mercoledì 29 luglio 2015

Matrimonio e sessualità, il primato della coscienza




di Luciano Moia
“Famiglia e Chiesa, un legame indissolubile. Contributo interdisciplinare per l’approfondimento sinodale” (Libreria Editrice Vaticana, pagine 552, euro 24), è il titolo del volume che raccoglie gli atti di tre seminari organizzati dal Pontificio consiglio per la famiglia tra gennaio e marzo. Tre sessioni a cui hanno preso parte una trentina di teologi, filosofi, antropologi, pastoralisti esperti, a vario titolo, del pianeta matrimonio. Il testo, curato da Andrea Bozzolo, Maurizio Chiodi, Giampaolo Dianin, Pierangelo Sequeri, Myriam Tinti, affronta in modo franco e coraggioso una serie di questioni che sono già state dibattute nell’ambito del Sinodo straordinario dello scorso ottobre e che saranno al centro anche dell’assemblea ordinaria dei vescovi dell’autunno prossimo. «Lo scopo dei lavori – annota nell’introduzione l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia – non è certo quello di anticipare soluzioni e pronunciamenti che non è compito degli esperti decidere, ma soltanto dell’autorevole magistero della Chiesa. Nondimeno, il risultato è promettente». 

Amore responsabile, sessualità e generazione. Una delle grandi questioni che il Sinodo sarà chiamato ad affrontare, a partire dallo snodo di fondo già posto con chiarezza da Paolo VI nell’enciclica 
Humanae vitae. 

Cosa significa affermare che, per garantire l’inscindibilità della connessione antropologica tra significato unitivo e procreativo, il rapporto sessuale della coppia debba restare «naturalmente » aperto alla generazione della vita e solo così sia conforme alla «legge naturale», nella quale l’uomo riconosce il valore di Dio creatore? Don 
Maurizio Chiodi, docente di teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, parte da qui per articolare la sua relazione introduttiva, di fronte a trenta colleghi provenienti da ogni parte del mondo, nell’ambito della seconda sessione di studi convocata dal Pontificio Consiglio per la famiglia in vista del Sinodo. Al termine di un’analisi molto ampia e altrettanto profonda, le conclusioni del teologo sono di quelle destinate a far discutere. Perché, proprio sviluppando la linea personalista di Humanae vitae – e non in opposizione ad essa – arriva ad affermare che «la norma morale sulla procreazione responsabile non può coincidere con l’osservanza biologica dei metodi naturali. 

Tutte le norme morali che riguardano il 'terzo' che è incluso nell’alleanza sponsale tra uomo e donna, dai metodi naturali alla contraccezione, dalla procreazione assistita all’adozione, costudiscono un modo buono di vivere l’esperienza antropologica universale della generazione». Non è il metodo in sé a determinarne la moralità, ma la coscienza dei coniugi, il loro senso di responsabilità, la loro autentica disponibilità ad aprirsi alla vita. In questa prospettiva – è in sintesi i ragionamento di don Chiodi – può essere morale il ricorso a tecniche artificiali di regolazione delle nascite, e immorale la pratica dei metodi naturali, laddove venissero impiegati con un obiettivo costantemente contraccettivo. E la riflessione si potrebbe applicare, annota il teologo, al campo altrettanto problematico della procreazione medicalmente assistita. «In quanto forme dell’agire, queste 'tecniche' vanno valutate alla luce del significato etico della generazione all’interno dell’alleanza sponsale». 

Non vuol dire aprire la strada al positivismo, né assolutizzare la conoscenza scientifica. Anzi, è giusto che la qualità sapienziale dell’alleanza sponsale sia tutelata dalla norma, ma sarebbe sbagliato pensare che un mondo amplissimo, largamente insondato e per certi versi insondabile come la differenza sessuale e tutto ciò che vi è connesso, possa cadere sotto il rigore del giuridicismo. «Un eventuale ricorso alla tecnica – annota ancora lo specialista – nel quadro di una procreazione realmente responsabile, può essere compatibile, e non è necessariamente in contrasto con l’originario nesso antropologico che nell’alleanza coniugale si dà tra la sponsalità e l’accoglienza del dono di un figlio». 

Ipotesi che potrebbe apparire di rottura con una lunga tradizione di pensiero. Ma per don Chiodi non è così. Anche perché è urgente la necessità pastorale di colmare la differenza, «addirittura l’abisso» esistente, tra la dottrina e la prassi prevalente della maggior parte dei coniugi cristiani. Da qui la necessità di comporre la contrapposizione tra «naturale e artificiale », tra «morale naturalistica» che identifica l’osservanza della legge biologica con la norma morale, e «morale intellettualistica » che si appella a un criterio tanto vago da accogliere qualsiasi soluzione tecnica. 

E gli altri teologi presenti? Comprendono, precisano e, pur con sfumature diverse, appaiono sostanzialmente d’accordo con la lettura proposta. Padre Gianluigi Brena, gesuita, docente di antropologia filosofica all’Aloisianum di Padova, osserva per esempio che «la via di soluzione proposta non ignora le regole, ma non accetta che possano prevalere fino al punto che, in forza di esse, la Chiesa si veda costretta a escludere definitivamente certe persone dalla misericordia di Dio». Il dovere del discernimento personale alla luce della Parola e della dottrina è al centro anche della riflessione di Peter Casarella, docente di teologia all’Università Notre Dame nell’Indiana (Usa), che osserva: «Il punto non è benedire qualunque invenzione umana ma portare all’attenzione del fedele una modalità di saggezza cristiana che dispensi un modo di ragionare basato sulla prudenza alla luce della nuove sfide». Di grande suggestione, come di consueto, la riflessione offerta da Xavier Lacroix, teologo francese e padre di famiglia, secondo cui nel campo della sessualità il linguaggio del «permesso» e del «proibito» dev’essere superato. 

E allora, se la Chiesa ha «ragione di affermare che la sessualità che rispetta l’integralità del corpo della donna, dei suoi ritmi in particolare, è auspicabile», è altrettanto vero che in questo campo «tutt’al più si può esprimere una preferenza ed enunciare una 'gradualità' verso questa preferenza». 

Il dilemma in ogni caso rimane. Giusto seperare la dimensione procreativa della sessualità umana dalla sua dimensione relazionale? No, è la risposta netta di don Ebherard Schockenhoff, docente di teologia morale all’Università di Friburgo, perché chi si mette su questa strada «rinnega il senso umano dell’atto procreativo e della genitorialità». D’altra parte, il teologo ammette come «non sia sempre e in qualsiasi circostanza moralmente sbagliato voler raggiungere con l’uso di metodi artificiali il legittimo obiettivo di regolare come meglio si ritiene la possibile fecondità della vita sessuale nel matrimonio». 

Posizione condivisa anche da padre Humberto Miguel Yanez, 
direttore del dipartimento di teologia morale della Gregoriana, secondo cui occorre tornare ad attribuire ai coniugi ampie responsabilità riguardo al loro rapporto coniugale. Ecco perché «la tecnica non può essere contrapposta alla natura della persona». Sulla stessa linea padre Edoardo Scognamiglio, docente di teologia dogmatica alla Facoltà teologica dell’Italia meridionale: «Non possiamo e non dobbiamo sostituirci alle coscienze dei fedeli in ogni ambito, soprattutto in quella della morale sessuale e familiare. L’etica cristiana non può semplicemente coincidere, anche all’interno del matrimonio – sostiene – con un sistema di regole, perché si esprime essenzialmente con una proposta di valori». 
Avvenire