martedì 28 luglio 2015

La sfida delle tre "p"



A colloquio con il responsabile della sezione giovani del dicastero per i laici. 

(Maurizio Fontana) «Cosa dico a ragazze e ragazzi in giro per il mondo? Dico che Papa Francesco ha grande fiducia in loro, che a loro chiede di farsi carico delle cose che a lui stanno più a cuore»: risponde prontamente padre João Chagas, responsabile della sezione giovani del Pontificio consiglio per i laici. E subito aggiunge: «Poi naturalmente li invito alla prossima Giornata mondiale di Cracovia». L’organizzazione dell’appuntamento in Polonia nell’estate 2016 passa infatti per le mani di questo prete brasiliano quarantunenne. Che in un’intervista al nostro giornale parla anche delle principali sfide della pastorale giovanile, riassumendole in quello che chiama il confronto con le tre p: possedere, piacere, potere.
Ci può già anticipare qualcosa a riguardo al programma di Cracovia?
I primi appuntamenti saranno nel grande parco nel centro della città chiamato Błonie, dove si sono svolti anche incontri con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Visto, però, che il weekend prevede un pernottamento per la veglia e la messa finale, ci sarà bisogno di un posto più grande. Sarà il cosiddetto Campus misericordiae, un grande terreno a circa dieci chilometri dal centro della città. È importante sottolineare il fatto che, così com’è accaduto a Roma e a Colonia, anche in Polonia ci sarà la catechesi itinerante: i diversi gruppi si recheranno in pellegrinaggio al santuario della Divina misericordia, che si trova accanto a quello di San Giovanni Paolo II, e lì ci sarà la possibilità delle confessioni e anche la porta santa per il giubileo.
Ha nominato Papa Wojtyła. Una figura che la coinvolge in maniera particolare: tra l’altro, la comunicazione della sua nomina a responsabile della sezione giovani del Pontificio consiglio per i laici giunse il 22 ottobre 2013, giorno legato alla memoria del santo Pontefice.
Lui è stato l’iniziatore delle Gmg e negli anni Ottanta ha rilanciato la pastorale giovanile in tutto il mondo, grazie anche alla creazione di questa sezione giovani. Mi piace poi ricordare che anche la comunità Shalom, alla quale appartengo, ha le sue radici nel viaggio di Giovanni Paolo II in Brasile nel 1980, quando il giovane fondatore Moysés Azevedo, durante l’offertorio presentò il suo impegno a dedicare la vita per l’evangelizzazione dei giovani. Perciò la provvidenza di aver ricevuto la nomina proprio in quel giorno è stata per me molto significativa. Qui al Pontificio consiglio tutti i giorni recitiamo l’Angelus in cappella dove c’è una reliquia del Papa santo: è l’occasione quotidiana per affidare a lui tutto il nostro lavoro.
Il legame con la comunità Shalom risale alla sua gioventù?
Praticamente ho cominciato a frequentare i gruppi quando avevo quattordici, quindici anni. Poi, finito il liceo, sono entrato in comunità e appena ultimata la formazione iniziale, ho cominciato anche gli studi in preparazione al sacerdozio.
Cosa ha trovato in Shalom?
La comunità propone forme creative di approccio pastorale ai ragazzi, nello spirito di quella che già Giovanni Paolo II, all’inizio degli anni Ottanta chiamava la «nuova evangelizzazione». Tutto è cominciato con una paninoteca-pizzeria. Il fondatore pensava che i ragazzi che non vanno in chiesa, che non accettano di partecipare a un ritiro, magari vanno a prendere qualcosa insieme, una pizza, un panino, e allora si ideò una specie di paninoteca tematica, con i ragazzi che servivano ai tavoli che erano dei volontari e facevano accoglienza: con una chiacchierata cercavano di dare testimonianza della loro esperienza di fede. Oggi la comunità è diffusa in tutto il mondo e ha sviluppato tante opere di evangelizzazione, formazione e promozione umana.
Lei ha partecipato anche alla preparazione delle giornate di Rio de Janeiro...
Il Pontificio consiglio aveva, all’epoca, necessità di un supporto da parte di un prete locale. Chiamarono me. Così dal 2011 al 2013 ho affiancato il responsabile della sezione giovani del dicastero per i laici, il francese don Eric Jacquinet. E dopo la giornata carioca sono subentrato nell’incarico.
Quali sono i suoi principali impegni?
Lavoriamo in diversi ambiti. Non solo nell’organizzazione delle Giornate mondiali della gioventù. Teniamo i contatti con conferenze episcopali e direttori nazionali di pastorale giovanile, ma anche con movimenti, associazioni e nuove comunità. Senza dimenticare la nostra responsabilità del centro giovanile San Lorenzo a Roma, animato quotidianamente dalla comunità Emmanuel. All’attività in sede si aggiungono gli impegni itineranti nei vari Paesi dove siamo invitati. In particolare, poi, animiamo le Conferenze episcopali alla realizzazione delle giornate della gioventù nelle diocesi, a utilizzare il messaggio annuale del Papa per la formazione dei giovani, e offriamo strumenti di supporto, come gli atti dei convegni che organizziamo.
Nell’immediato?
A fine novembre ci sarà il secondo incontro in preparazione di Cracovia 2016. Dopo quello di Roma si farà proprio in Polonia e parteciperanno duecentocinquanta delegati di tutto il mondo.
Lei è appena tornato dall’Amazzonia, dove ha partecipato a un convegno di rappresentanti di circa quaranta movimenti e nuove comunità...
A Belém, nello Stato del Pará, ho parlato delle sfide a cui sono chiamati i giovani nel mondo contemporaneo. Molte di esse sono legate alla dimensione socio-economica — la disoccupazione, il lavoro precario, il consumismo, e via dicendo — mentre altre toccano il campo delle relazioni, dell’affettività; poi ci sono i problemi legati alle guerre, alla violenza, al terrorismo. Possiamo riassumere queste sfide collegandole a tre p: possedere, piacere, potere. Mi vengono in mente anche le tentazioni di Gesù nel deserto. Nel convegno ho richiamato quanto ripete Francesco sull’attualità delle beatitudini. Beati i poveri in spirito, per esempio, è una risposta a tutta la problematica del consumismo, e la beatitudine dei puri di cuore, ovviamente, tocca il tema dell’affettività, della sessualità, delle relazioni. C’è poi la questione della misericordia che si confronta con una realtà segnata dalla violenza e dagli abusi di potere. I giovani possono sicuramente sentirsi coinvolti.
Li ha invitati a Cracovia?
Naturalmente. Principalmente dopo la Giornata del 2013 a Rio, l’interesse per questi pellegrinaggi è cresciuto tantissimo tra i giovani brasiliani. La Conferenza episcopale, le diocesi, i movimenti e nuove comunità si stanno mobilitando per portare tanti giovani a Cracovia.
Lei era presente nella cattedrale di Rio de Janeiro, quando il Papa, rivolgendosi ai giovani argentini, usò l’espressione “hacer lío”...
Il Pontefice conta molto su di loro. Con questo invito li sprona a essere rivoluzionari in senso evangelico, ad andare controcorrente, a “farsi sentire” in tutti gli ambienti. Vuole che facciano la differenza in una società che rischia l’immobilismo davanti alle grandi sfide del nostro tempo. Sa che sono coraggiosi e li spinge a uscire fuori per portare nelle strade la perenne novità del Vangelo. Affida loro temi che gli stanno molto a cuore, come nel messaggio del 2014 in cui ha dato ai giovani il compito di rimettere la solidarietà al centro della cultura umana.

L'Osservatore Romano