domenica 26 aprile 2015
Urgenza della formazione. Per la «missio ad gentes»
(Jean Yawovi Attila) Dinanzi a diverse difficoltà relative all’annunzio del Vangelo, quali secolarismo crescente, relativismo, sincretismo religioso, affievolimento della fede nonché estremismo di certe religioni, si verifica che «la missione di Cristo redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento» (Redemptoris missio, 1). Essa, imprescindibilmente dal tempo e dallo spazio, ha il gravissimo obbligo di evangelizzare tutti i popoli fino ai confini della terra, specialmente nel mondo odierno globalizzato nonché altamente tecnicizzato. Per contrastare tali problematiche, dannose per la missio ad gentes, tutti i christifideles, conformemente al loro stato giuridico, sono tenuti a «uscire verso le periferie». In ordine all’evangelizzazione dei popoli, l’uso di tale espressione richiede due elementi molto rilevanti: le risorse umane e i mezzi finanziari sufficienti (cfr.Codex iuris canonici, 786), necessari per lo svolgimento della proclamazione del Vangelo.
Per quanto concerne il primo elemento, la Chiesa ha sempre bisogno dei pastori, religiosi, laici formati, in breve missionari preparati per la missio ad gentes. In effetti, ogni uomo rigenerato nella Chiesa o in essa accolto, è membro del popolo di Dio e diviene discepolo missionario, in virtù della sua incorporazione a Cristo Gesù. Di conseguenza, «ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni» (Evangelii gaudium, 120). Fermo restando tale dovere, «la nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati» (ivi, 120).
Nella comunità «tutti siamo chiamati a offrire agli altri la testimonianza esplicita dell’amore salvifico del Signore, che al di là delle nostre imperfezioni ci offre la sua vicinanza, la sua Parola, la sua forza e dà senso alla nostra vita» (ivi, 120); però non tutti possono fare gli stessi servizi e soprattutto dedicarsi a tempo pieno lasciando la propria famiglia per recarsi dagli altri popoli. Ciò considerato, pur valorizzando sempre il ruolo del sacerdozio comune dei fedeli, occorre principalmente e instancabilmente promuovere le vocazioni sacerdotali, religiose e missionarie.
In effetti, sebbene oggi in molti luoghi, soprattutto in Europa, scarseggino le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, fortunatamente le giovani Chiese in Africa, Asia e in America latina hanno sempre bisogno di costruire nuovi centri per la formazione. Ringraziando Dio per queste diverse chiamate, affinché il popolo di Dio non manchi di operai per la sua messe, i responsabili hanno degli obblighi inderogabili, quali un migliore discernimento nelle scelte dove le chiamate esistono e una promozione delle medesime con iniziative concrete attraenti, laddove difettano. Al riguardo, considerando l’urgenza della qualità dei messaggeri specialmente nel nostro tempo, le autorità hanno dei doveri in materia. Essi devono essere vigilanti nel giudizio delle vocazioni, per purificare le concezioni erronee e i progetti sbagliati.
Il secondo elemento inerente all’espressione «uscire nelle periferie» consiste nella ricerca delle risorse economiche. In effetti, la Chiesa come una società, per perseguire le sue finalità, ha bisogno dei beni temporali, importanti in questa vita terrena per la continua ricerca di quelli eterni. Difatti, sia la costruzione delle strutture per la formazione dei giovani scelti, sia il loro sostentamento e l’invio dei missionari nonché il governo generale della diocesi, necessitano di mezzi economici. A tale proposito, la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, grazie alle sue opere missionarie, ogni anno stanzia dei sussidi ordinari e straordinari per sostenere l’azione missionaria nelle diocesi che sono sotto la sua giurisdizione. Tali aiuti, però, dinanzi agli incrementi delle domande dovute alla creazione delle nuove diocesi e l’attuale calo delle offerte, non riescono più a coprire tutte le richieste da esse formulate. Di fronte a tali deficit, i responsabili in ogni Chiesa particolare hanno degli obblighi, al fine di completare le sovvenzioni esterne con le offerte locali dei fedeli autoctoni e provvedere al buon funzionamento del governo ecclesiale locale. Per raggiungere tale scopo economico, i vescovi devono intraprendere degli impegni a due livelli: quelli della diocesi e quelli della conferenza episcopale.
Dal punto di vista legislativo, i pastori della comunità hanno, ognuno nel suo territorio, il compito non solo di difendere l’unità della Chiesa universale promuovendo la disciplina comune, ma altresì di emanare norme per i loro fedeli. Inoltre, essi, essendo successori degli apostoli il cui ufficio è di evangelizzare, hanno a loro volta il dovere di sostenere l’azione missionaria nella comunione con gli altri e con il romano pontefice, affinché il servizio dell’annunzio della Parola, ben regolamentato, giunga ai popoli. Di conseguenza il diritto missionario nasce per la missio ad gentes.
L'Osservatore Romano