sabato 18 aprile 2015

Lì davanti lasciamo che ci guardi



Oggi, 19 aprile, si inaugura nel Duomo di Torino l'ostensione della Sacra Sindone, in occasione del bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco. L'ostensione durerà fino al 24 giugno e tre giorni prima della chiusura si recherà in pellegrinaggio a Torino anche papa Francesco. Per fare il punto sugli studi scientifici sul Sacro Lino e ricordare il significato che riveste per i fedeli, pubblichiamo l'articolo della sindonologa Emanuela Marinelli contenuto nel dossier dedicato alla Sindone del mensile Il Timone (per chiedere una copia clicca qui).

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ECCE HOMO
di Emanuela Marinelli
Il reperto archeologico più studiato al mondo, la più preziosa reliquia della Cristianità: stiamo parlando della Sacra Sindone, il venerato lenzuolo che sarà di nuovo esposto nel Duomo di Torino da domenica 19 aprile a mercoledì 24 giugno, nel bicentenario della nascita di san Giovanni Bosco. 
Da dove viene questo antico lino? Chi è l’uomo, barbaramente trucidato, che vi ha lasciato la sua impronta? La Sindone (dal greco Sindon, lenzuolo) può essere davvero il sudario funebre di Gesù di Nazareth, come la tradizione afferma, oppure è la testimonianza di un atroce delitto, perpetrato per realizzare una falsa reliquia? Per rispondere a questi inquietanti interrogativi, da più di cento anni gli scienziati si sono impegnati nell’esame di questo enigmatico lenzuolo.
Il test che ha fatto più scalpore è stato quello radiocarbonico. L'analisi effettuata nel 1988 con il metodo del 14C avrebbe datato la reliquia fra il 1260 e il 1390 d.C. Molti scienziati erano contrari a sottoporre la Sindone alla datazione con questo metodo, a causa della particolarità del reperto, che ha subito mille peripezie ed è contaminato da molte sostanze. Muffe, ife di funghi, fumo di candele, sudore, incendi, acqua, contatto con stoffe più recenti, restauri, possono avere alterato notevolmente il lino, compromettendo la validità dell'esame radiocarbonico. La Sindone può invece risalire benissimo all’epoca di Gesù: nella necropoli di Antinoe (Alto Egitto, inizio II sec. d.C.) sono stati trovati tessuti analoghi.
La Sindone misura cm 442 per cm 113. I fili usati per realizzarla sono filati a mano: infatti presentano un diametro variabile. Irregolare anche l'intreccio del tessuto, realizzato su un telaio manuale a pedale. La tessitura è a “spina di pesce” (3/1), che forma “strisce” larghe circa 11 mm. 
Il telo sindonico è formato da una grande banda di tessuto, larga poco più di un metro, alla quale è stata aggiunta una striscia larga circa 8 cm, che in origine faceva parte dello stesso telo. Tale striscia, però, è più corta della Sindone, da un lato di circa 16 cm e dall’altro di circa 36 cm; in queste zone è perciò visibile la stoffa di supporto su cui è cucita la reliquia. 
Due evidenti righe scure percorrono la Sindone in tutta la sua lunghezza: sono gli effetti di un incendio, divampato nella notte tra il 3 e il 4 dicembre 1532, in cui il lenzuolo rischiò di andare distrutto. In quell'epoca il sacro lino veniva conservato, ripiegato in un reliquiario di legno rivestito d’argento, nella Sainte Chapelle del Castello di Chambéry, allora capitale del Ducato di Savoia. 
L'incendio danneggiò il reliquiario: si provocarono così sulla Sindone le due righe scure nel senso della lunghezza e alcuni fori simmetrici, che sono stati successivamente ricoperti da toppe triangolari, applicate dalle Clarisse di Chambéry nel 1534. Le suore inoltre fissarono la reliquia su una tela d’Olanda. Nel 2002 tutti i rappezzi sono stati asportati, i fori sono stati lasciati scoperti ed è stata anche sostituita la tela d’Olanda con una nuova stoffa di supporto.
Sulle due linee parallele di carbonizzazione si intravedono le tracce di un altro incendio, sotto forma di quattro gruppi di cerchietti scuri, ognuno composto da quattro fori messi a L.  La Sindone doveva essere piegata in quattro quando si verificò questo danno.
Fra le due righe scure, ma anche all'esterno di esse, ci sono alcune tracce a forma di losanga o semi-losanga, sfumate: sono aloni formati dal materiale che l'acqua ha trasportato da zone bagnate precedentemente, fino al punto in cui si è fermata. Nella zona che sta fra le due righe scure si distingue, per quanto tenue, la doppia impronta, frontale e dorsale, di un corpo umano martoriato. Questa doppia immagine umana, frontale e dorsale, è punteggiata da macchie di sangue. La singolarità della Sindone è proprio questa impronta, misteriosamente lasciata dal cadavere che vi fu avvolto. Non sorprendono, infatti, le macchie di sangue, ma le sembianze umane impresse nel telo in modo inspiegabile.
L’inizio delle ricerche scientifiche sulla Sindone si può far risalire alla prima fotografia che fu scattata alla reliquia nel 1898. Il negativo rivelò l'inversione di chiaroscuro nell'impronta corporea, facendola apparire in tutti i suoi dettagli.
Sulla Sindone sono evidenti alcune zone rosse, il cui aspetto corrisponde ai caratteri delle macchie di sangue su stoffa: si tratta di vero sangue umano del gruppo AB. Per avere un decalco del sangue come quello osservato sulla Sindone, il corpo deve essere stato avvolto nel lenzuolo per circa 36 ore. In questo tempo un ruolo importante deve essere stato svolto dalla fibrinolisi, che provoca il ridiscioglimento dei coaguli. Resta inspiegabile come il contatto tra il corpo e il tessuto si sia interrotto senza alterare i decalchi che si erano formati.
Sono state identificate sulla Sindone anche alcune particelle di aloe e mirra, soprattutto nelle zone macchiate di sangue. Sono stati inoltre rinvenuti frammenti di terriccio in corrispondenza della punta del naso e del ginocchio sinistro. In altri campioni di materiale terroso, prelevati dalla Sindone in corrispondenza dei piedi, è stata individuata aragonite con impurezze simili a quelle dell’aragonite delle grotte di Gerusalemme.
Resta l'enigma della formazione dell’immagine sindonica. Il suo colore, giallo traslucido, non è dovuto ad alcuna sostanza posta sui fili: sono i fili stessi a essere ingialliti. Sotto le macchie di sangue non esiste immagine del corpo; il sangue, depositatosi per primo sulla tela, ha schermato la zona sottostante mentre, successivamente, si formava l'immagine. Fra le possibili cause della sua formazione sono state escluse la pittura, la bruciatura, gli acidi, la vaporografia, il contatto. Solo con una radiazione ultravioletta si ottengono le sue peculiari caratteristiche.
È scientificamente certo che la Sindone ha avvolto veramente il cadavere di un uomo martoriato: il suo corpo è stato crudelmente flagellato; la sua testa presenta numerose ferite provocate da un insieme di oggetti appuntiti: un casco di spine; le sue spalle sono segnate da un'impronta obliqua lasciata dal patibulum, la trave orizzontale della croce; le sue ginocchia hanno battuto su superfici ruvide e accidentate; il suo volto presenta numerose tumefazioni, causate dalle percosse ricevute e dagli impatti con il terreno durante le cadute; i suoi polsi e i suoi piedi sono stati trapassati da chiodi; il suo costato è stato trafitto da una lancia; il suo corpo, staccato dalla croce, nudo e non lavato, è stato adagiato su un lungo lenzuolo che è venuto a contatto con la parte dorsale e, passando sopra il capo, ha coperto l'intero tratto frontale fino ai piedi.
Il confronto con le narrazioni dei Vangeli si è rivelato di valido aiuto per l’identificazione dell’Uomo della Sindone: infatti tutto coincide con la vicenda della crocifissione e morte di Gesù.

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Nosiglia: pellegrini alla Sindone.

di Marco Bonatti
Alla vigilia dell’apertura dell’ostensione della Sindone – da domani nel Duomo di Torino –, l’arcivescovo Cesare Nosiglia parla ad Avvenire delle attese e delle speranza che questo grande evento porta con sé. E lancia l’invito non tanto a guardare la Sindone, bensì a «lasciarsi guardare» da essa. E poi la visita di papa Francesco, «un dono» per l’arcidiocesi, che in questo evento dell’ostensione vede un’apertura a tutti credenti e non credenti. I pellegrini potranno vedere 
la Sindone fino al 24 giugno prossimo. 

Monsignor Nosiglia, perché la gente piange? 
Di fronte alla Sindone succede qualcosa che ci sconvolge. Crediamo di sapere tutto di quell’immagine, siamo venuti apposta a Torino per vederla. Lungo il percorso abbiamo imparato a conoscerla. Eppure lì davanti, in quei pochi minuti che la visita consente, all’improvviso comprendiamo ciò che le guide, gli opuscoli, i filmati non possono dirci: e cioè che quel Volto viene a «toccare» noi, ciascuno di noi. Papa Francesco lo ha capito nel profondo, e ce lo ha detto nel videomessaggio per l’ostensione televisiva del 2013, chiedendo non tanto di guardare la Sindone ma di «lasciarsi guardare », accettare di mettersi in discussione. Non sto parlando di emozione né di commozione ma di un movimento interiore, che nasce dal cammino stesso che si è compiuto. Di fronte alla Sindone, per ciascuno in modo diverso, il senso di quel cammino ci viene rivelato. 

Non è curiosità, allora.
 
La curiosità, l’interesse per le questioni scientifiche, l’attenzione suscitata dai mass media sono fra gli elementi che fanno decidere per il viaggio. La rete ha moltiplicato le occasioni, del Volto sindonico si trovano immagini ovunque. Eppure, più circolano immagini più ci si rende conto che il pellegrinaggio è cosa completamente diversa: la conoscenza «virtuale» della Sindone è un approccio iniziale, poi deve venire il resto del cammino. Tra il milione di pellegrini che si sono prenotati finora per l’ostensione la gran parte proviene da gruppi parrocchiali, pellegrinaggi diocesani, associazioni: persone che conoscono la Sindone in modo più approfondito e desiderano ripetere l’esperienza del viaggio. Non dimentichiamo che, anche in tempi lontani dall’ostensione, nelle parrocchie e nei centri culturali, in Italia e all’estero, si tengono conferenze, serate di conoscenza del Telo, corsi di informazione nelle scuole. È un lavoro magari poco vistoso ma che produce frutti: per la conoscenza della Sindone, e per la «voglia» di venire a vederla a Torino. 

Ma vengono molti anche non credenti, o credenti
 
di altre religioni. 
L’ostensione è un evento aperto. La Chiesa propone questo momento, che è spirituale ed ecclesiale, a tutti, senza imporre nulla a nessuno. Si entra nel Duomo di Torino come si va in qualunque altra chiesa, con la differenza che il gran numero di visitatori richiede un sistema di prenotazione. Ricordo ancora una volta che la visita è interamente gratuita, e obbligatoria la prenotazione. Detto questo, siamo ben consapevoli che l’ostensione è diventata, per l’intero «sistema Torino», un’occasione importante per mettere in campo sinergie, suscitare nuove risorse, far conoscere meglio la città e il suo territorio. Per questo dal 1998 l’ostensione è promossa in collaborazione con gli enti locali e le altre realtà subalpine. Colgo l’occasione per ringraziare davvero tutti: in un momento di grandi difficoltà economiche e sociali per il nostro territorio la collaborazione per l’ostensione è un segnale importante prima di tutto per noi torinesi. E pensando al «sistema Torino» mi sembra di poter dire che proprio per questo il mondo salesiano non poteva non entrare in questo cammino: i figli e le figlie di don Bosco portano il Vangelo in tutto il mondo, ma la loro radice rimane profondamente torinese. Ho scelto come motto per questa ostensione il passo di Giovanni 15, dove Gesù dice che non c’è amore più grande di chi dà la vita perché mi sembra che queste parole abbiano un valore veramente universale perché indicano a tutti una via che porta alla realizzazione piena di se stessi, nel donarsi completamente per il prossimo. Una via che passa anche dalla morte, dalla sofferenza della Sindone. Ma noi siamo testimoni che il Signore è risorto. E anche per questo ho chiesto che nell’ostensione 2015 si dedichi particolare attenzione al mondo della sofferenza e a quello dei giovani che, oggi più che mai, sono affamati di speranza, hanno bisogno di «testimoni» che indichino non solo a parole le strade della vita. 

E la ricerca scientifica?
 
Nel 2000 si tenne a Torino un importante Simposio 
con scienziati di tutto il mondo che fecero le loro proposte. Dopo di allora i progetti vennero vagliati e coordinati dalla Commissione diocesana e inviati alla Santa Sede. Per il momento non c’è ancora un programma di nuove ricerche definito, anche perché il continuo aggiornamento delle tecnologie consente ipotesi di lavoro sempre nuove, con strumenti più raffinati, che consentiranno in futuro esami sempre meno invasivi sul tessuto. Il primo dovere della Chiesa è garantire la conservazione della Sindone in condizioni ottimali, e a questo serve innanzi tutto l’esperienza della ricerca scientifica. Negli ultimi 30 anni il magistero dei Papi ha distinto con molta chiarezza i «ruoli» della scienza e della fede in rapporto alla Sindone, lasciando alla scienza le proprie competenze e le proprie responsabilità.

E poi verrà papa Francesco. 
Già ora la sua visita attesa è un dono. Il Papa muove non solo la curiosità e l’entusiasmo, ma le coscienze. E il fatto che ci sia tanta gente che vuole vederlo – magari toccarlo, magari parlargli – è un segno importantissimo. Anche per questo abbiamo deciso di consegnare a lui, il 21 giugno, le offerte che verranno lasciate dai pellegrini della Sindone durante l’intera ostensione. Il nostro dono non ha condizioni, sarà il Papa a decidere come e dove destinare l’offerta. Certo saremmo contenti se lui decidesse per un’opera, un progetto che ricordi il Santo Volto, e dunque Torino e l’esperienza dell’ostensione. 

I valdesi, i parenti…
 
L’incontro con la comunità evangelica valdese nel loro tempio di Torino è un altro dei gesti che passerà alla storia, all’interno della «strategia globale» di questo pontificato. Ma credo che abbia anche un senso più immediato, concreto e locale: fin dal dopo Concilio, Torino è stata fra le prime Chiese che hanno perseguito con convinzione il dialogo ecumenico, nelle celebrazioni dell’Ottavario come in quella fraternità concreta, quotidiana che sperimentiamo con i valdesi, gli ortodossi, le Chiese orientali, le altre confessioni evangeliche. La visita di Francesco viene a suggellare questo dialogo, e anche forse a girare la pagina storica dei conflitti, delle divisioni, delle diffidenze. A purificare la memoria. Quanto all’incontro di papa Bergoglio con i suoi parenti: sappiamo bene che le sue radici sono qui, mi pare un momento molto bello e molto «umano» questo incontro. È come se tutti noi, torinesi e piemontesi, fossimo vicini a lui non solo nella comunione ecclesiale ma anche in quella conoscenza più discreta e personale della famiglia. 
Avvenire