sabato 18 aprile 2015

La misericordia di Cristo



Da Padre Giovanni Cavalcoli
La recente Bolla pontificia di indizione dell’Anno Santo della Misericordia ci offre l’occasione per alcune riflessioni sulla misericordia che ci viene insegnata da Cristo, e che da Lui viene praticata, con particolare rifermento alla giustizia.
La misericordia in generale è quella propensione a sollevare il misero dalla sua miseria. La misericordia divina esercitata da Cristo per mandato e con la potenza di Dio Padre è l’atto col quale Cristo ha pietà dell’uomo peccatore, lo risolleva dalla miseria conseguente al peccato originale, gli dona la grazia del perdono, rimette o cancella la colpa, liberando col suo sacrificio espiatorio e soddisfattorio l’uomo dal meritato castigo, ridonandogli la vita perduta, estinguendo il debito contratto dall’uomo con Dio a causa del peccato.
L’esercizio della misericordia di Cristo nei nostri confronti suppone quindi un atto di riparazione offerta al Padre offeso dal peccato e comporta la restituzione dell’uomo al Padre riconciliandolo col Padre. Col sacrificio della croce Cristo risarcisce il Padre per la perdita dell’uomo fatto schiavo di Satana a causa del peccato, offrendo al Padre col suo sangue il prezzo del nostro riscatto. Egli estingue al nostro posto il debito contratto col Padre e il Padre ci accoglie di nuovo come suoi figli.
Il peccato, quindi, per la Bibbia è un male che l’uomo da sè non riesce a togliere o riparare: occorre il sacrificio di Cristo. E’ un debito che non può pagare: occorre la ricchezza della grazia di Cristo. É una malattia dalla quale da sè non può guarire: occorre Cristo medico; è un contrasto con Dio, che l’uomo da sè non riesce risolvere: occorre la mediazione di Cristo; è una vita perduta che da sè non può ridarsi: dev’essere rivivificato da Cristo; è una tenebra che non può dissipare:occorre la luce di Cristo; è un abisso dal quale da sè non può risalire: dev’essere risollevato da Cristo; è una macchia che da sè non può lavare: occorre il sangue di Cristo; è un’offesa che da sè non può riparare: occorre l’intercessione di Cristo.
Dio vuol salvare tutti e quindi offre a tutti in Cristo la misericordia che salva. Ma non tutti, per vari motivi, accettano o chiedono questa misericordia o, chiedendola male, non la ricevono. Alcuni, pensiamo per esempio agli atei ed ai panteisti, sentendosi alla pari di Dio o sostituendosi a Dio, si ritengono autosufficienti, per cui pensano di cavarsela da soli e ritengono quindi di non aver bisogno di alcuna misericordia; altri, come Giuda, sentono di aver peccato; ma non credono nella divina misericordia. Vedono solo un Dio punitore, mancano dell’umiltà necessaria per chiedere misericordia, non sono veramente pentiti, e quindi la respingono.
Altri non credono nella misericordia di Dio perchè sono perseguitati dalle sventure: se Dio fosse misericordioso, – essi dicono – mi verrebbe in soccorso; ma siccome non lo fa ed anzi continua lasciarmi nelle afflizioni, non lo considero misericordioso, ma crudele. Altri, come Lutero, si immaginano che la misericordia non rimetta i peccati, ma fa finta di non vederli; basta credere che comunque Dio mi perdonerà. Altri, come Rahner, ritengono che ogni uomo riceva misericordia e si salvi al vertice della sua autotrascendenza e non perda la grazia, anche se ha peccato.
Una cosa appare evidente dalle narrazioni evangeliche sulla condotta di Cristo nei confronti degli uomini: che ad alcuni fa misericordia, perdona i peccati, loda la loro fede, approva le loro idee, promette la salvezza; altri invece li tratta duramente, li rimprovera aspramente, minaccia loro i castighi divini, li accusa di ipocrisia e lancia loro diverse invettive. Non occorre qui portare gli esempi, tanto essi sono noti.
Qui certamente non si può parlare di misericordia. Non per questo Cristo manca di carità anche verso costoro. Sarebbe blasfemo il solo pensarlo. Il fatto è che la carità si pratica in queste due forme opposte a seconda che il prossimo accetti o non accetti Cristo: misericordia ai primi, giustizia verso i secondi.
Infatti la giustizia può avere anche un aspetto penale o punitivo, consistente nel fatto che il peccatore viene da Dio forzatamente reintegrato nell’ordine morale da lui violato. Qualcosa di simile, benchè imperfettamente, viene compiuto dalla giustizia umana, la quale appunto deve imitare quella divina. Il ladro che ha rubato, viene costretto a restituire. Chi ha abusato della sua libertà, la riconduce forzatamente nei giusti limiti con la pena del carcere. Chi ha offeso Dio col peccato, viene forzatamente ricondotto nel giusto rapporto di sottomissione a Dio mediante la pena dell’inferno, e così via.
Esiste un pregiudizio buonista molto diffuso, secondo il quale la bontà e la carità stanno solo nella misericordia. Chi castiga, chi punisce, chi condanna, chi usa la forza o le armi in qualunque modo, chi costringe, è cattivo, violento, malvagio e crudele. Ma Dio è buono. E dunque in Dio c’è solo la misericordia.
Dio non castiga nessuno, non condanna nessuno, ma salva tutti e perdona tutti in base alla sua infinita misericordia. La sofferenza non è castigo del peccato, Dio non c’entra nulla, ma è solo effetto dell’ingiustizia umana. La sofferenza non può essere espiazione – falsa interpretazione della croce di Cristo – , non va presa dalle mani di Dio come mezzo di salvezza, ma va solo combattuta.
Occorre invece osservare che violenza è solo l’uso ingiusto della forza. Esiste invece un uso della forza o della coercizione, riservato per lo più alla pubblica autorità, che è giustizia, e che consiste nel tenere a bada i malfattori, nella difesa armata della patria o nella difesa personale armata, cosa che non solo è lecita, ma è doverosa, e può essere benissimo riconducibile alla carità.
Il credere dunque che i rapporti umani possano e debbano essere regolati soltanto da atti di cortesia, da scambi pacifici, dal dialogo, da fiducia nell’altrui bontà e dalla misericordia, è una pericolosissima illusione, che non è per nulla fattore di giustizia e di pace, ma che al contrario dà spazio al famoso detto di Hobbes homo homini lupus.
Ci si dimentica infatti delle conseguenze del peccato originale, per le quali esistono malfattori che non ascoltano ragione e che, simili alle bestie, sono trattenuti dal delitto solo per il timore della pena o perchè costretti con la forza a restare nell’ordine. Certo la grazia di Cristo ingentilisce e purifica i costumi, ma, come dimostrano duemila anni di cristianesimo, anche nelle società cristiane continuano ad esistere i malvagi, i peccatori e i criminali.
In base a questi princìpi buonisti, si dovrebbero abolire il diritto penale, l’ordine giudiziario, il sistema carcerario, le forze armate e di pubblica sicurezza, i vigili urbani, le guardie del corpo, i vigilantes, e così via. Una cosa assurda, che avrebbe come conseguenza soltanto il dar spazio illimitato a ogni genere di delitto e di violenza, l’oppressione del forte nei confronti del debole, lo sfruttamento dei poveri da parte dei ricchi, la vendetta privata e così via.
E’ ovvio che le forze dell’ordine e la magistratura devono essere giuste, moderate e rispettose dei diritti di tutti. Ma il giudicarle come tali e indiscriminatamente violenza o ingiustizia, è a sua volta una gravissima ingiustizia, che porterebbe la convivenza umana a catafascio. Le forze dell’ordine che reprimono un delitto, non oppongono violenza a violenza, ma giustizia a violenza, il che è ben diverso.
La misericordia dunque ha senso e funziona solo nei riguardi dei deboli, dei sofferenti, degli oppressi, dei poveri, dei pentiti; ma non ha nessun senso nei confronti dei superbi, degli empi, dei peccator ostinati e arroganti, degli impenitenti e d chi si vanta dei propri delitti.
Costoro vanno affrontati, rimproverati, confutati, accusati e redarguìti, sull’esempio di Cristo, con sdegno, coraggio, severità e durezza, proprio per il bene della loro anima, per scuoterli e intimorirli, e per avvertirli del pericolo di perdersi in eterno.
Il malfattore, il malvagio non dev’essere compassionato, ma richiamato, corretto e bloccato, se occorre, anche con la forza. Per questo, l’uso della misericordia non è una atteggiamento da tenere in continuazione con tutti; ma, a seconda delle circostanze o di coloro con i quali abbiamo a che fare, va a volte sospesa e sostituita dalla severità e dalla giustizia.
La misericordia dev’essere preferita alla giustizia, ma non deve escluderla. Questo è l’esempio di Cristo. Egli è venuto innanzitutto per salvare e fare misericordia. Solo chi resiste ostinatamente è sottoposto a giudizio. Dunque la giustizia non è esclusa.
La preferenza è un atto col quale consideriamo due beni, dei quali però uno prevale sull’altro perchè è migliore, almeno per noi, dell’altro. A me piacciono le mele e le preferisco agli aranci; per cui, se le trovo tra gli aranci, prendo queste anzichè gli aranci.
Ma se mancassero le mele, prenderei gli aranci. Invece non avrebbe senso se io dicessi: preferisco il bene al male. No! Il male devo assolutamente rifiutarlo e scegliere sempre il bene. Così la misericordia non è la totalità del bene, come lo è la carità; ma è solo un bene migliore, da scegliere, se è possibile. Ma se si deve rinunciare alla misericordia, resta sempre la giustizia.
Sarebbe falso qui opporre la misericordia soltanto alla violenza. Certo, in tal caso bisogna scegliere solo la misericordia, come si sceglie il bene escludendo il male. Ma la violenza è una falsa giustizia, – pensiamo alla marxista lotta di classe – è un ingiusto uso dello forza. Esiste però anche un giusto uso della forza: ebbene, questo deve andare assieme alla misericordia.
Per questo, occorre fare attenzione a interpretare bene le parole – riportate dal Papa nella Bolla – che S.Giovanni XXIII pronuncia nel famoso discorso di apertura del Concilio Vaticano II. Dice il testo latino: “Christi Sponsae placet misericordiae medicinam adhibere, potius quam severitatis arma suscipere”. Non si tratta, dunque, come hanno frainteso i buonisti, di accogliere la misericordia escludendo la severità della giustizia, quasi fosse violenza. Ma si tratta invece di preferire (potius quam) la misericordia come bene maggiore, senza escludere il bene della giustizia.
Mentre dunque la carità è una virtù da esercitare a tempo pieno e in ogni circostanza, la misericordia va esercitata e commisurata in relazione alla condotta del prossimo. C’è chi merita misericordia e chi non la merita. Essere misericordioso con un arrogante o un ingrato o un impenitente o un empio, vuol dire approvare la sua condotta perversa e cadere a nostra volta nel peccato.
La misericordia divina è una grazia, ma può essere anche meritata e ottenuta dall’azione umana, che però dev’essere già a sua volta in grazia. Questo vuol dire che ciò che spinge l’uomo a disporsi a ricevere misericordia, ossia il pentimento, è esso stesso causato dalla divina misericordia. In questo senso S.Giovanni, parlando dell’amore divino, ossia, in fin dei conti, della misericordia, dice che Dio, ci “ha amati per primo”.
Noi attiriamo su di noi la misericordia nella misura in cui siamo umili e ci mettiamo a diposizione di Dio, pentendoci dei nostri peccati e facendone penitenza. Nel contempo però Dio non si limita ad essere tanto più misericordioso, quanto più siamo sottomessi a lui; ma a sua discrezione, nella sua infinita bontà e generosità, senza dover render conto a nessuno, si riserva di aggiungere alla misericordia richiesta un’ulteriore quantità di misericordia, la cui misura non è determinata, ma può aumentare all’infinito.
In tal senso si dice che la sua misericordia è infinta. Nessuno può impedire a Dio di far misericordia, quando lo vuole. Come dice la Scrittura: “Se Egli apre, nessuno chiude” (Is 22,22), benchè di fatto essa possa essere limitata, quando siamo noi che, col peccato, per mancanza di fede o di disponibilità o per grettezza di vedute le poniamo un limite o la respingiamo o non le consentiamo di portar frutto.
Se poi siamo attaccati al peccato, la blocchiamo del tutto e sentiamo il rigore della sua giustizia, la quale, sempre in forza della misericordia, come osserva S.Tommaso d’Aquino, non è mai così rigorosa come meriteremmo.
La misericordia di Cristo è la grazia che Egli ci dà per la nostra salvezza. Salutare è il timore che, se non approfittiamo degnamente di tale misericordia, siamo perduti. Tuttavia, il pensiero sommo del cristiano non dovrebbe esser tanto e non solo la preoccupazione di come ricevere misericordia, quanto piuttosto e ancor più quell’amore ardente verso Dio e verso i fratelli, che certo è condizionato dal fatto di ricevere il perdono divino, ma in vista del godimento finale della nostra comunione con Dio e con i fratelli nella carità della vita eterna.