giovedì 30 aprile 2015

Giuridiche follie

Alessandro


(di Tommaso Scandroglio) Questa storia inizia nel 2005 a Bologna quando lui e lei si sposano. Poi lui, di nome Alessandro, “cambia” sesso e diventa all’anagrafe Alessandra. La legge 164/82 prevede in questi casi il divorzio automatico e la cessazione dei rispettivi diritti e doveri coniugali.
Previsione più che logica dato che per il nostro ordinamento giuridico esiste un unico matrimonio, quello contratto tra un uomo e una donna. Ma il fu Alessandro non ci sta e tra corsi e ricorsi arriva sino alla Corte costituzionale la quale nel 2014, nella sentenza n. 170, dichiara che Alessandra/o non è più sposata/o con sua moglie ed aggiunge che il Parlamento deve affrettarsi a tutelare coppie come queste le quali avrebbero tutto il diritto di vedersi riconosciute giuridicamente qualche forma di convivenza registrata a livello amministrativo.
Questo perché, secondo la Corte, le unioni omoaffettive sarebbero tutelate dall’art. 2 della Costituzione che garantisce i diritti del singolo anche nelle formazioni sociali. Ma per i padri costituenti tale espressione stava ad indicare le associazioni, i partiti politici, le confessioni religiose, etc. e non certo le convivenze, tanto meno quelle omosessuali. Detto ciò, la Consulta ha passato la palla alla Corte di cassazione perché disciplinasse il caso concreto.
I giudici nella sentenza del 26 gennaio scorso (n. 8097/2015), resa nota però solo pochi giorni fa, hanno dichiarato che «da una comunione coniugale e familiare caratterizzata da un nucleo intangibile di diritti fondamentali e doveri di assistenza morale e materiale condizionante l’assetto della vita personale e patrimoniale dei suoi componenti si passa ad una situazione priva di qualsiasi ancoraggio ad un sistema giuridico di protezione e garanzie di riferimento».
In buona sostanza si dice: quando erano sposati Alessandro e la moglie avevano tanti diritti, ora che non possono esserlo più hanno perso tutti questi specifici diritti. È un’ingiustizia! Risposta: ma nessuno ha obbligato Alessandro a diventare “Alessandra”. Vuoi “cambiare” sesso? Metti nel conto che tutto non puoi avere e qualcosa perderai. È un pò come se un calciatore cambiasse squadra dove gioca e andasse a militare in un’altra: di certo non potrebbe chiedere che il primo club continui a pagarlo.
Invece i giudici cosa hanno disposto? Hanno affermato che il vincolo matrimoniale tra Alessandro e la moglie è sciolto (però ricordiamoci che per diritto naturale i due rimangono sposati), ma comunque occorre «conservare alle parti ricorrenti il riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al vincolo matrimoniale» fino a quando, così si aggiunge, il legislatore non avrà varato un’apposita norma sulle unioni civili omosessuali.
La Corte ha dunque dichiarato illegittima la cessazione degli effetti civili del matrimonio dei due ricorrenti. La sentenza è un vero e proprio ossimoro giuridico. Si afferma da una parte che il matrimonio non c’è più, ma nello stesso tempo che i due ex coniugi possono vantare i diritti propri di chi è sposato. Formalmente Alessandro e consorte non sono più coniugati, sostanzialmente sì. Su un primo versante i giudici ufficialmente si arrendono all’evidenza giuridica che ex art. 29 della Costituzione il matrimonio è un legame che unisce un uomo e una donna, su un secondo se ne infischiano e trattano una coppia giuridicamente omosessuale come se fosse una coppia di coniugi. Ma il matrimonio dal punto di vista giuridico è un insieme di specifici diritti e doveri e dunque, se ad Alessandra/o e a Tizia riconosco questi peculiari diritti e doveri, agli occhi dello Stato sono coppia sposata.
Difendersi dicendo che formalmente non sono più sposati è cercare di nascondere un’enormità giuridica dietro alla foglia di fico dell’ideologia gender. Banale a dirsi che questa sentenza prepara la strada alla legittimazione del “matrimonio” omosessuale.
Il peccato originale di tutta questa vicenda paradossale sta nelle disciplina normativa che ha legittimato il cambiamento di sesso. Introdotto il principio che Tizio può diventare “Tizia” si entra nel mondo dell’assurdo giuridico e per tutelare il matrimonio occorre inventarsi il divorzio coatto. Insomma è il classico caso in cui la toppa sullo strappo sta peggio dello squarcio stesso. (Tommaso Scandroglio)

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Hillary Clinton


Rispolverato il femminismo per difendere l’agenda omosessista


 È l’ora del femminismo. A qualsiasi latitudine. Sembrava lo si potesse finalmente archiviare, dopo i danni ideologici prodotti in pieno clima sessantottino. Invece no. E da ferro vecchio è divenuto il grimaldello di nuovo utile come passepartout, per cercare di introdurre ovunque l’ideologia gender in nome di pretesi, fittizi e surrettizi “diritti”.
Di femministe è zeppo il comitato elettorale di Hillary Clinton, aspirante candidata per i Democratici alla Presidenza degli Stati Uniti, in vista delle prossime elezioni 2016. Ha un bersaglio nel mirino: i cattolici ed i “loro” dogmi tradizionali, trattati come nemici giurati, attaccati apertamente dall’ex-first lady, che, tolta la maschera, ha affermato giovedì scorso al summit dell’Ong femminista Women in the World, a New York, che «bisogna cambiare» quelle «credenze religiose», che condannano i «diritti riproduttivi». Una dichiarazione da non sottovalutare, pronunciata da chi è oggi in corsa per la Casa Bianca.
«I diritti devono esistere nella pratica, non solamente sulla carta. Le leggi devono essere supportate da risorse adeguate e da una precisa volontà politica. È necessario modificare i codici culturali radicati in profondità, le convinzioni confessionali ed i pregiudizi strutturali», ha affermato tra gli applausi delle sue stagionate cheerleaders. Criticando poi ancora una volta, pesantemente, la sentenza della Corte Suprema, che ha permesso provvidenzialmente alla società Hobby Lobby di non finanziare la contraccezione per le sue dipendenti: secondo la Clinton, solo alle donne spetterebbe decidere se fare o meno ricorso a pillole abortive ed alla sterilizzazione, mentre i datori di lavoro, anche contro le proprie convinzioni morali, dovrebbero essere costretti per legge a pagare, oltre tutto di tasca propria, queste loro scelte.
Rincarando la dose, per esser certa che il messaggio giungesse forte e chiaro, l’ex-first ladyed ex-Segretario di Stato ha violentemente criticato l’obiezione di coscienza all’Obamacare, al finanziamento dei programmi di “pianificazione” familiare ed alle politiche gay friendly. Tutti ostacoli, che – a suo dire – il governo dovrebbe far cadere. Intendiamoci, nulla di realmente nuovo: la Clinton obbedisce semplicemente ai diktat dell’agenda omosessista, già espressi a chiare lettere nel 2012 dal FnuapFondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, e ribaditi nel 2014 dal Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dei bambini. Sempre l’anno scorso, il presidente della National Organization for Women statunitense, Terry O’Neill, pubblicò un articolo perfettamente in linea con l’Hillary-pensiero, articolo in cui si definì l’aborto una «misura essenziale per prevenire lo strazio della mortalità infantile», dimostrando a quale livello di disumana mistificazione dei fatti possa giungere l’ipocrisia dell’antilingua.
Netto il giudizio espresso in merito dall’agenzia on line “Reinformation.tv”: «Con un programma così sfacciatamente ostile ai cattolici, Hillary Clinton dimostra che ormai i promotori della cultura della morte e dello smantellamento della legge naturale non si nascondono più. Dietro la promozione dell’aborto, c’è in realtà la volontà di distruggere la religione ed, in particolare, la sola religione rimasta fedele al rispetto integrale della morale naturale».
Dagli Stati Uniti in Europa, la musica non cambia: anche qui il femminismo oltranzista è tornato in auge. In Francia se la prende soprattutto con la questione del gender. Per tornare all’attacco con un vecchio “cavallo di battaglia”, l’idea cioè di stravolgere completamente le regole grammaticali ritenute troppo «sessiste», invocare le «regole di prossimità» e poter scrivere un giorno che «uomini e donne sono belle».
Il fatto che, in qualche modo, il maschile possa “imporsi” sul femminile proprio alle post-sessantottine non va giù. Così han deciso, questa volta, di promuovere addirittura una pubblica petizione, da inviare al ministro Najat Vallaud-Belkacem, sapendola particolarmente sensibile a queste tematiche. Al punto da erogare 25,6 milioni di euro alla Ligue de l’enseignement, associazione vicina alle sue posizioni. Il ministero per la Pubblica Istruzione ha pagato, senza fiatare. Scatenando le ire di molti, come l’Observatoire des programmes scolaires. C’è un però: osservando chi siano le sigle scese in campo per la singolare rivendicazione, si scopre anche con chiarezza quale sia la loro matrice politica, quella della sinistra radicale.
Il collettivo L’uguaglianza non è una strega!, che ha promosso l’iniziativa assieme alla Ligue, è legato a filo doppio col PcfPartito Comunista Francese, di cui fan parte Henriette Zoughebi, vicepresidente di lista nel consiglio regionale dell’Île-de-France; Carine Delahaie, militante Lgbt, candidata del Fronte di Sinistra alle ultime Dipartimentali; Marc Thiberville, vicepresidente del Pcf nel consiglio generale della Val di Marne; Sylvie Altman, sindaco di Villeneuve-Saint-Georges; Malka Marcovich, membro della giuria del premio Laicità Repubblica.
Contemporaneamente in Italia alquanto sospetto pare il recente varo delle Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo ed al cyberbullismoassieme ai corsi di formazione “ad hoc” per docenti, voluti dal Miur: il timore è che si cerchi di far rientrare dalla finestra ciò che fu buttato fuori dalla porta ovvero i libelli dal titolo Educare alla diversità?, ritirati dal Ministero a furor di popolo. Ma chi di progressismo ferisce, di progressismo perisce: così oggi il tanto sbandierato multiculturalismo della Sinistra italiana deve fare i conti con la chiara presa di posizione dell’agenzia on line “Civiltà islamica”, schieratasi con un articolo firmato da Abu Ismail Morselli dalla parte di un genitore oppostosi alGioco del Rispetto, ritenuto troppo “gender friendly” ed improvvidamente introdotto nelle scuole materne comunali di Trieste, all’inizio quasi alla chetichella e senza informare adeguatamente circa i contenuti.

Solo la presa di posizione delle famiglie ha permesso di sviluppare in merito un vasto e vivace dibattito, che ha consentito di tramutare le perplessità in certezze, al punto da indurre una delle scuole municipali coinvolte ad uscire dal progetto ed a rinunciare alla sua applicazione. Questi elementi sono sufficienti, per dare l’idea di quanto massiccia, potente e ricca di mezzi e risorse sia l’offensiva sferrata dal fronte laicista al diritto naturale, calpestando i diritti veri ed infischiandosene di un sentire popolare su posizioni esattamente opposte. Ma ciò che qui si ricerca non è più nemmeno il consenso, bensì il silenzio, da ottenersi imbavagliando le bocche e, possibilmente, anche le coscienze. (Mauro Faverzani)