«La Sindone? Una traccia che ci può condurre a Cristo»
Parla don Repole, presidente dell’Associazione Teologi Italiani: «Lo sguardo scientifico e quello della fede non sono in contraddizione, ma su piani diversi»
MAURO PIANTATORINO
«La Sindone? Mi piace definirla una traccia che ci può condurre a Cristo. E comunque, contemplando quel volto, non riesco a non commuovermi…». Don Roberto Repole, torinese, è il presidente dell’Associazione Teologi Italiani. In questa intervista con Vatican Insider ragiona a tutto campo sul rapporto tra la riflessione teologica e la Sindone.
Qual è oggi l’atteggiamento della teologia nei confronti della Sindone?
«In termini generali direi che prevale la prudenza: la teologia non trova il proprio oggetto nella Sindone, ma nella Rivelazione, attraverso il doppio binario della Scrittura e della Tradizione. Al contempo, però, sarebbe ingiusto immaginare da parte della riflessione teologica un atteggiamento di indifferenza. Quel lino, infatti, “incorpora” una particolare capacità di rimandarci proprio a ciò che la Scrittura racconta della Passione e della morte di Gesù».
Cosa prova, dal punto di vista personale, al cospetto di quel misterioso volto?
«Per me rappresenta appunto un rimando molto intenso alla memoria vivente di Gesù che ha donato se stesso per noi. Mi piace definirla una traccia per essere ricondotti a Cristo. Quell’immagine, a prescindere – ripeto - dalla veridicità storica dell’oggetto, è talmente vicina al racconto del Vangelo che non può non commuovermi».
In cosa la Sindone può aiutare la vita di fede di noi “cristiani della strada”?
«Il credente è un essere umano che sa conservare uno sguardo contemplativo sulla realtà. Egli vede lo splendore del sole, l'immensità del mare, la maestà delle montagne, le geometrie di una foglia, la bellezza di un fiore, il volto del fratello... ed è portato a vedervi un rimando a Colui che ha creato tutto ciò e che, nel creare, ha detto qualcosa di Sé. Gli “occhi della fede” – secondo la felice espressione che fu di Rousselot – gli consentono così di vedere tutta la realtà quale traccia di quel Dio che si è manifestato e comunicato in modo pieno nella Pasqua di Gesù. Ecco, forse la Sindone può essere un aiuto per “educare” questo sguardo. Che non è affatto in contrapposizione con quello della scienza, semplicemente si pone su un piano diverso. Posso guardare una montagna e vederci un rimando al Creatore, oppure solo un agglomerato chimico e geologico. Siamo abituati a pensare che lo sguardo “scientifico” sia l’unico possibile ma non è così…».
Dunque non deve stupire che la Sindone sia comunque importante per un credente…
«Direi di no. Essa è certamente capace di accendere la dimensione critica dell'intelligenza, che si pone le domande circa la sua autenticità, i suoi passaggi lungo la storia, il suo essere davvero il telo che ha avvolto il corpo di Cristo sulla base delle prove scientifiche di cui si può disporre. Nondimeno, essa accende nel cristiano anche quella dimensione contemplativa dell'intelligenza, grazie alla quale vedendo il telo sindonico, egli è spontaneamente portato a ricordare il suo Signore».
Lei ha scritto delle pagine particolarmente profonde sul legame tra la Sindone e il Sabato Santo…
«Si potrebbe sinteticamente affermare che lo sguardo al corpo impresso nel telo sindonico è capace di evocare i due aspetti fondamentali del mistero del sabato santo del Figlio di Dio fatto uomo: il suo discendere fino al punto più basso, fino agli abissi estremi della morte; e il valore salvifico universale della sua morte che, proprio attraverso questa kenosi (Dal greco “svuotamento”, ndr) estrema è capace di raggiungere tutti gli uomini di tutti i tempi, anche quanti vissero e morirono prima – dal punto di vista cronologico – dell'incarnazione del Figlio di Dio. Il sabato santo rappresenta per il Figlio di Dio fatto uomo non soltanto la sua morte, ma una discesa fino all'estremità del regno dei morti. Si tratta della convinzione che Egli ha vissuto la morte in una solitudine e in una “privazione di Dio” estreme, più grandi di quelle sperimentate da qualunque altro uomo. Ora, contemplando la Sindone, il credente è spontaneamente portato ad andare con la “memoria del cuore” a questi inferi in cui, accogliendo la morte, Gesù ha accettato di entrare. Ma il credente che contempla la Sindone vive anche la dimensione del suo sabato santo: quello della fiducia, della speranza e dell'attesa».
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A Torino per l’ostensione della Sacra Sindone
(di Roberto de Mattei) La prossima ostensione della Sacra Sindone avverrà a Torino dal 19 aprile al 24 giugno 2015. Dopo cinque anni dall’ultima esposizione i pellegrini potranno nuovamente venerare il Sacro Lino esposto in duomo, in occasione dei 200 anni dalla nascita di san Giovanni Bosco.
La Sindone è il lenzuolo funebre nel quale fu avvolto il Corpo di Nostro Signore nel sepolcro. Essa è ricordata dai vangeli sinottici (Marco 13, 46; Matteo, 27, 59; Luca, 23, 53) e, come “soudarion”, anche in quello di san Giovanni. Non è una semplice “icona”, cioè una delle innumerevoli “immagini” di Nostro Signore Gesù Cristo diffuse in tutto il mondo, ma un’autentica reliquia, la più preziosa della Cristianità, pregata nel corso dei secoli da Papi, santi e milioni di semplici fedeli.
L’invenzione della fotografia ha sollevato un velo sul mistero della Sindone, che per quasi 2000 anni aveva celato il suo contenuto. La figura del Redentore impressa sul tessuto si presenta infatti come un negativo fotografico che raffigura tutta una serie di particolari che nessun pittore avrebbe potuto immaginare e dipingere senza conoscere il processo fotografico.
L’uomo della Sindone, che è Gesù, riassume e concentra in sé tutto il dramma della Passione. L’esattezza storica del Vangelo per quanto riguarda la flagellazione, l’incoronazione di spine, la crocifissione, la ferita al costato di Nostro Signore, riceve una straordinaria prova dalla Sindone. L‘immagine impressa nel Lenzuolo conferma la profezia di Isaia: «Dalla pianta del piede alla testa non c’è in lui una parte intatta; ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state pulite né fasciate, né curate con olio» (Is 1, 6).
Perché queste sofferenze? La nostra fede ci insegna che Gesù è venuto al mondo per redimere l’uomo dal peccato di Adamo, a causa del quale sono entrati nel mondo tutti i mali fisici e morali dell’universo. «Per un uomo – scrive san Paolo – entrò nel mondo il peccato e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini perché in lui tutti hanno peccato» (Rom 5, 12). Da allora l’uomo nasce, vive e muore nella sofferenza. Tutta l’umanità sofferente è stata però riscattata da Gesù Cristo. La Sindone ci ricorda che la vita dell’uomo, in seguito al peccato originale, è sofferenza, ma che tutte le sofferenze sono state assunte da Colui che è senza peccato e che in Lui possiamo trovare la risposta ai nostri dolori.
Nulla eleva l’uomo più della sofferenza liberamente accettata e coraggiosamente subita. Uno dei maggiori inganni della vita consiste nel pensare che sia possibile essere felici, evitando la sofferenza. In realtà l’uomo che non soffre è infelice, perché è privo di quella gioia che nasce dal dare un significato alla propria sofferenza. Le creature irrazionali soffrono senza poter dare un significato alla loro sofferenza. L’uomo invece, attraverso la sua intelligenza, può comprendere che il dolore è conseguenza del peccato, originale e attuale, e a questo dolore può dare un senso per riparare ed espiare il peccato, in unione con Gesù Cristo.
La Sindone, che è la vera immagine dell’Uomo-Dio, ci insegna anche come soffrire. Nei momenti di angustia e di dolore, fisico o morale, guardiamo all’Uomo della Sindone. La sua fisionomia è sfigurata, ma ciò che colpisce è proprio il contrasto tra le conseguenze delle percosse subite e la pacifica maestà del suo volto. Gesù ci offre il modello di quell’atteggiamento di pazienza, di serietà, di raccoglimento, con cui dobbiamo sopportare le contrarietà, i sacrifici e le avversità che inevitabilmente segnano la nostra vita. Ma alla pazienza deve accompagnarsi sempre un’immensa fiducia in Colui che, morendo, ha sconfitto la morte.
La Santa Sindone non ci dimostra solo la verità della Passione di Cristo, ma ci offre anche un’impressionante prova della sua Resurrezione. Gli scienziati che hanno studiato il Sacro Lino affermano infatti che solo una misteriosa energia, una irradiazione improvvisa e folgorante potrebbe avere impresso l’immagine in negativo sul telo; in una parola solo la Risurrezione da morte dell’Uomo flagellato e crocifisso sotto Ponzio Pilato, può spiegare la misteriosa origine della Santa Sindone. Egli aveva promesso di risorgere il terzo giorno e la Risurrezione costituì la prova suprema della sua divinità, il grande miracolo che riunisce e riassume in sé tutti i miracoli e tutte le profezie. Gesù risorge trionfante non allegoricamente o spiritualmente, come vorrebbe una certa teologia progressista, ma visibilmente, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità. La Santa Sindone registra ora, sul “negativo”, l’irradiazione abbagliante del suo Corpo glorioso, “fotografando” la Risurrezione e offrendoci un nuovo argomento, per affermare che solo nella Chiesa cattolica possiamo trovare la nostra salvezza.
Nel Vangelo trasmesso ai Corinzi san Paolo ricorda quelle verità fondamentali che gli Apostoli annunciavano per prime nella loro predicazione e cioè la Morte e la Risurrezione di Gesù Cristo. Se Cristo non fosse morto e risuscitato, la Redenzione non sarebbe avvenuta. La Risurrezione è il fondamento della nostra fede. Da un uomo, Adamo, venne la morte e da un altro uomo, un uomo-Dio, è venuta la vita. Come in Adamo tutti muoiono, così tutti in Cristo saranno vivificati. Tutta l’umanità, afferma sant’Agostino, si riassume: «nella storia di due uomini di cui uno ci ha perduti in sé, facendo la sua volontà e non quella di Colui che l’aveva creato, l’altro invece ci ha salvati in sé, facendo non la sua volontà, ma quella di Colui che l’aveva mandato. Nella storia di questi due uomini sta tutta la fede cristiana». La Settimana Santa riassume questo dramma e, nella notte di Pasqua, la liturgia della Chiesa ci affida il suo messaggio di speranza e di vittoria.
La Pasqua, dice dom Guéranger, è la proclamazione del regno dell’Agnello immolato, è il grido degli eletti nel cielo: «Ha vinto il leone della tribù di Giuda, la radice di Davide!» (Ap 5, 5). Gesù si è risvegliato, si è levato in piedi «quale agnello per noi, leone per i suoi nemici», unendo d’ora in avanti gli attributi della forza e della dolcezza. La forza, con cui dobbiamo combattere i nemici della nostra fede, e la carità, che dobbiamo esercitare verso i nostri fratelli.
La Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo fu il cardine della predicazione apostolica e deve essere il fondamento della nostra fede. La Sindone ne rappresenta un compendio visibile e commovente. È per questo che anche noi andremo a Torino a venerare la santa reliquia.