mercoledì 1 aprile 2015

La voce del fango.



 Viaggio fra i testimoni di uno sviluppo disumano 

(Sivina Pérez) Il diritto a far nascere i figli in un luogo dove possano crescere. C’è una parte di umanità ad esempio che vive nel bacino del fiume Matanza, in Argentina, all’ottavo posto tra i dieci luoghi più inquinati del mondo. Nello spazio di pochi chilometri si concentrano infatti una molteplicità di strutture che inquinano l’ambiente rendendo l’atmosfera carica di veleni. Una striscia lunga sessanta chilometri dove  numerose fabbriche manifatturiere, soprattutto chimiche, hanno riversato per anni i loro materiali di scarico. Zone ritenute inadatte alla presenza umana eppure densamente popolate.
Lo Stato negli ultimi anni ha stanziato molti milioni destinati a interventi di riqualificazione e risanamento del corso d’acqua, ma i primi risultati si vedranno tra vent’anni. L’enciclica verde di Papa Francesco, in fase di preparazione, è proprio questo: un documento composto da pagine di vita vera, legate con un lungo filo d’acciaio dalle storie dei profughi dalla dignità sociale negata, vittime dello sfruttamento delle risorse e della «cultura dello scarto». 
Papa Bergoglio infatti inquadra il suo ambientalismo in queste situazioni, cioè senza mai disgiungerlo dalla condizione dei poveri della terra, i primi a subirne le conseguenze. E si sa, il peso della povertà  cade in misura maggiore sulle  donne  rispetto agli uomini. Proprio per questo, grazie alla loro concreta conoscenza del territorio e delle risorse naturali, le donne sono divenute protagoniste di primo piano nella lotta per la tutela ambientale. Parlare di salvaguardia del creato per Francesco vuol dire parlare di globalizzazione, di sviluppo solidale e di donne.
L’idea dello “scarto” che si ritrova spesso nei discorsi del Papa vale per tutto. A cominciare dall’uomo, perché viviamo in una cultura che scarta gli uomini che non servono. Francesco parte dalla valorizzazione e dalla centralità dell’uomo cui è stato affidato il creato e che ha il compito di farlo fruttificare e, al tempo stesso, di trasmetterlo il più possibile integro ai suoi figli. Bergoglio ha chiesto molti pareri e contributi, ha lavorato per lunghi mesi alternando e sovrapponendo — tra scrivania e altare — giornali, testi segnalati da vecchi collaboratori e letture liturgiche. Ma non solo. 
Il parere delle donne nella fase di progettazione di questo documento è stato fondamentale. In particolare quello di Clelia Luro, scomparsa alla fine del 2013 che di solito chiamava tutte le domeniche alle 15. Da grande esperta della storia e delle culture andine, Clelia raccontava con grande passione a Bergoglio di quanto fosse diffuso il rispetto per l’ambiente, ancora oggi, nelle popolazioni indigeni locali: «L’essere umano non è padrone della terra, non la possiede, ma è invece parte di essa: noi siamo la terra, ci nutriamo di essa. Facciamo parte della madre terra; come possiamo arrogarci il diritto di possederla?». Come possiamo pretendere di possedere lo spazio-tempo? Chi è in grado di impadronirsene? È impossibile. 
In una tranquilla domenica di settembre, nel 2013, Clelia Luro, seduta nell’androne della sua casa coloniale — che miracolosamente ancora resisteva all’assedio delle palazzine nel cuore di Buenos Aires — tra i suoi quadri, i mobili di bambù e l’artigianato indigeno in terracotta, ricevette la telefonata del Papa. Emozionata, Clelia disse a Francesco che c’era lì, insieme a lei, Leonardo Boff che, proprio in quei giorni, aveva finito di scrivere la sua ultima opera, Dignitas terrae,  dove afferma che cos’è la militanza verde: «Non si tratta semplicemente di difendere l’ambiente in quanto tale, ma di elaborare il paradigma di un modo nuovo con cui l’essere umano può e deve entrare in relazione con la natura». 
Boff sostiene che «le maggiori vittime dell’inquinamento sono i poveri, costretti a vivere nelle favelas senza acqua e senza igiene ma oggi tutta l’umanità, e non solo i poveri, è oppressa. Tutti siamo vittime di uno sviluppo disumano. Le nostre attività economiche stanno contribuendo alla perdita di biodiversità e degli habitat: questo mina i sistemi naturali dai quali dipendiamo per il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo e il clima stabile di cui abbiamo bisogno».
Si muove così velocemente, Papa Bergoglio, da riuscire a sentire in modo informale tante persone. Tra queste, Pino Solanas, regista cinematografico e politico argentino, il quale sostiene che sarà un’enciclica che non indulge a un certo tipo di ideologia verde,  ma si tratterà di un documento che chiamare green o ecologista è un po’ riduttivo. Secondo fonti Onu —  sostiene Solanas — attualmente in tutta l’America latina ci sono ancora centotrenta milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile. Parliamo di un continente che può contare su riserve idriche imponenti: il Rio delle Amazzoni, il Paraná e l’Orinoco sono tra i fiumi più importanti al mondo, e il solo Brasile possiede la quinta parte di tutta l’acqua del pianeta. Il lago Titicaca, che si estende tra il Perú e la Bolivia, e quello di Maracaibo, in Venezuela, soddisfano da soli il fabbisogno di acqua di milioni di persone. In Brasile la situazione è più critica. È il Paese che possiede la più grande riserva di acqua dolce al mondo ma si trova a dovere affrontare addirittura il rischio di razionamento nelle grandi città perché l’acqua, sempre più sottratta al consumo domestico, viene preferibilmente dirottata verso l’utilizzo agro-industriale, sotto la gestione delle imprese transnazionali. 
È questo uno dei più grandi paradossi dell’America latina: una terra ricchissima di fonti idriche, i cui abitanti non sono però in grado di disporre della loro acqua in modo adeguato e “democratico”. Succede in America latina, ed è in America latina che il cardinale Bergoglio ha cominciato a riempire questo diario di bordo con l’esperienza nei luoghi dove le «logiche di mercato non risparmiano niente e nessuno: dalle creature agli esseri umani».
Un altro contributo fondamentale è quello di monsignor Víctor Manuel Fernández, il rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina, uno degli ecclesiastici argentini più vicini a Bergoglio. Ha lavorato nel Consiglio episcopale latinoamericano nel campo della riflessione teologica pastorale e ha collaborato con Bergoglio nella stesura del testo finale di Aparecida.
Per Fernández «tutti gli esseri umani sono chiamati a un’assunzione di responsabilità nei confronti dell’ambiente in cui vivono, la riflessione sull’opera di Dio e sulle meraviglie create dall’uomo sono strettamente intrecciate tra loro e se la fede nel Creatore è parte essenziale del credo cristiano, allora  è compito della Chiesa manifestare la propria responsabilità nella salvaguardia del creato, difendendo la Terra, l’aria e l’acqua, e anche l’uomo contro la distruzione di se stesso».
Perché, prosegue Fernández, «la vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani ma una dimensione che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato. Sono certo che l’enciclica verde di Francesco proporrà soltanto dottrina sicura, non ipotesi».
Il cardinale Peter Turkson e gli esperti del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace hanno raccolto materiale proveniente da varie parti del mondo, sviluppato varie bozze che Papa Francesco ha visto e rivisto, inviando la terza stesura alla Congregazione per  la dottrina della fede, alla Segreteria di Stato e al teologo della Casa pontificia. Il tempo stringe. Papa Bergoglio vorrebbe che la  pubblicazione dell’enciclica avvenisse prima dell’avvio della Conferenza sul clima di Parigi: «Quella di Lima mi ha un po’ deluso, speriamo che a Parigi siano un po’ più coraggiosi» ha detto il Pontefice durante il suo viaggio in Sri Lanka e Filippine, a proposito della precedente conferenza internazionale sul tema.
Chi non ha mai udito la voce del Río de la Plata non capirà mai la tristezza di Buenos Aires, la tristezza del fango che reclama un’anima diceva Adán, personaggio letterario dello scrittore argentino Leopoldo Marechal. Oggi l’anima del fiume e del fango presentano il conto e ci ricordano che le risorse della natura non sono inesauribili.
L'Osservatore Romano