mercoledì 18 settembre 2013

Omosessualità, omofobia e parole del Papa Francesco


Un comico, un vescovo e l'enigma Francesco

giacomo
“Mi pare che si debba ancora capire davvero chi è questo papa. Io da lui mi aspetto anche, come papà, che mi aiuti ad orientarmi nel mondo di oggi. Quando sento che in Francia non ci sarà più la festa della mamma, ma del ‘genitore uno’ o del ‘genitore due’, sono curioso di sapere cosa ne pensa il papa”.
Così conclude una sua intervista a “Credere”, rilanciata da “Avvenire” del 17 settembre, Giacomo Poretti, uno dei più famosi attori comici italiani, del trio Aldo, Giovanni e Giacomo. Un’intervista nella quale egli racconta il suo ritorno alla fede.
Ma non è solo sua l’impazienza di fronte alle rare parole di papa Francesco sui temi cruciali del nascere, del morire, del generare.
Negli Stati Uniti c’è un vescovo che sul suo giornale diocesano, nel tracciare un bilancio dei primi sei mesi di questo pontificato, a un certo punto dice qualcosa di molto simile:
“Sono un po’ deluso dal fatto che papa Francesco non abbia detto molto, almeno per quanto ne sappia, dei figli non nati, dell’aborto. In tanti l’hanno notato. Penso che sarebbe bene che papa Francesco affronti in modo più diretto il male dell’aborto e incoraggi chi si impegna nei movimenti pro-life. Una cosa è per lui avvicinare, abbracciare e baciare neonati e bambini come fa in tante occasione. Ma sarebbe per me altrettanto meraviglioso se lui avvicinasse, abbracciasse e baciasse in forma spirituale dei bambini non nati”.
Il vescovo è Thomas J. Tobin, della diocesi di Providence, nel Rhode Island.
Nell’intervista, su almeno altri quattro punti questo vescovo avanza delle critiche all’attuale pontefice.
Sulla scelta di abitare a Santa Marta:
“Questo è sicuramente un gesto apprezzabile. Ma per ragioni di semplicità e di umiltà egli ha ora occupato due edifici invece di uno solo, con i conseguenti problemi di sicurezza. E quando ha deciso di non recarsi nell’estate a Castel Gandolfo aveva naturalmente il diritto di farlo, ma la cosa ha avuto un impatto sulla popolazione di Castel Gandolfo, sui negozianti, sui ristoratori, sui bus turistici, sui souvenir, eccetera”.
Sull’adattamento al suo nuovo ruolo:
“È molto diverso essere l’arcivescovo di Buenos Aires ed essere il romano pontefice, il vicario di Cristo, il pastore della Chiesa universale. Penso che sia una grossa sfida per lui adattarsi a questo cambiamento, mantenendo la sua personalità e le sue preferenze”.
Sulla riforma della curia e delle finanze vaticane:
“Devo dire che finora si è mosso piuttosto lentamente. In sostanza ciò che ha fatto finora è la nomina di tre commissioni, una cosa che si è fatta tante volte nella Chiesa, ogni volta che c’è da studiare e da tentare di cambiare qualcosa. Quindi è troppo presto per dire quali cambiamenti effettivi ci saranno e se egli sarà realmente capace di realizzare una riforma sostanziale dell’amministrazione centrale della Chiesa”.
Sull’affermazione di papa Francesco “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà ma chi sono io per giudicarla?”:
“È una delle frasi più fraintese nella storia recente della Chiesa. Queste semplici parole ‘Chi sono io per giudicare?’ sono state usate e abusate un mucchio di volte da coloro che vogliono piegarle ai loro disegni. Ma è chiaro che il Santo Padre non ha alcuna intenzione di cambiare l’insegnamento della Chiesa. Penso che chiunque studi la questione seriamente sa ciò che egli intende significare con questo. Ma questo ha anche prodotto in molte persone, compresi vescovi e cardinali, una certa dose di angoscia, nel cercare di spiegare che cosa il Santo Padre ha inteso dire con i suoi commenti a braccio”. (S. Magister)

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Omosessualità, omofobia e parole del Papa Francesco

USA, festeggiamenti dopo sentenza Corte Suprema su nozze gay
di Marco Invernizzi – Roberto Marchesini 
In questi giorni, soprattutto nella rete informatica, si dibatte e si discute sulla prossima legge contro l’omofobia. Quello che colpisce è l’assoluta contraddittorietà della posizione di molti cattolici: condividono la premessa fondamentale dell’attivismo gay, ma non vogliono accettarne le conseguenze. Qual è questa premessa fondamentale?
Quando si parla di omosessualità la questione è una sola; da questa discendono tutte le altre. La domanda è: l’omosessualità è una natura, una essenza, si nasce così, Dio ha voluto che alcune persone avessero questa “cosa”? Oppure è un disordine oggettivo, è accidente e non sostanza, non appartiene alla natura umana? Questa è la domanda fondamentale alla quale si aggrappa ogni altro discorso.
Perché se l’omosessualità è naturale, se si nasce così, se alcune persone “sono” nella propria natura omosessuali, allora hanno ragione i gay. Non ha senso imporre a queste persone una croce per una tendenza assolutamente naturale; non ha senso tentare di cambiare la loro natura; non ha senso ostacolare le loro unioni, anche se la società (o il moralismo) dovesse pagare un prezzo. Non ha senso impedire loro di adottare e concepire figli. Se così è, se l’omosessualità è una essenza, allora la Bibbia sbaglia a considerare gli atti omosessuali una grave depravazione; allora è sbagliato anche il Magistero, e la Chiesa deve chiedere perdono e vergognarsi per le gravi sofferenze che inutilmente ed erroneamente ha imposto a queste persone.
Ma se la Bibbia si è sbagliata, se il Magistero si è sbagliato, allora il cattolicesimo non è la religione voluta da Dio, è solo una morale, una filosofia, una credenza sbagliata, e ciò che è sbagliato merita di scomparire dalla faccia della terra. Se l’omosessualità è una natura, una essenza, allora è giusto militare per i diritti di queste persone. Ed è giusta anche la legge contro l’omofobia: bisogna vietare che un’idea sbagliata, e dolorosa, continui a circolare.
Se invece l’omosessualità è un disordine oggettivo, se non si nasce così, se non fa parte del progetto di Dio per gli uomini, allora tutto cambia. Da un disordine non possono discendere dei diritti; non è giusto far tacere chi denuncia l’errore con apposite leggi; è giusto che chi desidera uscire da questo disordine abbia la possibilità di farlo.
È bene ricordarlo: il matrimonio gay, l’omogenitorialità, la legge contro l’omofobia, non sono obiettivi del movimento gay. Sono strumenti, mezzi. L’obiettivo è quello di ottenere un cambiamento nella mentalità comune. Ciò che i gay vogliono è che le persone siano convinte che l’omosessualità sia una natura, una essenza, e non un disordine oggettivo. I militanti omosessualisti lo affermano esplicitamente. Ricordiamo ad esempio quanto scrive lo storico del movimento gay in Italia, Gianni Rossi Barilli (Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano 1999, p. 212):
«Si apre un pubblico dibattito sulle unioni civili, che sempre più diventano la questione prioritaria nell’agenda dell’Arcigay. E questo non accade perché migliaia di coppie omo scalmanate diano l’assedio al quartier generale per poter coronare il loro sogno d’amore. Anzi, il numero delle coppie disposte a impegnarsi per avere il riconoscimento legale è addirittura trascurabile [...]. Ma il punto vero è che le unioni civili sono un obiettivo simbolico formidabile. Rappresentano infatti la legittimazione dell’identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà come quelle sul divorzio o sull’aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra tutti la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la torta nel forno e le tendine alle finestre, come l’ha definito una voce maligna. Il messaggio è più o meno il seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone splendide, affidabili ed equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia. Con questo look “affettivo” non esente da rischi di perbenismo si fa appello ai sentimenti più profondi della nazione e si vede a portata di mano il traguardo della normalità».
Lo spiega, in modo esplicito e sintetico, Franco Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, parlando addirittura di «matrimonio» gay (C. Sabelli Fioretti intervista F. Grillini, Gay. Molti modi per dire ti amo, Aliberti, Reggio Emilia 2007, pp. 11-12):
Claudio Sabelli Fioretti: Ma perchè volete sposarvi?
Franco Grillini: Intanto è una questione di principio. I cittadini omosessuali devono essere considerati alla stregua di qualunque altro cittadino e quindi devono avere gli stessi diritti. Gli eterosessuali hanno il diritto di sposarsi. Perché gli omosessuali no?
CSF: La questione di principio l’ho capita. Ma mi chiedo perché abbiate questo desiderio. Un desiderio che negli eterosessuali va scemando…
FG: L’esistenza di una legge che consenta alle persone omosessuali di accedere all’istituto del matrimonio o agli istituti equivalenti non implica l’obbligo di usarla. Basta che ci sia. Se poi uno vuole la usa, se non vuole non la usa. L’esistenza di un diritto non obbliga di avvalersi di questo diritto.
CSF: Come l’aborto.
FG: Bravissimo! È esattamente come l’aborto. Nessuno è obbligato ad abortire. Però deve esserci la libertà di farlo. Una legge ha solo il compito di garantire un diritto ma è anche un fatto educativo. Se esiste una legge che consente agli omosessuali di sposarsi o di accedere a un istituto simile è ovvio che diventa un fatto culturale perché si riconosce nei fatti l’esistenza delle persone omosessuali e si garantisce dignità alle persone omosessuali, anche a quelle che non si sposano, anche a quelle che non utilizzano i Pacs o i Dico. Insomma, la battaglia è rilevante prima di tutto sul piano simbolico, dell’uguaglianza, dell’equità.
È insensato, stupido e temerario opporsi alla legge contro l’omofobia, ai matrimoni omosessuali, all’omogenitorialità se si condivide la premessa fondamentale dell’attivismo omosessualista. Ora il Papa, tornando dal Brasile, in una risposta a un giornalista ha ricordato il dovere dei cristiani di accogliere gli omosessuali e di non giudicarli, come spiega anche il Catechismo della Chiesa Cattolica. Molti hanno esultato, forse dimenticando che da anni il Catechismo impone questa accoglienza. Infatti chi accoglie gli omosessuali senza sfruttarli sono proprio coloro che non li giudicano per la loro diversità, ma chiamano per nome il loro dolore, la loro “croce”, e li aiutano a portarla indicando loro la possibilità di uscire dal loro disagio. Ma la medaglia dell’accoglienza ha anche un’altra faccia: il riconoscimento che questa croce è la conseguenza di una tendenza disordinata. Perché delle due l’una: o il disagio è reale e si può portare come una “croce”, chiedendo a Dio la Grazia per sopportarlo, oppure è una tendenza normale e allora hanno ragione i movimenti gay.
Per questo il Catechismo della Chiesa Cattolica, nello stesso paragrafo, il 2358, afferma che l’omosessualità è una «inclinazione, oggettivamente disordinata». Perché se così non fosse allora non ci sarebbe neppure bisogno di un’accoglienza particolare. E, d’altra parte, se ci fosse solo il giudizio senza l’accoglienza, il cristianesimo sarebbe ridotto a una dottrina che giudica, ma non sa e non prova neppure a guarire la persona bisognosa. Papa Francesco ha fatto benissimo a non cadere nella trappola dei giornali laicisti che vorrebbero inchiodare i cattolici come cattivi perché nemici dei gay, ricordando che, proprio a norma di Catechismo, i cattolici sono tenuti ad accoglierli come persone che subiscono una tendenza disordinata, e di fatto li aiutano come nessuno fa. Sarebbe auspicabile che noi cattolici ci ricordassimo di rileggere tutto il paragrafo del Catechismo:
Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
fonte: Tempi.it