoslovacchia 1990, libertà e sacrificio. Il mistero di P. Tomas Tyn
Quello della Cecoslovacchia fu uno dei regimi comunisti più duri contro il Vaticano e contro il cattolicesimo. Non sopportava i vescovi nominati da Roma e per questo pagava una associazione di preti e religiosi, denominata Pacem in terris, che erano fedeli al regime marxista. Solo da questa associazione era possibile attingere per nominare i capi delle diocesi, e solo a loro era permesso pubblicare e parlare. In cambio, nei loro scritti e nei loro convegni, questi preti strizzavano l’occhio al regime.
Il vecchio cardinale Tomasek, invece, aveva resistito e così dentro la chiesa cecoslovacca si era venuta a creare una profonda spaccatura: molti pagarono con il martirio, altri con una vita durissima, clandestina, tutti, fedeli compresi, vissero un inverno lungo quarant’anni. Poi fu il 1989. Sul finire di quell’anno la Cecoslovacchia uscì dal tunnel marxista, in una generale implosione dei regimi comunisti est europei.
Il primo di quei paesi ad accogliere il papa, Polonia a parte, fu proprio la terra di San Metodio, l’apostolo degli slavi. Era il 21 aprile 1990, Giovanni Paolo II accolse l’invito di Vlacal Havel che da pochi mesi, dopo la rivoluzione di “velluto”, era stato nominato presidente della Repubblica. Di lì a poco ci sarebbero state le prime elezioni democratiche.
“Ciò che per anni è stato impossibile, oggi è divenuto realtà. Come è potuto accadere?”, si chiedeva Giovanni Paolo II all’aeroporto di Praga. “Apparentemente”, diceva il papa, “tutto è iniziato con il crollo delle economie. Era questo il terreno prescelto per costruire un mondo nuovo, un uomo nuovo, guidato dalla prospettiva del benessere; ma con un progetto esistenziale rigorosamente limitato all’orizzonte terreno. Tale speranza si è rivelata un’utopia tragica, perché vi erano disattesi e negati alcuni aspetti essenziali della persona umana: la sua unicità e irripetibilità, il suo anelito insopprimibile alla libertà ed alla verità, la sua incapacità di sentirsi felice escludendo il rapporto trascendente con Dio.”
Pochi mesi prima, il 1 gennaio 1990, in uno strano crocevia di date, moriva in Germania il servo di Dio P. Tomas Tyn, un frate domenicano cecoslovacco che dal 1972 aveva vissuto a Bologna, presso il convento di S.Domenico. Dobbiamo ricordarlo per due motivi. Il primo, perchè il pensiero di questo giovane frate rappresenta un potente antidoto contro ogni tentativo di eliminare il trascendente dalla vita dell’uomo, il secondo perché la sua esistenza è, in un certo senso, misteriosamente legata alla liberazione della Cecoslovacchia.
Andiamo per ordine. Pochi giorni prima di morire P. Tyn aveva consegnato all’editore la sua monumentale opera, “Metafisica della sostanza”, definita come un oasi nel deserto del pensiero del tempo. Qui si può apprezzare la sua difesa della autentica metafisica, e quindi dello spazio razionale per un rapporto trascendente con Dio. “Un’umanità perversamente compiaciuta del suo spirito anti-metafisico – scriveva P. Tomas – è un’umanità che, per quanto si ritenga vigorosa e gioviale, di fatto è rimasta mutilata nel suo stesso essere umana”. Solo riaprendo spazi ad un’autentica metafisica, scriverà poi S. Giovanni Paolo II nell’enciclica Fides et Ratio, è possibile recuperare pienamente quel rapporto trascendente con Dio che è elemento fondamentale della persona umana, e che era stato volutamente stralciato dal vivere comune di quei regimi che cadevano come birilli.
Ma il santo papa polacco non era un ingenuo, e rivolgendosi ai vescovi cecoslovacchi in quell’aprile del 1990 li metteva in guardia anche dallo spirito anti-metafisico che attraversava l’Occidente. “Spetta perciò a voi”, diceva il papa ai vescovi, “valutare queste possibili manifestazioni di segno negativo e predisporre nelle Chiese a voi affidate le opportune difese “immunitarie” contro certi “virus” quali il secolarismo, l’indifferentismo, il consumismo edonistico, il materialismo pratico e anche l’ateismo formale, oggi ampiamente diffusi” nel cosiddetto Occidente.
Le cause profonde del movimento anti-metafisico che aveva tagliato i ponti con la trascendenza di Dio, quindi, non erano solo marxiste, ma, come notava P. Tyn, sul banco degli imputati bisognava far sedere molti altri, tra cui metteva soprattutto Kant, Heidegger e Sartre.
La necessità vitale di un rapporto trascendente con Dio per P. Tyn non era solo un fatto intellettuale. Ne è prova schiacciante la fine della sua esistenza terrena. Sul finire dell’estate del 1989 il giovane frate cecoslovacco accusa i primi sintomi di una malattia devastante che lo costringe a lasciare Bologna e trasferirsi presso i genitori, da tempo rifugiati in Germania. Il 31 dicembre 1989 nella cattedrale di Praga, dopo l’elezione di Havel, viene celebrato un solenne Te deum di ringraziamento per la libertà ritrovata. Il 1 gennaio 1990 P. Tyn muore. Poco prima che la malattia lo aggredisse aveva confidato a un confratello ciò che era accaduto nel 1975, quando Paolo VI lo aveva ordinato sacerdote: lui aveva pregato offrendo la sua vita a Dio per la libertà della Chiesa in Cecoslovacchia. Alla luce dei fatti possiamo dire che qualcuno lassù lo ascoltava davvero.
La storia, che noi conosciamo per grandi avvenimenti, si intreccia con questi fatti apparentemente minori e periferici. Di qualcuno che ha preso sul serio il rapporto personale con il trascendente. “Il vero amore si fonda sulla verità. – diceva P. Tyn nella sua ultima omelia dell’ottobre 1989 – Il vero amore non si sente mai libero, si sente legato, si sente crocifisso con Gesù”.
Questa catena vicaria ed espiatoria, cominciata sul Calvario, continua a produrre frutti di amore e libertà. E a segnare la storia.
Oggi non si riesce più a cogliere la portata di questa realtà, perché, anche quando ne ammettiamo l’esistenza, pensiamo sia possibile raggiungere il Cielo con l’ascensore. Collocati dentro una torre di Babele che non ha più neanche le scale. Giovanni Paolo II il 21 aprile 1990 si rivolgeva ai rappresentanti della cultura di Praga per dirgli che “occorre rifarsi ad una visione integrale che colga l’uomo in ogni sua dimensione: spirituale e materiale, morale e religiosa, sociale ed ecologica.” Perchè “senza il senso del trascendente, ogni tipo di cultura rimane un frammento informe, come l’incompiuta torre di Babele.” (La Croce quotidiano, 21/04/2014)