sabato 18 aprile 2015

Kasper: Misericordia Empatia del mondo



Kasper: Misericordia Empatia del mondo 
da: Avvenire del 18 aprile 2015

'Povertà e potere' è il tema del convegno iniziato ieri ad Assisi (si chiude domani), promosso dall’associazione 'Argomenti 2000'. I lavori sono stati aperti dal cardinale Walter Kasper (in pagina un’ampia sintesi del suo intervento) e vedono impegnati in prima persona operatori nel sociale, del terzo settore e della politica. L’argomento centrale dell’incontro viene affrontato in due aspetti: 'Povertà nella Chiesa' e 'Povertà nella politica'. Il primo, viene affrontato questa mattina nella tavola rotonda coordinata da padre Giacomo Costa col cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, Gianni Di Cosimo ed Enrico Sarti. Segue il secondo incontro guidato da Johnny Dotti, con Stefano Granata, Gaetano Giunta, Enrico Loccioni e Rita Visini. Nella mattinata di domani intervengono Ernesto Preziosi, Pietro Barbieri, Roberto Gatti, Adnana Mokrani.

Povertà è un tema attuale nel nostro mondo ed è una sfida soprattutto per noi cristiani. Certo, povertà si trova anche da noi, in Occidente. Se faccio una piccola passeggiata attorno a San Pietro incontro non solo molti turisti, ma anche, soprattutto la sera, molti poveri che vivono sulla strada. Nelle periferie di Roma sono ancora molti di più. Grave la povertà nascosta di molti anziani, di molte famiglie, che non possono pagare l’affitto, la corrente, il gas o che alla fine del mese non hanno più soldi per mangiare, per le medicine. Il volto della povertà lo vediamo anche nelle nostre città nel mezzo di una civilizzazione cosiddetta di abbondanza. 


Il problema della povertà è ancora più grave nell’emisfero sud. Mi ricordo di molte visite negli slum in Africa, Asia, America Latina. Da ogni visita sono ritornato diverso. Lì abitano due terzi dei cristiani. Sono i nostri fratelli e sorelle. Poiché non sanno come vivere vengono da noi, bussano alle nostre porte, arrivano sulle nostre coste e chiedono asilo. Emigrazione e immigrazione sono oggi una realtà per molti milioni, sono segni dei tempi. Domandiamoci: ascoltiamo il grido dei poveri? O facciamo parte della globalizzazione dell’indifferenza? Se fosse così, non saremmo più degni di chiamarci cristiani.

Papa Francesco ha capito la sfida e sa interpretare i segni dei tempi. Lui ha il desiderio, pure il sogno, di una Chiesa povera per i poveri. Un programma che ha presentato già nei primi giorni del suo Pontificato e che ha ripetuto spesso; anzi, non solo ripetuto, ma sottolineato con gesti forti: le visita a Lampedusa, in Sardegna, in Albania. E col suo stile di vita semplice. Lui non è più il papa-imperatore, il papa-re, il papa-principe del passato. Ha chiuso definitivamente l’epoca di Costantino e iniziato una nuova era nella storia della Chiesa. 
Molti erano e molti sono ancora sorpresi e si chiedono: che cosa significa «Chiesa povera per i poveri»? Si domandano: come mai una Chiesa povera può aiutare i poveri? E ci si chiede ancora: il programma del Papa non è forse un programma irrealistico, utopico, romantico? 
Ma per comprendere il Papa si deve scavare più in profondità. Questo Papa non è né comunista né liberale, è un radicale nel senso originale di questa parola. Lui è radicale perché va alla radice del cristianesimo. Per questo Papa il punto di partenza e la norma sono solo il vangelo di Gesù Cristo. Non a caso la sua lettera apostolica ha il titolo Evangelii gaudium. 

Si può anche dire: Lui è un papa evangelico, certo non nel senso confessionale, ma nel senso originale di questo termine. Lui vuole un rinnovamento della Chiesa a partire dall’origine. Solo dalla sorgente si può attingere acqua fresca. E di questa acqua fresca abbiamo bisogno. La riforma della Chiesa, che oggi molti richiedono, non è un adattamento allostatus quo, alla situazione, al mondo. «Non conformatevi a questo mondo», dice l’apostolo Paolo. Riforma significa ritornare alla forma originale della Chiesa, alla Chiesa del nuovo Testamento, della primitiva Chiesa di Gerusalemme. Certo, non possiamo ripristinarla, ma dobbiamo plasmare la Chiesa in un modo costruttivo e creativo secondo il modello e secondo l’esempio delle origini. In ultima analisi dobbiamo plasmare la Chiesa e la vita di ogni cristiano secondo il modello e secondo l’esempio di Gesù. Questo è il significato della parola 'radicale'. Si tratta di vivere la radicalità della carità e della tenerezza con chi è povero. (...) Vivere la povertà del Vangelo vuol dire poi vivere la misericordia. Nel Sermone sulla montagna Gesù aggiunge alla beatitudine per i poveri un’altra beatitudine: «Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia» (Mt 5,7). E aggiunge: «Siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,38).

Che cosa è questa misericordia? Se partiamo dallo stesso termine, misericordia vuol dire avere un cuore per i miseri, avere compassione e lasciarsi muovere dalla sofferenza altrui. Gesù ci mostra che questa compassione non è solo una emozione; l’emozione del cuore deve diventare attiva e portarci a muovere le mani e i piedi per andare incontro e per aiutare l’altro. In questo senso Gesù raccontò la parabola del buon Samaritano: lui sentì compassione per il povero ferito e scese nel fango della strada, toccò e fasciò le sue ferite, lo portò nell’albergo e pagò tutte le spese per lui (Lc 10,29-37). 
Misericordia è un comportamento attivo che combatte attivamente la povertà e la miseria altrui e la povertà e la miseria nel mondo. La misericordia resiste all’ingiustizia e s’impegna per la giustizia e, come il buon Samaritano, va anche oltre la giustizia. La povertà non è un valore in se stesso, no, è una realtà da combattere e da superare. La misericordia vuol dire farsi povero condividendo i propri beni per superare la povertà degli altri. 

Il misericordioso si pone nella situazione dell’altro e si domanda: che cosa vorrei che l’altro mi facesse in tale situazione? Il misericordioso agisce secondo la regola d’oro, che per Gesù è il compendio di tutta la legge e dei profeti (Mt 7,12). È una regola di empatia e di simpatia, che chiede di oltrepassare il proprio io, di mettersi nella situazione dell’altro e di agire come io desidererei che l’altro agisse in tale situazione verso di me. Il misericordioso esce da se stesso; il misericordioso non è autocentrato e autoreferenziale, non è rinchiuso in se stesso, ma è un uomo che è pronto ad aprirsi all’altro. 

Eppure, oggi siamo davanti a nuove sfide. Il bisogno ha molte facce e cambia molto velocemente. Non è possibile regolare e prevedere ogni situazione individuale e chi prova a farlo finisce col creare un sistema burocratico pieno di regole. Pertanto abbiamo bisogno di uomini con gli occhi aperti, che siano attenti e si accorgano delle nuove individuali situazioni di bisogno. La misericordia individuale non vuole e non può sostituire la giustizia sociale, ma può essere l’ispirazione e la motivazione a darsi da fare. 

Sono necessarie persone che percepiscano il bisogno che spesso sorge inaspettatamente, e che si lasciano commuovere da esso; persone che abbiano un cuore, che si prendano a cuore gli altri e che nel caso concreto cerchino di aiutarli meglio che possono. Senza una simile misericordia la base motivazionale per un ulteriore sviluppo della legislazione sociale si perde. Pertanto, la nostra società non può cavarsela senza la misericordia. Oggi, davanti agli enormi problemi cui dobbiamo far fronte, senza una base religiosa, viene a mancare l’impulso emotivo necessario per impegnarsi per un mondo migliore. Senza la misericordia rischiamo che la nostra società si trasformi in un deserto. Possiamo, perciò, intendere la misericordia come il fondamento e la fonte innovativa e motivazionale della giustizia sociale. La misericordia, che è una virtù soprannaturale, ha la sua razionalità e la sua urgenza naturali. 
Avvenire