martedì 7 aprile 2015

Giovanni Paolo I e l’aborto



di Lorenzo Bertocchi
Un papato lungo 33 giorni. Un soffio. Papa Luciani non ha fatto neanche in tempo ad ambientarsi nei sacri palazzi che il Signore lo chiamò al Cielo, eppure ancora oggi tutti ricordano il suo tratto dolce, il sorriso, la profonda semplicità. Un papa che molti accostano allo stile e al sentire di Papa Francesco.
Questa sera, 7 aprile, su Rai Storia andrà in onda uno speciale dedicato proprio a Giovanni Paolo I, a cura di Paolo Mieli e con la consulenza del vaticanista Andrea Tornielli.
Tanto per sgomberare subito il campo ricordiamo ai lettori che nel 2012, mons. Enrico dal Covolo, rettore della Lateranense e postulatore della causa di beatificazione di papa Luciani, ha dichiarato che “grazie alle testimonianze (167 persone sentite) e ai documenti medici raccolti, c’è la conferma definitiva che scagiona qualsiasi sospetto di morte indotta”. Una precisazione dovuta, perché sulla morte di Giovanni Paolo I si sono scatenate ipotesi di ogni tipo.
Uno sceneggiatore inglese, David Yallop, nel 1985 scrisse un libro – “In nome di Dio la morte di Papa Luciani” – che ha venduto qualcosa come 6 milioni di copie in giro per il mondo e che proponeva intrighi degni dei migliori romanzi gialli. Qual è la tesi di Yallop? Molto semplice: papa Luciani voleva fare pulizia in Vaticano e non la poteva passare liscia. Non solo. Alla sua fine terribile avrebbe contribuito anche il fatto che era un liberale in materia di pillola anticoncezionale e controllo delle nascite, quindi, a maggior ragione, gli si doveva chiudere la bocca. Bisognava farlo fuori. “Perché voleva cambiare la Chiesa”, dice Yallop.
Le faccende dello Ior di Marcinkus e la questione della contraccezione - soldi e sesso - sono ingredienti perfetti per vendere copie. Peccato che le tesi di Yallop risultino traballanti e poco credibili. Marco Roncalli, pronipote di San Giovanni XXIII, in una corposa biografia di Albino Luciani ha parlato chiaramente di “decesso naturale” per un uomo dalla salute assai debole. Con ogni probabilità, quindi, le cose sono andate proprio così riguardo al decesso di papa Luciani, tuttavia bisogna riconoscere che qualche pasticcio, almeno nella gestione del caso, è stato fatto anche dalla Curia.
Ma, qualcosa di vero Yallop lo dice. Perché una delle questioni che più spesso tornano in ballo quando si parla di Giovanni Paolo I, riguarda proprio il suo essere stato possibilista sull’utilizzo della pillola anticoncezionale e, addirittura, per il riconoscimento delle “unioni civili”. Viene sempre citata una conferenza del 1968 in cui, a proposito della pillola, l’allora vescovo di Vittorio Veneto disse: “Speriamo che il Papa possa dire una parola liberalizzatrice”. Mentre per la questione del riconoscimento delle “unioni civili” si fa riferimento ad un’altra affermazione tratta dai suoi “pensieri alla famiglia” raccolti nel 1969.
Dopo la pubblicazione della “profetica” Humanae Vitae, il cardinale Luciani aderirà prontamente al magistero di Paolo VI. Anzi, ci sono parole che fanno pensare come non solo aderì come figlio della Chiesa, ma lo fece con convinzione. Subito dopo la promulgazione dell’enciclica, nel Bollettino della diocesi di Vittorio Veneto (n°7 – 1968) scrive: “Ora [il Papa Paolo VI] si pronuncia con la coscienza di assolvere un dovere e con grande spirito di fede. (…) sa che una soluzione diversa gli avrebbe procurato, probabilmente, più plausi umani; ma mette le sua fiducia in Dio e, per essere fedele alla sua Parola, ripropone l’insegnamento costante del Magistero nella delicatissima materia in tutta la sua purezza. Le recenti scoperte scientifiche? L’evoluzione sociale della nostra epoca? (…) Tutte queste cose vanno tenute presenti, ma non postulano una dottrina nuova. La dottrina di sempre, presentata nel quadro nuovo di idee incoraggianti e positive sul matrimonio e sull’amore coniugale, garantisce meglio il vero bene dell’uomo e della famiglia.” E nel 1974 in una conferenza a Recoaro Terme ribadisce che con Humanae Vitae il Papa “difende la dottrina ricevuta, andando scientemente incontro alla più dura delle impopolarità: nessuno potrà accusare la Chiesa di tutto edulcorare, di far camminare i suoi figli sulle sabbie mobili del relativismo e di tradire il suo mandato, che è quello di presentare agli uomini, in nome di Cristo e per amore degli uomini stessi, degli ideali difficili.” Per Albino Luciani è chiarissimo che “è stretta la porta e angusta la strada che conduce alla vita”.
Per quel che riguarda, invece, la questione delle “unioni civili” va detto che la presunta apertura si colloca nella strenua battaglia che l’allora vescovo stava combattendo contro la norma civile del divorzio. Una norma che non esitava a definire, citando il Vaticano II, una vera e propria “piaga”, di fronte alla “stabilità per ordinamento divino del matrimonio”.
Anche nei confronti dell’aborto Albino Luciani terrà una posizione di ferma condanna. “Questi sì che sono massacri! (…) la strage degli innocenti no! Pagare con denari dello Stato gli sgherri dei nuovi Erode no!”, scrive sul Bollettino della diocesi nel 1974. “Devo ricordare, concludeva, che non sempre ciò che è legale è anche morale. Pur permesso e pagato dallo Stato, l’aborto davanti a Dio resterà sempre un delitto e l’eutanasia resterà sempre omicidio o suicidio”.
Nel 1978, interpellato da un giornalista, sarà tra i primi ad esprimersi subito dopo la nascita di Louise Brown, la prima bimba nata da fecondazione extrauterina. Dopo alcune parole di accoglienza per questa bambina, perché tutti gli esseri umani sono voluti e amati da Dio, il vescovo Luciani dice a chiare lettere che “non è lecito porre l’artificio, perché Dio ha legato la trasmissione della vita umana alla sessualità coniugale”. Si pone poi una domanda che, letta oggi, in epoca di uteri in affitto, suona profetica. “Poste la fame di denaro e la spregiudicatezza morale d’oggi [1978, NdA], non ci sarà pericolo che sorga l’industria nuova detta “fabbrica di figli”, magari per chi non può o non vuole contrarre matrimonio valido?” Già, non ci sarà pericolo?
Non si può negare che Albino Luciani fosse un vescovo “contro i falsi miti di progresso”, perché, come disse sempre a proposito della nascita di Louise Brown, “il progresso è una gran cosa, ma non ogni progresso giova all’uomo”.
Lo aveva chiaro, anche per la vita della Chiesa. A proposito di un altro tema dibattuto, quello del sacerdozio femminile, in tempi non sospetti, 1975, disse la sua con molta franchezza. “Per volontà di Cristo la donna – a mio giudizio – svolge nella Chiesa un servizio diverso, complementare, prezioso, non inferiore a quello del sacerdote, ma “sacerdotabile” essa non è.”
Luciani era convinto difensore della dignità della donna in ogni ambito, fermo però sul fatto che si devono evitare false uguaglianze, quelle che “negano le distinzioni stabilite dallo stesso Creatore”. “Uomo e donna, infatti, se sono uguali per natura, non sono identici, non hanno né corpo identico, né psicologia identica: hanno le stesse facoltà, ma le esercitano in maniera diversa.” Non c’è che dire, Giovanni Paolo I era contro i falsi miti di progresso.
07/04/2015 La Croce quotidiano