sabato 18 aprile 2015

Le parole semplici del Papa teologo



Il primato di Pietro. Il 17 aprile presso il Collegio del Campo Santo Teutonico, durante un incontro sul tema «Il primato di Pietro nel pontificato di Benedetto XVI», organizzato in occasione del compleanno del Papa emerito e del decimo anniversario della sua elezione al soglio pontificio, il cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede — e curatore dell’opera omnia di Ratzinger — ha tenuto un intervento di cui pubblichiamo uno stralcio. Gesù, ha sottolineato il porporato, non ha voluto fondare la sua Chiesa come una realtà astratta; il servizio papale viene sempre realizzato tramite la personalità molto concreta di chi è stato chiamato all’edificazione della casa di Dio nel mondo.

(Gerhard Muller) Un tratto importante del pontificato di Benedetto XVI è stato il suo straordinario talento teologico. Con ciò non s’intende semplicemente un’impronta derivante dall’attività di docente, bensì il modellamento dei temi più importanti della dottrina della fede attraverso l’elevata originalità della sua teologia. Anche per i Pontefici vale in particolare ciò che vale in generale per tutti i cristiani: i diversi carismi sono dati dallo Spirito di Dio affinché siano utili agli altri e affinché il Corpo di Cristo venga edificato nella conoscenza e nell’amore di Dio. Così l’intero corpo, attraverso l’azione comune dei suoi membri, cresce andando incontro a Cristo. Chi ha ricevuto il dono dell’insegnamento, insegni! E ciò in conformità con la fede (cfr. Romani 12, 7). Questa analogia della fede, la comprensione del collegamento intimo tra la verità rivelata e il fine della salvezza per ogni uomo, si fonda sull’analogia dell’essere, vale a dire la capacità di verità anche della ragione creata, che nell’essere reale del mondo riconosce l’esse, verum et bonum, che è riflesso e parabola della ragione e dell’amore di Dio. Sulla base dell’analogia entis, la teologia quale scienza della verità rivelata è possibile come analogia fidei.
La conoscenza teologica non serve alla curiosità intellettuale, che si compiace di se stessa nel circolo chiuso di pochi esperti e si diletta della propria intelligenza. Senza la teologia, così come è stata sviluppata nelle diverse scuole dai padri della Chiesa, i grandi teologi del medioevo e dell’epoca moderna, il magistero non può adempiere alla sua responsabilità. Infatti, il magistero della Chiesa testimonia la verità rivelata della Chiesa nella professione, nell’auditus fidei, mentre la rappresentazione intellettuale si compie in modo razionale e concettuale, sicché la razionalità intima del depositum fidei risplende nell’insegnamento teologico. Nella sua autorità quale testimonianza autentica di quanto è stato rivelato, in virtù dell’assistenza dello Spirito Santo promesso, il magistero certamente sta al di sopra della teologia accademica, ma se ne serve per intima necessità. Il Papa e i vescovi possono insegnare in maniera pura e completa e proporre alla fede solo ciò che è contenuto nella rivelazione storica di Dio. Ma per quanto riguarda la forma linguistica e di pensiero vale: «il romano Pontefice e i vescovi nella coscienza del loro ufficio e della gravità della cosa, prestano la loro vigile opera usando i mezzi convenienti però non ricevono alcuna nuova rivelazione pubblica come appartenente al deposito divino della fede» (Lumen gentium, n. 25). Di fatto, diversamente da Pietro e dagli altri apostoli, il Papa e i vescovi non sono portatori personali della rivelazione. Tuttavia, per la trasmissione fedele della fede, nel loro ministero godono dell’assistenza dello Spirito Santo (assistentia Spiritus Sancti).
Lo stesso Pietro nella sua prima lettera, un’”enciclica”, ha esortato i cristiani, e in particolare i sacerdoti e i vescovi, a rispondere a tutti quelli che domandavano loro del «lògos della speranza» che è in noi attraverso la fede in Cristo, il Signore, il «pastore e guardiano delle vostre anime» (1 Pietro, 2, 25).
Una questione che è stata molto a cuore al teologo Joseph Ratzinger, ma anche al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e al Papa, è quella di mostrare il collegamento intimo della fede tra ascolto e comprensione, tra auditus e intellectus fidei. 
In ciò la fede non viene misurata con un parametro esterno e assoggettato a un criterio che le è estraneo. La fede come essere illuminati dalla luce di Cristo (lumen fidei) è piuttosto razionale in se stessa, conforme al Lògos di Dio, un rationabile osequium. Alla teologia scientifica spetta il compito di mediare tra la conoscenza di Dio nella fede e la conoscenza del mondo attraverso la ragione naturale (lumen naturale), così come viene rappresentata nelle scienze naturali e umanistiche, affinché nella consapevolezza dei fedeli non si disgiungano le verità della fede e la conoscenza naturale.
Naturalmente l’attività complessiva di un pontificato e la sua fecondità per la Chiesa, che comunque solo Dio può giudicare, non possono essere ridotte a un solo merito. Tuttavia, lo sviluppo teologico dell’unità intima e della compenetrazione della fede e della ragione è un aspetto che conferisce al pontificato di Benedetto XVI un carattere particolare. Fede e ragione non si limitano né si escludono reciprocamente, bensì servono al completamento dell’uomo in Dio e nel suo Verbo, che si è fatto carne come noi, e nel suo Spirito, che rivela l’essere e la vita più profonda di Dio: Dio è amore, come spiega la grande enciclica Deus caritas est.
Così si può affermare: Benedetto XVI è stato uno tra i grandi teologi sulla cattedra di Pietro. Nella lunga serie dei suoi predecessori, è facile paragonarlo a una straordinaria figura di studioso del XVIII secolo, Benedetto XIV (1740-1758). Allo stesso modo si può pensare a Papa Leone Magno (440-461), che formulò l’intuizione decisiva per il credo cristologico del concilio di Calcedonia (451). Nei lunghi anni della sua attività accademica come professore di teologia fondamentale e dogmatica, Ratzinger ha elaborato un’opera teologica autonoma, che lo pone nelle fila dei più importanti teologi del XX e del XXI secolo. Da oltre cinquant’anni il suo nome è sinonimo di un progetto complessivo originale della teologia sistematica. I suoi scritti collegano le conoscenze scientifiche della teologia alla forma viva della fede. Quale scienza che ha il suo posto autentico nella Chiesa, la teologia può mostrarci la particolare vocazione dell’uomo come creatura e immagine di Dio.
Nel suo lavoro scientifico, Benedetto XVI ha sempre potuto avvalersi di una straordinaria conoscenza della storia della teologia e dei dogmi, che ha trasmesso in modo tale da far risplendere la visione di Dio dell’uomo, sulla quale poggia tutto. Ciò è reso accessibile a molti grazie all’uso che Joseph Ratzinger fa delle parole e del linguaggio. I contenuti complessi non vengono sottratti alla comprensione comune attraverso una riflessione complicata, bensì resi trasparenti nella loro semplicità interiore. Al centro di tutto c’è sempre il fatto che Dio vuole parlare a ogni uomo e che la sua parola diventa una luce che illumina tutti gli uomini (cfr. Giovanni, 1, 9).
L'Osservatore Romano