Compagni di viaggio di Abramo, alla scoperta dell’io
Una mostra al Meeting di Rimini illustrerà come l’incontro personale tra Dio e l’uomo fa crollare le superstizioni, il razionalismo e la smania di potere
*
di Luca Marcolivio
L’incontro dell’uomo con Dio è anche l’incontro con l’io. Da questo punto di vista, la vicenda di Abramo cambia non solo la storia sacra ma la storia tout court. Da un lato, l’uomo supera i confini angusti del razionalismo, dall’altro si svincola da alcune superstizioni ataviche ed acquisisce piena libertà e responsabilità.
Questo, in sintesi, il percorso proposto dalla mostra Abramo, nascita dell’io, in programma a Riminifiera, dal 20 al 26 agosto, per tutta la durata del XXXVI Meeting dell’Amicizia dei Popoli.
Nell’esposizione riminese, l’incontro con Abramo si intreccia con l’incontro con Cristo, attualizzandosi infine nell’approccio di don Giussani, che come spesso avviene nelle mostre del Meeting, diventa una chiave di volta per la comprensione integrale di molti percorsi interdisciplinari.
A colloquio con don Ignacio Carbajosa, ordinario di Antico Testamento, all’Università San Dámaso di Madrid (curatore della mostra, in collaborazione con Giorgio Buccellati), ZENIT è andata alla scoperta del vero significato del viaggio abramitico, di cui la civiltà attuale, pur tra molte contraddizioni, è la continuatrice.
In primo luogo, perché avete scelto come titolo della mostra “la nascita dell’io”?
In effetti, sembrerebbe un po’ strano situare la nascita dell’io nella prima metà del secondo millennio, quando l’uomo era ormai sulla terra da parecchio tempo.
Tuttavia il primo intervento di Dio nella storia degli uomini, con la chiamata di Abramo, è la sorgente di una nuova dinamica nell’io che se esprime in tutta la sua novità nel popolo generato dal primo Patriarca e nei testi che quel popolo ci ha trasmesso.
Da quella chiamata, l’io si comprende come rapporto con un Dio vivente, come lo chiama la Bibbia, e non più come generico desiderio di penetrare il Fato per appropriarsi delle leggi prevedibili che lo reggono. Chiamando ad Abramo, Dio esprime una Sua volontà a cui Abramo si consegna in modo fiducioso.
Prima di Abramo, la religiosità mesopotamica era dominata da una concezione ciclica del tempo, quella che suggerisce la natura: i cicli della morte e la vita, delle stagioni, della fecondità… Con la chiamata comincia una storia che si protende linearmente nella dinamica promessa-compimento che inaugura la prima Alleanza. Il tempo si carica di significato.
Il lavoro diventa compito assegnato da un altro, diventa vocazione. E l’io si concepisce all’interno di un popolo che veicola la salvezza per tutti i popoli. È una vera nascita dell’io così come la tradizione giudaico-cristiana lo ha percepito per secoli!
Il vostro Abramo è profondamente attualizzato. Che terra lasciano gli Abramo di oggi e per andare dove?
Il politeismo mesopotamico, che lascia Abramo, e l’atteggiamento scientista di oggi hanno una grande somiglianza, anche se sembra paradossale. Li accomuna la pretesa di appropriarsi razionalmente della realtà prevedibile. Infatti, i dèi non erano che finestre aperte per penetrare in quel Fato le cui leggi si volevano conquistare. Quella pretesa, assolutamente naturale e degna, ha dei rischi: innanzitutto quella di stabilire la ragione come misura di tutte le cose, mentre la realtà è molto più grande e sfida in continuazione la nostra ragione, che deve quindi allargarsi.
In un’epoca che ha sofferto enormemente i limiti del razionalismo, noi cristiani siamo chiamati a seguire la voce contemporanea di Dio nella storia che è l’avvenimento di Cristo, vero discendenti di Abramo (come dice San Paolo). È questo avvenimento che spalanca continuamente la ragione e rinnova la nostra energia affettiva per andare a comunicare la nostra speranza ai nostri fratelli uomini.
Come è stata strutturata la mostra?
Una prima parte della mostra colloca Abramo nel suo contesto storico, la prima metà del secondo millennio avanti Cristo. Nella transizione tra il secondo e il terzo millennio nasce un movimento nomade, le tribù, come reazione al controllo opprimenti delle città stato della Mesopotamia. È questo il contesto plausibile per i racconti epici dei Patriarchi che troviamo nella Genesi.
Un seconda parte ripercorre il racconto biblico nella compagnia dei commenti di don Luigi Giussani. Da questi racconti vengono fuori i veri tratti del volto umano, illustrati da alcuni testi della letteratura universale.
Una terza parte presenta l’avvenimento di Cristo, vero discendente di Abramo. In Lui noi recuperiamo il vero volto umano e si compie la promessa di salvezza per tutte le nazioni. L’ultima stanza mostra infine come, nel crollo delle evidenze, il metodo di Dio, oggi come allora, non è quello di una strategia di potere, o una egemonia, capace di arginare le conseguenze, ma la scelta di un uomo per arrivare a tutti.
Qual è il collegamento con il tema del Meeting? Quale mancanza patisce il cuore di Abramo?
Quando il Tu divino si fa avanti, nella chiamata di Abramo, la mancanza dell’uomo si capisce come nostalgia di quel Tu. La domanda “di chi è mancanza questa mancanza?” presuppone ormai un’ipotesi positiva: la nostalgia non è un problema da aggiustare ma la impronta che un Altro ha lasciato in noi per cercarlo. Questo comincia a chiarirsi storicamente con Abramo.