giovedì 30 aprile 2015

Sognando California



Storie di evangelizzazione dell’America nel XIII secolo.

(Cristiani Martini Grimaldi - da Palma di Maiorca) La leggenda narra che nel 1229 Giacomo I d’Aragona mentre navigava verso le coste di Maiorca venne sorpreso da una grande tempesta, a quel punto fece la promessa di costruire una magnifica cattedrale se Dio l’avesse salvato. Giunto sano e salvo sull’isola mantenne la sua parola, fece demolire la moschea che si trovava sul luogo più ambito della città e insieme all’architetto Guillem Sagrera progettò lì una cattedrale mozzafiato.
Quella di Palma, conosciuta come la Seu, è sicuramente una delle cattedrali più scenografiche al mondo grazie anche alla sua posizione sulla barriera foranea dell’antico porto. Ma la cattedrale, nonostante la costruzione sia terminata all’inizio del XVII secolo, gode anche di una delle firme più note dell’architettura contemporanea. Nel 1902, il vescovo di Maiorca, affidò infatti ad Antoni Gaudí l’incarico del restauro della cattedrale. I lavori dovevano comprendere la riparazione della facciata del tempio gotico, danneggiata gravemente dal terremoto del 1851, e il riordinamento dello spazio interno. Gaudí fece smontare il coro gotico che si trovava al centro della navata centrale per posizionarlo sui lati del presbiterio. L’architetto cambiò poi la disposizione dell’altare facendolo coprire con un nuovo baldacchino — nonostante in principio fosse solo un modello provvisorio, in attesa di quello definitivo che non è mai stato realizzato — che è oggi una delle massime attrazioni per i turisti che pagano per visitare la cattedrale.
Ma la grande Seu non è l’edificio di culto più antico della città. Il primato spetta infatti a Santa Eulalia che risale al 1236. Ed è qui che vengo a incontrare monsignor Antonio Alzamora che proprio questi giorni tiene delle conferenze sulla vita di Junípero Serra e di Ramon Lull, probabilmente i più noti maiorchini di sempre. Ed è un gioco del destino che la stessa casa natale di padre Antonio si trovi a Petra, a Barracar numero 1, «quella dove nacque Junípero Serra è a barracar numero 6! Ho respirato la stessa aria e ho calpestato la stessa terra di Junípero!», mi dice Antonio Alzamora sorridendo quando lo incontro nel suo austero studio all’interno della vecchia parrocchia.
Ma la grande impresa di Junípero Serra non cominciò dall’isola di Palma, mi racconta padre Antonio, ma dalla lontanissima Russia.
«Fu il marchese Grimaldi — mi dice — che raccontando a Carlo III dell’impresa dell’esploratore Vitus Bering e della volontà della Russia di conquistare il Nordamerica, a mettere in moto quel processo che si concluse poi con l’evangelizzazione della California». Alzamora si riferisce ovviamente alla volontà di re Carlo III di finanziare la missione che vide Junípero Serra e altri frati francescani raggiungere prima il Messico e poi le coste del Nordamerica occidentale.
«A quel tempo il viaggio nelle Americhe era un’ossessione per i missionari, era l’orizzonte di ogni desiderio di martirio — puntualizza Alzamora — non esistevano più le colonne d’Ercole, il non plus ultra era ormai plus ultra!».
Ma per vedere concretamente quello che resta a Palma di Junípero Serra bisogna andare nel convento di San Francesco non molto distante da qui.
Nel 1229, quando re Giacomo I riconquistò l’isola di Maiorca dai musulmani già alcuni francescani lo accompagnavano nell’impresa. Questi religiosi nei primi decenni del soggiorno a Palma cambiarono continuamente alloggio all’interno della città. In un primo momento si stabilirono in un frutteto concesso da re Giacomo I, chiamato in arabo Riat Aboaddille Abnezac. Solo nel 1238 costruirono il loro primo convento accanto alla Porta Pintada proprio dove Giacomo era entrato in città. Rimasero lì per circa quarant’anni. Nel 1279 re Giacomo II concesse poi ai francescani il terreno dove verrà edificato l’attuale convento. Lo stesso Giacomo II, il 31 gennaio 1281, depose la prima pietra del convento che ospiterà la vocazione francescana del suo primogenito, frate Giacomo di Mallorca, che rinuncerà alla corona per professare nell’Ordine francescano.
«Per farsi un’idea dell’importanza che aveva il convento all’epoca basta guardare i numeri, allora qui vivevano 240 frati oggi ce ne sono appena 8», mi dice frate Gregorio Matteo che mi accompagna all’interno del convento di San Francesco. Frate Matteo ha vissuto molti anni a New York, e sarà proprio lui a occuparsi dei preparativi per la canonizzazione del frate maiorchino. Fra qualche settimana ripartirà per il nordamerica.
Entriamo nella stanza dove Junípero Serra insegnava filosofia. Junípero rimase qui per diciannove anni, qui studiò, e qui fece il professore. Ci sono ancora i paramenti che Junípero utilizzava, conservati benissimo dentro delle teche. C’è anche un gigantesco breviario che all’istante fa diventare frate Matteo lillipuziano, «ce ne sono altri 36 come questo — mi dice — doveva essere letto simultaneamente da tutti e duecento i frati radunati, per forza di cose doveva essere visibile molto bene anche da lontano».
Padre Serra arrivò qui a quindici anni, era molto basso di statura, e uno dei compiti di quello che sarà il conquistador de la California, fu proprio quello di voltare le pagine del grande breviario, «e vista la bassa statura sarebbe stato in punta di piedi, apparendo quasi buffo agli altri frati che lo osservavano», commenta scherzosamente frate Matteo.
Oggi nel convento vivono centinaia di studenti. Ma i corridoi sono calpestati anche da turisti, scolaresche e comitive varie che fanno tutti tappa qui. Dopo la visita all’immensa cattedrale e all’Almudaina (il palazzo moresco) il convento è infatti una delle tappe irrinunciabili dell’isola che tuttavia resta più nota ai giovani per le sue eccentriche discoteche estive che non per la sua straordinaria eredità culturale.
L'Osservatore Romano

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