sabato 18 aprile 2015

III Domenica di Pasqua (Anno B)

Nella terza domenica di Pasqua, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù risorto appare ai discepoli, sconvolti e pieni di paura, e dice:
«Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho».
Oggi torna a risuonare il dono pasquale del “Pace a voi”, insieme al grido degli Apostoli: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Quello di Pasqua non è un tempo per “autoconvincersi” – ad occhi chiusi – della risurrezione di Cristo. Gesù risorto è un evento, è un fatto. E gli Apostoli vengono a contatto, vedono con i loro occhi, toccano con le loro mani, come dirà poi S. Giovanni (1 Gv 1,1), questa vita nuova di Cristo. Lo hanno visto agonizzare sulla croce, lo hanno visto deposto, senza vita, dalla croce ed ora lo vedono vivo e credono di stare davanti ad un fantasma. Un fantasma è più facile da compaginare con i nostri sensi di colpa e con le  nostre nevrosi; più che un uomo che torna vivo dalla tomba. Il Signore, con pazienza, svela poco a poco ai discepoli il mistero della Pasqua, edifica la loro fede, svela loro il senso delle scritture secondo le quali Cristo doveva patire e morire, per risorgere dai morti. Ed ora è davanti ai loro occhi, perché essi ne siano testimoni e lo annuncino a tutte le nazioni della terra. In ogni donna, in ogni uomo c’è l’attesa di una speranza, di un domani migliore, ma nessuno di noi crede davvero che alla domenica di Pasqua si giunge passando per il venerdì santo! Oggi siamo convocati per toccare con le nostre mani, vedere con i nostri occhi e ascoltare con le nostre orecchie il Signore risorto che viene ad edificare la nostra fede, perché possiamo gridare davanti a tutta l’umanità: “Annunciamo la tua morte, Signore; proclamiamo la tua risurrezione; nell’attesa della tua venuta!”. (Pasotti)
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Prima Lettura

Dagli Atti degli Apostoli

In quei giorni, Pietro disse al popolo: «Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. Avete ucciso l'autore della vita, ma Dio l'ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni.
Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati».

Seconda Lettura 
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; ma se qualcuno ha peccato, abbiamo un Paràclito presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto. È lui la vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.
Da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c'è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto.

Vangelo

Lc 24,35-48

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

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Gesù è "carne e ossa" crocifisse per noi

Commento al Vangelo della III Domenica di Pasqua (Anno B) -- 19 aprile 2015


"Pace a voi!", ci annuncia di nuovo il Signore in questa Domenica. Risplende ancora la luce della Pasqua per tutti coloro che forse hanno smarrito la gioia della Notte delle Notti. “Pace a voi” che “avete ucciso l’autore della vita, agendo per ignoranza”.
“Pace a voi” che “avete rinnegato il Santo e il Giusto e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino”. “Pace” a noi oggi, che abbiamo scelto la violenza e la giustizia umana, la ribellione e la vendetta. “Pace” a noi che abbiamo ucciso Colui che poteva darci la vita vera e piena, per difendere stoltamente noi stessi, con i nostri progetti e i nostri criteri.
“Pace” a noi, che siamo come Barabba, che significa “figlio del padre”, ovvero figlio di nessuno. “Pace” a noi che abbiamo vissuto come orfani, chiusi nel carcere dei rancori e dei giudizi verso Dio e gli uomini, genitori, fratelli, amici, colleghi, tutti responsabili della nostra infelicità.
“Pace” ai figli di questa generazione che, come Adamo ed Eva che uccisero nel loro cuore l’Autore della Vita, hanno perso la propria identità nell’illusione di arraffare quella di Dio. “Pace” ai tanti che, nudi, inventano nuovi generi sessuali con i quali cucirsi addosso un’identità figlia delle concupiscenze travestite da diritti.
“Pace” a noi peccatori perché, proprio mentre lo uccidevamo, l’Autore della Vita moltiplicava infinitamente la sua vita offriva la vita a noi che stavamo morendo vittime di noi stessi e dei nostri peccati.
“Pace” dunque, ovvero vita eterna per tutti noi, che Cristo risorto e vittorioso su ogni peccato ci offre oggi gratuitamente. “Pace”, ovvero riposo e consolazione, perché Dio ha saputo scorgere tra tanta malizia la nostra “ignoranza”. Non sapevamo, infatti, che proprio attraverso la nostra mano assassina come quella di coloro che erano presenti a Gerusalemme nei giorni della Passione di Gesù, “Dio ha compiuto ciò che aveva preannunziato per bocca di tutti i profeti, cioè che Cristo doveva soffrire”.
“Doveva” perché c’era il nostro cuore inguaribile da guarire. Non c’era riuscita la Legge, non l’educazione ricevuta, non lo studio, non le campagne di sensibilizzazione dei governi. Neanche le buone intenzioni. Nessuno avrebbe potuto tirarci fuori dall’inferno del rapporto con gli altri, della schiavitù all’alcool, al sesso, al gioco; nessuno avrebbe potuto guarire il nostro cuore infettato mortalmente dall’inganno del demonio.
Perché nessuno sarebbe stato capace di entrarci nel nostro inferno. Per questo lo “doveva” fare l’unico che “poteva”, ovvero l’Autore della vita. Lui solo poteva scendere nella morte e distruggerla, e così tirarci fuori da quell’inferno di dolore. Lui solo può compierlo oggi per te e per me, “Gesù Cristo giusto”, il nostro “Paraclito presso il Padre”, l’avvocato capace di farci scagionare dall’accusa più infamante.
Anche oggi, infatti, mostra al Padre le sue piaghe gloriose, il nostro alibi! Abbiamo peccato noi, è vero, ma Lui era lì a farsi peccato per noi! E così il Padre ha fatto ricadere su di Lui la condanna che spettava a noi. Per questo “doveva” morire, Giusto per gli ingiusti per ricondurci al Padre, alla comunione con Lui.
“Ma Dio lo ha risuscitato dai morti” e la Chiesa ne è “testimone”. Come anche noi, che abbiamo visto il Signore "lungo la via"; quante volte lo abbiamo visto camminare accanto a noi tristi e sfiduciati; ci ha parlato attraverso la Chiesa, e in essa lo abbiamo "riconosciuto nello spezzare il pane".
Quante volte nell'Eucarestia ci siamo sentiti risuscitare con Lui? Tante, tantissime, altrimenti non sarebbe stato possibile vivere l'amore con il coniuge per tanti anni. Non avremmo potuto aprirci alla vita e generare i figli che Dio ha pensato per noi. Non ci saremmo perdonati, e oggi staremmo marcendo nel rancore. I soldi avrebbero rapito il nostro cuore e non avremmo donato per gratitudine la nostra vita alla missione. 
Eppure, nonostante queste esperienze, proprio durante le liturgie, nelle quali "parliamo di queste cose", cioè dei miracoli che Cristo ha compiuto nella nostra vita, quando "Lui in persona appare in mezzo a noi" ci accade ancora come agli apostoli. Siamo "stupiti e spaventati", e "crediamo di vedere un fantasma".
Non è così? La Parola di Dio è perfetta, non sbaglia un colpo. Se oggi la Chiesa ci presenta questo Vangelo significa che siamo ancora "turbati" e continuano a "sorgere dubbi nel nostro cuore". Il termine "dubbi"traduce l'originale greco che letteralmente significa "pensieri". Che vuol dire? Che cosa ci sta succedendo?
Succede che nel nostro "cuore" siamo ancora schiavi dei nostri "pensieri". Pensiamo al denaro e al futuro dei figli, a quell’ingiustizia subita, alla salute e alle ferie che quest’anno ci hanno dato in settembre. Siamo "turbati" proprio per quello che significa la Pasqua, per l'esodo verso una vita che di certo desideriamo, ma di cui non riusciamo a "pensare" la forma e lo spazio e che ci fa apura perché siamo attaccati alle nostre sicurezze.
Per questo Gesù stesso viene anche questa Domenica nella comunità cristiana per "farsi vedere", restando "in mezzo a noi". E' Lui al centro della Pasqua, attraverso la quale vuole entrare e restare al centro della nostra vita e del nostro "cuore", cioè del nostro essere, il luogo intimo dove siamo liberi e possiamo discernere e decidere, insomma "vedere".
Ecco, Gesù "stesso" viene a prendere possesso di noi "stessi", di tutta la nostra vita! E' questo che ci manca ancora per sperimentare la “Pace” che Cristo ci annuncia. Le esperienze fatte sono come una luce intermittente che ha illuminato per alcuni istanti la nostra vita; l'ha salvata eccome, e sì, lo abbiamo accolto, ma solo per un caffè, mentre Lui vuol venire e fermarsi per sempre al centro della nostra vita e "mangiare" con noi il nostro "pesce arrostito", immagine degli eventi e delle relazioni di cui ci nutriamo abitualmente.
E come lo fa? Lo fa prendendoci proprio al capolinea dei nostri vani ragionamenti, smentendo la conclusione insinuata in noi dal demonio che tutto quello che abbiamo vissuto è stato sì bello, e anche vero, ma in fondo era solo il frutto di un "pensiero" appunto, di una particolare esperienza "spirituale", come suggerisce l'originale tradotto con "fantasma". La Resurrezione di Cristo in noi è, secondo i nostri "pensieri", legata a certi momenti speciali, alle liturgie, ai ritiri spirituali, a certe predisposizioni. 
E invece no, la Pasqua è molto di più, infinitamente di più! E' Cristo "in carne ed ossa" che ci chiede di consegnargli la nostra vita, tutta! E lo fa invitandoci a "toccare" e "guardare" il suo amore che risplende nelle sue "ferite". Lui non è un pensiero, non è solo Spirito, Lui è "carne e ossa" crocifisse per te e per me, scese in un sepolcro a cercarci, e risuscitate come prova indubitabile che il suo amore è stato più forte di ogni nostro peccato.
E oggi ci "mostra" di nuovo "le mani e i piedi" trafitti dai nostri pensieri e dai nostri peccati: in quelle ferite vi è la garanzia del perdono, e se siamo perdonati perché dovremmo continuare a difendere quello che ci ha avvelenato la vita? E' questo il passo decisivo che ci manca: “convertirci”, consegnare a Cristo noi stessi, perché Lui possa "mangiarne davanti ai nostri occhi".
Significa “cambiare vita” e rinnegare te stesso e la parte di te che ancora appartiene alla terra; significa ascoltare la predicazione per imparare ad essere “fedele alla sua Parola” e sperimentare “l’amore di Dio perfetto in te”. E accostarti ai sacramenti che rinnovano la Grazia del Battesimo, per “conoscere” davvero Cristo mentre, vivo in te, “compie” per Grazia i suoi “comandamenti”. 
Se lo farai, esploderai nella gioia del perdono e della vita nuova, stupendoti al punto di "non credere ai tuoi occhi" nel vedere che le barriere dei pensieri, delle angosce, dei dubbi che ti separavano dalla "Pace" e dalla pienezza della felicità non esistono più.
Come è possibile che Cristo mi ami così, che, nonostante tutto, non tenga conto delle mie meschinità, della mia incredulità, dei miei capricci, della mia durezza di cuore? E' possibile, perché proprio per me, per me come sono oggi, "bisognava che fosse compiuto tutto quanto è scritto nella Legge di Mosè, nei profeti e nei salmi su di Lui".
E che cosa è scritto? E' scritto di un popolo di dura cervice, dal cuore ostinato, incredulo di fronte ai tanti segni e prodigi di Dio, e di Servo che l'avrebbe salvato prendendo su di sé ogni suo peccato. E' scritta la tua storia, sino ad oggi, e quella di Gesù, sino ad ora. 
Coraggio allora, smetti di difenderti, guarda che Cristo è già entrato nella tua vita, nonostante ne avessi chiuso le porte. E’ già nel Cenacolo, immagine della comunità cristiana, dove "spalancherà la tua mente all'intelligenza, alla visione delle Scritture" compiute in Lui per te!
E' questa la tua resurrezione, quella che ti tira fuori dalla tomba dei tuoi pensieri, per aprirti alla fede che sa "vedere" l'amore di Dio in ogni evento. Era "scritto che Gesù doveva patire e risuscitare dai morti" perché "nel suo Nome", cioè in Lui vivo in carne ed ossa, fossero "predicati a tutti la conversione e il perdono dei peccati” che oggi cambieranno per sempre il tuo cuore.
"Di questo" mistero Pasquale di Cristo che si compirà in noi, "saremo testimoni", cominciando dalla nostra "Gerusalemme", dalla famiglia, dagli amici, da chi abbiamo giudicato e rifiutato. E' questa la nostra Pasqua che si estenderà, non più a intermittenza, per ogni giorno della nostra vita.

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Da Emmaus a Gerusalemme e al mondo intero

Lectio Divina sulle letture per la III Domenica di Pasqua (Anno B) - 19 aprile 2015


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la III Domenica di Pasqua (Anno B).
Come di consueto, il presule offre anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
Rito romano
At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1 Gv 2,1-5; Lc 24,35-48
Rito ambrosiano
At 16, 22-34; Col 1, 24-29; Gv 14, 1-11a.
1) Un cammino di misericordia: da Emmaus a Gerusalemme
Domenica scorsa abbiamo celebrato la divina Misericordia. E anche oggi la pagina del vangelo di Luca che la liturgia ci propone, sottolinea come essere testimoni della risurrezione del Signore voglia dire annunciare la conversione e il perdono. Viviamo la misericordia allora come riflesso della Risurrezione, e come occasione di conoscenza di Dio e del suo infinito amore, riconoscendoci deboli, fragili, miseri, ed è appunto nella nostra miseria che ci sentiamo accolti dal Dio misericordioso.
Domenica scorsa, abbiamo contemplato Gesù che guardava Tommaso con i suoi occhi pieni di misericordia. Le letture della Messa di oggi ci fanno contemplare un crescendo di misericordia: gli Atti degli Apostoli ci dicono come condizione necessaria per il perdono sia la conversione, Giovanni nella sua lettera ci dice come se qualcuno che ha peccato può trovare in Gesù un avvocato, qualcuno che invece di chiedere il resoconto del male fatto dall’uomo offre la vita per l’uomo, e la offre non soltanto per chi crede in lui, ma anche per il mondo, cioè per tutti gli uomini, anche i più distanti da lui. Il Vangelo lega in modo strettissimo l’essere testimoni del risorto con la predicazione della conversione ed il perdono.
La Chiesa è nata dal cuore trafitto di Cristo1 e San Tommaso, perdonato della sua incredulità, ebbe l’impegnativo dono di mettere la sua mano nel costato e di arrivare vicino al Cuore del Crocifisso risorto. Toccò l’uomo e riconobbe Dio, che gli manifestava ancora una volta la Sua misericordia.
La sua conversione non fu tanto un movimento esteriore, quanto un cammino interiore come aveva fatto la Maddalena, quando nel giardino dove c’era il sepolcro vuoto, si voltò indietro e vide Gesù che stava vicino a lei in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Alla domanda “Donna, perché piangi? Chi cerchi?”. Lei, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Lei allora, voltatasi verso di lui, gli disse: “Rabbunì!”, che significa: Maestro!
Questo episodio evangelico descrive in che cosa consiste la conversione. San Giovanni dice che Maria di Magdala si volta verso Gesù due volte... E’ già girata verso di lui, che senso ha allora il secondo voltarsi verso di lui? E’ un volgersi interiore, è quel cambiamento che avviene in noi e che rende gli occhi del cuore capaci di riconoscere la presenza nuova del Signore Risorto. Mi pare che sia questo il cammino di conversione: per poter ricevere il perdono è necessario orientare la propria vita a colui che ha annunciato, vissuto, dato il perdono. In fondo credo che proprio perché avvenga questo riconoscimento Gesù insiste così tanto nel dire: Sono proprio io!
Bellissimo che il riconoscimento avvenga ancora una volta attraverso la voce che chiama: “Maria”, la voce che spiega le Scritture lungo il cammino verso Emmaus, le mani che spezzano il pane, eucaristicamente. Grazie a questo incontro, i due discepoli che hanno ricevuto, accolto Cristo, che ha camminato e mangiato con loro, si affrettano a tornare a Gerusalemme. Vi tornano per annunciare il Vangelo di misericordia: Cristo è davvero risorto e si è fatto compagno della loro miseria.
2) Testimoni del Misericordioso.
Nel Vangelo di oggi, San Luca rivela un’evidente preoccupazione apologetica, e cioè quella di affermare la realtà e la concretezza della risurrezione. Gesù risorto ha un vero corpo. Entra di nuovo nel Cenacolo saluta, domanda e rimprovera, invita a rendersi conto della sua verità, mostra le mani e i piedi e, infine, mangia davanti ai discepoli.
Questi hanno una reazione umanamente comprensibile: sono sconcertati, impauriti, turbati, dubbiosi, stupiti e increduli. Sono anche presi dalla gioia, che se pure in modo diverso dalla paura, rende increduli: “Ancora non credevano per la gioia”. Dopo la risurrezione, i discepoli restarono dubbiosi e increduli, sia perché si trovavano davanti a un fatto assolutamente nuovo, sia perché si imbattono in una sorpresa troppo bella, desiderata, preannunciata da Cristo ma da loro ritenuta impossibile.
Finalmente, grazie alla riconoscenza (gratitudine) per l’amore manifestato dalle piaghe gloriose, dal pane eucaristicamente spezzato ad Emmaus, dalla pace effusa su di loro nel Cenacolo, i discepoli hanno riconosciuto che Cristo era davvero risorto e sentirono il “dovere” di testimoniarLo.
Visitati da Cristo che si manifestò loro con segni di misericordia, i discepoli hanno creduto al suo Amore appassionato, di cui Lui ha dato prova affrontando la passione, ha mostrando le ferite d’amore: le stigmate. Fu quindi naturale per loro seguire l’invito di diventare testimoni appassionati di questo amore. Perché l’amore si “paga” con l’amore.
Di conseguenza, la testimonianza della risurrezione di Cristo è efficace e credibile solo se anche noi, discepoli del Risorto, mostriamo al mondo le nostre mani e i nostri piedi segnati da opere di amore, dalle opere di misericordia.
Le tre letture della Messa di questa domenica sono unite da questo filo rosso: la conversione e il perdono dei peccati. Ambedue –conversione e perdono- hanno la loro radice nella Pasqua di Gesù e sono parte essenziale dell’annuncio missionario della Chiesa, come ha pure ricordato Papa Francesco nella Bolla di indizione dell’Anno della Misericordia (11 aprile 2015) . Negli Atti degli Apostoli, il giorno di Pentecoste San Pietro dichiara nella piazza pubblica: “Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati” (At 3,19, Prima Lettura). L’Apostolo esorta in modo paterno i “figlioli” a non peccare, ma se ciò capitasse, ricorda che c'è sempre una tavola di misericordia: “abbiamo un avvocato... Gesù Cristo il giusto... vittima di espiazione per i peccati di tutto il mondo” (1 Gv, 2,1-2, Seconda Lettura).
Nella terza lettura, presa dal Vangelo di San Luca “la conversione e il perdono dei peccati” sono la bella notizia che i discepoli dovranno predicare “a tutte le genti”, nel nome, cioè per mandato di Gesù (Lc 24,47).
Un esempio particolare di questa evangelizzazione è dato dalle Vergini consacrate nel mondo, che - in una società che rischia di essere soffocata nel vortice dell'effimero e dell'utile, del calcolo e della rivalità -sono segno di gratuità e d’amore.
La vita consacrata si caratterizza per la sua assoluta gratuità: è un dono che si riceve da Dio, si vive per Dio solo, e a Dio ritorna passando attraverso la preghiera di lode e di supplica e il servizio di carità.
Le persone consacrate sono chiamate in modo particolare ad essere testimoni di questa misericordia del Signore, nella quale l'uomo trova la propria salvezza. Esse tengono viva l’esperienza del perdono di Dio, perché hanno la consapevolezza di essere persone salvate, di essere grandi quando si riconoscono piccole, di sentirsi rinnovate ed avvolte dalla santità di Dio quando riconoscono il proprio peccato. Per questo, anche per l’uomo di oggi, la vita consacrata rimane una scuola privilegiata della “compunzione del cuore”2 (Benedetto XVI, 2 febbraio 2010). Queste donne testimoniano che, grazie alla verginità, è possibile vivere un amore consacrato nel mondo e che, grazie ad una vita lietamente e totalmente offerta, l’amore di Dio è davvero credibile.
La vergine consacrata nel mondo testimonia che la sua vita è Dio e Dio non è un discorso, non è un’idea: è una realtà della quale la persona consacrata vive e che fa presente agli uomini.
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LETTURA PATRISTICA
Guerric d’Igny,
Sermo I, in Pascha, 4-5
Cristo e la vera risurrezione e la vita
Come sapete, quando egli "venne" a loro "a porte chiuse e stette in mezzo a loro, essi, stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma (Jn 20,26 Lc 24,36-37); ma egli alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo" (Jn 20,22-23). Poi, inviò loro dal cielo lo stesso Spirito, ma come nuovo dono. Questi doni furono per loro le testimonianze e gli argomenti di prova della risurrezione e della vita.
È lo Spirito infatti che rende testimonianza, anzitutto nel cuore dei santi, poi per bocca loro, che "Cristo è la verità" (1Jn 5,6), la vera risurrezione e la vita. Ecco perché gli apostoli, che erano rimasti persino nel dubbio inizialmente, dopo aver visto il suo corpo redivivo, "resero testimonianza con grande forza della sua risurrezione" (Ac 4,33), quando ebbero gustato lo Spirito vivificatore. Quindi, più proficuo concepire Gesù nel proprio cuore che il vederlo con gli occhi del corpo o sentirlo parlare, e l’opera dello Spirito Santo è molto più poderosa sui sensi dell’uomo interiore, di quanto non lo sia l’impressione degli oggetti corporei su quelli dell’uomo esteriore. Quale spazio, invero, resta per il dubbio allorché colui che dà testimonianza e colui che la riceve sono un medesimo ed unico spirito? (1Jn 5,6-10). Se non sono che un unico spirito, sono del pari un unico sentimento e un unico assenso...
Ora perciò, fratelli miei, in che senso la gioia del vostro cuore è testimonianza del vostro amore di Cristo? Da parte mia, ecco quel che penso; a voi stabilire se ho ragione: Se mai avete amato Gesù, vivo, morto, poi reso alla vita, nel giorno in cui, nella Chiesa, i messaggeri della sua risurrezione ne danno l’annuncio e la proclamano di comune accordo e a tante riprese, il vostro cuore gioisce dentro di voi e dice: «Me ne è stato dato l’annuncio, Gesù, mio Dio, è in vita! Ecco che a questa notizia il mio spirito, già assopito di tristezza, languente di tiepidità, o pronto a soccombere allo scoraggiamento, si rianima». In effetti, il suono di questo beato annuncio arriva persino a strappare dalla morte i criminali. Se fosse diversamente, non resterebbe altro che disperare e seppellire nell’oblio colui che Gesù, uscendo dagli inferi, avrebbe lasciato nell’abisso. Sarai nel tuo diritto di riconoscere che il tuo spirito ha pienamente riscoperto la vita in Cristo, se può dire con intima convinzione: «Se Gesù è in vita, tanto mi basta!».
Esprimendo un attaccamento profondo, una tale parola è degna degli amici di Gesù! E quanto è puro, l’affetto che così si esprime: «Se Gesù è in vita, tanto mi basta!». Se egli vive, io vivo, poiché la mia anima è sospesa a lui; molto di più, egli è la mia vita, e tutto ciò di cui ho bisogno. Cosa può mancarmi, in effetti, se Gesù è in vita? Quand’anche mi mancasse tutto, ciò non avrebbe alcuna importanza per me, purché Gesù sia vivo. Se poi gli piace che venga meno io stesso, mi basta che egli viva, anche se non è che per se stesso. Quando l’amore di Cristo assorbe in un modo così totale il cuore dell’uomo, in guisa che egli dimentica se stesso e si trascura, essendo sensibile solo a Gesù Cristo e a ciò che concerne Gesù Cristo, solo allora la carità è perfetta in lui. Indubbiamente, per colui il cui cuore è stato così toccato, la povertà non è più un peso; egli non sente più le ingiurie; si ride degli obbrobri; non tiene più conto di chi gli fa torto, e reputa la morte un guadagno (Ph 1,21). Non pensa neppure di morire, poiché ha coscienza piuttosto di passare dalla morte alla vita; e con fiducia, dice: «Andrò a vederlo, prima di morire».
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NOTE
1 Cfr Sant'Ambrogio, Expositio evangelii secundum Lucam, 2, 85-89: CCL 14, 69-72 (PL 15, 1666-1668)
2 La compunzione del cuore porta in sé il sigillo della carità divina, del puro amore a Dio. La vera compunzione, infatti, è dono dell'Altissimo, è il dolore soprannaturale che penetra nel cuore dell'uomo al pensiero della Passione di Cristo, al ricordo delle proprie colpe, alla constatazione del prolungarsi dell'esilio terreno che separa da Dio, unica felicità dell'anima viatrice. Tutto ciò fa sgorgare quelle salutari lacrime, dell’anima piuttosto che degli occhi, alle quali neppure Dio sa resistere.