giovedì 30 luglio 2015
Il popolo santo e fedele
Il tweet di Papa Francesco: "La testimonianza più efficace sul matrimonio è la vita esemplare degli sposi cristiani." (30 luglio 2015)
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(Stefania Falasca) Il popolo di Dio che guida Bergoglio.
Dismessa dal nostro vocabolario corrente, svuotata dalla cultura post-moderna di massa e dall’atomismo individualistico, obliata persino dal linguaggio ecclesiale la parola “popolo” è ritornata ora a nuova vita. Nella nostra memoria collettiva era rimasta per lo più ferma agli anni Settanta ad evocare stagioni di rivendicazioni populiste. A spolverarla dall’imbarazzo, a restituirci con naturalezza questa parola, che ci appartiene e alla quale apparteniamo, è stato papa Francesco. Si è affacciata con lui dalla loggia di San Pietro fin dal giorno della sua elezione: «E ora cominciamo questo cammino, vescovo e popolo…».
Centosessantaquattro volte la ripete nell’Evangelii gaudium, è il sostantivo più utilizzato di tutto il documento. Centotrentacinque negli interventi pronunciati in sette giorni nel suo recente viaggio in Sudamerica. Solo nel discorso a braccio tenuto ai religiosi nel santuario del Quinche in Ecuador le occorrenze sono diciassette e per ben venti volte el pueblo ricorre nell’incontro con la società civile in Paraguay.
E se è vero, come dice il filosofo Wittgenstein, che il pensiero s’identifica con il linguaggio e tutto acquista così senso pieno – come abbiamo potuto vedere nei giorni sudamericani di papa Francesco – è anche vero che lo spagnolo, la sua madre lingua, ha dato al Papa la possibilità di dilatare il suo pensiero da rendere estremamente limpidi i passaggi del suo magistero, eliminando ogni equivoco e togliendo pseudo argomenti anche a critiche pretestuose, come ha fatto giustamente osservare Luis Badilla nel suo pertinente bilancio sul viaggio. Quando si dice “popolo” perciò nessuno può dire non è chiaro il perché di questa insistenza. Non è il retaggio linguistico di una datata visione politica latinoamericana, no. È semplicemente il catechismo. Quando infatti il Papa parla di popolo, questo ha una valenza teologica prima ancora che sociologica. Si riferisce essenzialmente al popolo di Dio, così come è scritto nella Bibbia e come il Concilio ha fatto proprio per riferirsi alla Chiesa di Cristo. Del quale, come recita il catechismo, e forse conviene ripetere, si diviene membri non per la nascita fisica, ma per la «nascita dall’acqua e dallo Spirito» (Gv 3,3-5), cioè mediante la fede in Cristo e il battesimo. Che ha per condizione «la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come nel suo tempio» (LG 9). Che ha «per legge il nuovo precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati» (LG 9). Ed è la legge “nuova” dello Spirito Santo (Cf Rm 8,2; Gal 5,25) che ha per missione di essere il sale della terra e la luce del mondo (Cf Mt 5,13-16) «costituendo per tutta l’umanità un germe di unità, di speranza e di salvezza» e ha per fine il regno di Dio, incominciato in terra dallo stesso Dio, e che deve essere ulteriormente dilatato, finché alla fine dei secoli sia da Lui portato a compimento" (LG 9). È perciò un popolo sacerdotale, profetico, regale quello che viene descritto nel catechismo ai nn. 783-786, secondo quanto è stato recepito dal rinnovamento conciliare che, nella trattazione sulla Chiesa, la descrive appunto proprio secondo questa categoria.
Al Popolo di Dio è infatti dedicato tutto il secondo capitolo della Lumen Gentium. Ed è proprio alla nozione teologica di popolo di Dio della Lumen Gentium che Francesco fa esplicitamente riferimento quando parla di «popolo fedele di Dio». Nozione già contenuta nelle prime parole e nel primo atto compiuto appena eletto chinandosi dalla loggia di San Pietro per chiedere la benedizione al popolo. Precisamente Lumen Gentium 8 e 12 quando afferma: «Vescovo e popolo fanno un cammino insieme, in cui “la totalità dei fedeli che hanno l’unzione ricevuta dal Santo Spirito” (cfr 1 Gv 2,20-27) non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua particolare proprietà mediante il soprannaturale senso della fede di tutto il popolo, quando, dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici, esprime il suo consenso universale in materia di fede e di morale». È il popolo nel suo insieme il soggetto attivo di evangelizzazione e quindi portatore della benedizione divina. Il popolo è il protagonista della sua storia e della evangelizzazione. E la gerarchia della Chiesa deve porsi al servizio del popolo e discernere dove Dio lo va chiamando, per accompagnarlo. Da qui le riflessioni pastorali della teologia del popolo e dunque di una pastorale “dal popolo” che pone al centro i poveri come evangelicamente privilegiati e considera le diverse culture, perché Dio ha molti cammini per attrarre i suoi figli e questi cammini dipendono dalla cultura che ogni persona e ogni popolo vive. Da qui anche la non autoreferenzialità della Chiesa che non si ritiene padrona dei beni di salvezza che sono di Cristo. E da questa concezione ecclesiologia l’immagine di come un vescovo possa essere in mezzo al suo popolo che, nell’orizzonte storico delle grandi linee della Lumen Gentium, a più di cinquant’anni dall’inizio del Concilio, chiede ancora di essere pienamente assimilata e realizzata. Atteggiamento dottrinale e pastorale che Bergoglio aveva spiegato nel 2012 a Buenos Aires in un colloquio alla radio con un sacerdote delle villas miseria: «Si può essere pastori in tre modi, e, talvolta, è necessario utilizzare i tre modi. Il pastore che va avanti segnando il cammino, o camminando a lato del gregge, o che va dietro, seguendo il sentiero che la pecora segna con il suo odore, perché molte volte, molte volte, la bussola, l’olfatto lo tiene il popolo di Dio! E tu devi guardare, devi cercare dove va. Perché è lo Spirito Santo che lavora nel santo popolo fedele di Dio. Il popolo tiene la bussola nel cuore, che è lo Spirito Santo». «Perchè il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade» (EG, 31). In quella stessa occasione Bergoglio spiegò anche quest’espressione particolare che egli usa frequentemente «santo popolo fedele di Dio»: «Credo che cominciai a elaborarla tra il 1970 e il 1972» raccontò. «Si parlava molto di popolo in quella epoca. Però non si sapeva a chi si riferisse. C’erano i politici, c’erano gli intellettuali che ne davano molte connotazioni. Noi come preti siamo nel popolo e dobbiamo rivolgerci ad esso, ma a un popolo speciale. Nella Bibbia è scritto che noi siamo un popolo santo. San Pietro dice “popolo santo riscattato per il sangue di Cristo”». «Il nostro popolo è santo – spiegava Francesco – perché con il battesimo è stato giustificato per il sangue di Cristo. Il nostro popolo è fedele perché al di là dei peccati che tutti commettiamo cerca di non separarsi dal cammino verso Cristo. E Gesù lo sente fedele. E questa stessa santità ricevuta per mezzo del battesimo ci aiuta a essere fedeli nel cammino che compiamo. Per questo l’espressione che più mi soddisfa e uso dire è “santo popolo fedele di Dio”».
Nel colloquio alla radio il sacerdote chiese ancora a Bergoglio che cosa gli fosse rimasto più impresso negli anni vissuti da vescovo. La sua riposta: «Aver camminato con un popolo che cerca Gesù è la cosa più bella che ho avuto come pastore. È ricordo che nasce da tante esperienze e mi accompagnerà fino alla morte». Ed è attualmente ancora questa la sua quotidiana strada. Nell’omelia del Giovedì Santo, tenuta nella Basilica vaticana il 2 aprile di quest’anno ha detto rivolgendosi al clero e ai presuli: «Noi conosciamo la nostra gente, possiamo indovinare ciò che sta passando nel loro cuore; e nel patire con loro, ci si va sfilacciando… Cristo si lasciava consumare da loro… commosso sembra perfino mangiato dalla gente: prendete, mangiate. Questa è la parola che sussurra costantemente il sacerdote di Gesù quando si sta prendendo cura del suo popolo fedele: prendete e mangiate, prendete e bevete… non gli lasciavano neanche il tempo per mangiare. Ma il Signore non si seccava di stare con la gente. Al contrario: sembrava che si ricaricasse…» e «così rende i suoi fedeli sempre nuovi e quantunque siano anziani riacquistano forza, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» scrive nell’Evangelii gaudium. «Sono io che seguo la Chiesa», vale a dire il popolo di Dio, spingendo ancora ad una seria riflessione. È quanto abbiamo ascoltato e visto anche nel passaggio in America Latina di Francesco e continuiamo a vedere, nei suoi gesti e nelle sue stesse parole, «come la vita sacerdotale riceve donandosi nel servizio, nella stretta vicinanza al santo popolo fedele di Dio…».
Avvenire