venerdì 24 luglio 2015
La luce sotto la cenere
di Daniele Zappalà
In fondo, la storia di Marthe Robin è pure quella di un lungo ruscello carsico di flebili parole in francese che ha traversato il secolo scorso senza far molto rumore. Ma certi ruscelli irrorano segretamente persino interi continenti.
Paralizzata fin dall’adolescenza, la mistica scomparsa nel 1981 a 78 anni ha trascorso tutta la sua esistenza nella masseria paterna, in un angolo di campagna nella valle del Rodano, alle porte del villaggio di Châteauneuf de Galaure. Ma da un decennio all’altro, per incontrarla nella sua stanzetta in penombra e ricevere i suoi consigli, una lenta marea umana si è spostata verso la masseria: secondo i registri conservati e resi disponibili per la causa di beatificazione in corso, oltre 103 mila incontri nutriti di sussurri e benevolenza, con visitatori di ogni condizione, provenienza e vocazione, dagli abitanti locali talora semplicemente incuriositi dai misteriosi doni della contadinella sapiente, fino a tanti vescovi e cardinali non solo francesi.
Il mistero di Marthe Robin, proclamata venerabile lo scorso novembre dopo il riconoscimento delle virtù eroiche, può essere adesso un po’ meglio accostato anche grazie a un libro appena pubblicato in Francia con un titolo molto esplicito: Ciò che Marthe ha detto loro. Conversazioni inedite (Editions de l’Emmanuel / Ed. Foyer de Charité), a cura di padre Bernard Peyrous e di Marie-Thérèse Gille, postulatore e vice-postulatrice della causa di beatificazione.
Si tratta proprio di una raccolta di stralci di conversazioni spesso non datate, tratti da testimonianze conservate negli archivi della mistica, di cui è responsabile la co-autrice del volume. Frasi senza orpelli, ma cariche di linfa e speranza, con lampi di sofferenza ma talora pure una punta d’ironia. Piccoli sorsi attinti da quel ruscello carsico dove ha preso l’abbrivio la costellazione dei Foyers de Charité, comunità cristiane prevalentemente laiche di preghiera e solidarietà diffuse oggi in una quarantina di Paesi, Italia compresa. Gruppi dediti all’accoglienza e alla preparazione di ritiri spirituali, a cui la mistica consigliava con leggerezza solo apparente: «In un Foyer, la cucina è importante quanto la cappella. Voi preparate un pasto fraterno d’amicizia, di carità e tutti questi fornelli sono per voi degli altari».
Marthe Robin congedava spesso i visitatori con queste parole: «Non le dico arrivederci, ma ad ogni giorno». E frequenti erano le sue riflessioni sulle traiettorie della fede, come quando disse a una religiosa: «L’avvenire della Chiesa sarà nei gruppi di preghiera». A un consacrato, fondatore in Giappone di una comunità dei Foyers, rivelò così la sua visione del continente asiatico: «La luce del mondo non si chiuderà in strette frontiere, ma strariperà».
Alla fine degli anni Sessanta, confidò a una donna giunta a Châteauneuf per un ritiro: «La persona a cui un prete ha rifiutato l’assoluzione per via di un atto di contrizione non perfetto è ferita per sempre». E tanta speranza ripose nella necessaria fratellanza e complementarietà fra consacrati e laici: «Non gli uni senza gli altri, ma sempre gli uni con gli altri e non gli uni come gli altri. I laici hanno bisogno di preti e di preti sempre più numerosi e santi». Fra i suoi consigli spirituali talora simili ad avvertimenti, figura pure questo: «Non bisogna guardare la Croce, ma Gesù sulla Croce».
A proposito dell’evangelizzazione, amava ricordare: «Alcuni credono di non avere la fede, ma la possiedono sotto la cenere. Occorre soffiare per ravvivare la fiamma». Fu grande anche il senso di vicinanza che provava verso il mondo ebraico ai tempi tragici della Seconda guerra mondiale: «Con quale diritto trattano in tal modo gli ebrei? Noi siamo spiritualmente degli ebrei. Il nostro Santo Padre, il Papa, l’ha detto. Senza di loro, non ci sarebbe stato il Cristo e la Redenzione. È un punto capitale, che domina il tempo e l’eternità. Gesù era ebreo, Maria era ebrea». E avvertì nei confronti di san Massimiliano Kolbe un profondo legame spirituale, al punto che un giorno lanciò: «Affidiamo tutti i nostri Foyers al padre Kolbe».
Regolarmente informata dell’attualità francese e internazionale, Marthe aveva l’abitudine di commentarla con riflessioni cariche d’indulgenza e lungimiranza, impressionando tanti interlocutori. Sul numero crescente di tesserati al Partito comunista francese, disse: «Questa gente non è comunista nell’anima. Li hanno fatti iscrivere al partito, giovanissimi, adesso ci sono dentro, hanno le loro famiglie e non possono più farne a meno per il rischio di perdere il lavoro, ma in cuor loro non sono veri comunisti».
E apprendendo della legalizzazione dell’aborto, commentò: «Povera nazione. Quando s’intacca la vita, s’intacca Dio». Per poi aggiungere subito a proposito dei nascituri: «Sono loro che accoglieranno i genitori in Cielo. Questi bambini sono i salvatori dei loro genitori».
Rimasta sempre nella valle del Rodano, Marthe dimostrava lo stesso profonda partecipazione emotiva verso terre lontane come l’India, considerata come «un Paese di luce», soprattutto perché «Gesù vuole regnare in India». E definì «Orto degli ulivi del mondo» il piccolo Burundi in preda alla guerra civile.
Una volta richiusa, l’antologia lascia l’impressione di un assaggio prima di altri lavori retrospettivi più dettagliati forse destinati a non tardare. Ma c’è da credere che pochi saranno tentati di trasformare in un monumento colei che disse un giorno: «Quando il Signore vuole servirsi di qualcuno, comincia spesso per ridurlo a uno zero».
Avvenire