di Mario Adinolfi
Mi chiedessero: "Chi sei?" potrei dire molte cose. Sono Mario Adinolfi, papà di Livia e Clara, figlio di Ugo e Louise, fratello di Ielma e marito di Silvia; sono giornalista, scrittore e giocatore di poker, sono stato un parlamentare, peso molto ma sono anche alto. Per la gente che adora farsi i fatti miei, sono tanti, potrei aggiungere storielle assortite.
La verità è che se mi chiedessero: "Chi sei?", alla fine risponderei con tre parole: sono un cristiano. Credo ci sia poco altro a potermi definire, forse dovrei aggettivare, ma ho sempre avuto un certo fastidio per gli aggettivi spesi a caso, suonano così ridondanti. Dovrei certamente completare "cristiano e peccatore", ma chi non lo è? Comunque certo, sono un cristiano in eterna penitenza, ho molto peccato e confido nella Sua misericordia, provando ad espiare un poco in vita attraverso il giudizio di voi lettori, amici e nemici.
Ora, la mia vita è incasinatissima, piena di cose fatte e da fare, che però sarebbero solo rumore se non ci fosse Gesù. Lasciatemi usare una metafora pokeristica: Gesù è il mio "nuts". Il "nuts" nel poker è il punto imbattibile. Qualche passo indietro per spiegare meglio. Il libro precedente a Voglio la mamma si intitolava La ricerca della costante, è il mio ultimo romanzo ed è del 2010. Ogni giocatore tramite studio, formule, allenamento, applicazione tende a ricercare quella costante che gli consenta di vincere sempre. Fuor di metafora, in ogni vita c'è la ricerca di un punto fisso che dia sicurezza, che sia guida, che offra orientamento certo; la ricerca della costante, del punto di riferimento che non tradisce, alla fine della certezza è l'unica ricerca che conta per l'animo umano.
Il fatto terribile della contemporaneità è che alla ricerca della certezza pacificante si è voluto opporre il culto del dubbio vivificatore. Si è abbattuta come fosse fonte del male la parola "verità" e la si è sostituita idolatrando la "opinione". Dopo qualche decennio di questa pratica tutto è diventato opinabile, dunque se qualcuno scrive che Fedez è meglio di Ludwig Van Beethoven, tu lo devi accettare e basta. Se la verità non esiste o è data per inconoscibile, ogni bestialità è concessa. Non scopro granché, è la lezione di Ivan Karamazov: "Se Dio non esiste, tutto è lecito".
Da Dostojevski al poker il salto è breve. Ho giocato in vita mia centinaia di migliaia di mani. Del poker ho sempre apprezzato il suo essere maledettamente controvento, così perfettamente adatto al mio carattere: chiaro, netto, non opinabile. A fine mano c'è chi ha vinto e c'è chi ha perso, non è che non se ne discuta, semplicemente discuterne è inutile. Il poker è come la matematica, due più due fa sempre quattro, piacerebbe a Chesterton. Tra le centinaia di migliaia di mani giocate in vita mia, qualche volta mi è capitato di giocarne alcune davanti alle telecamere di colossi televisivi mondiali, che poi mandano le immagini sui più importanti network in tutto il pianeta. Il momento finale di una di queste mani, a suo modo molto drammatico, è ripreso nella foto qui sotto. Sto giocando contro un campione di livello mondiale, il professionista argentino Nacho Barbero. Ho appunto il "nuts", il punto imbattibile. Voi pensate: che bello. Eh, no. Avere il "nuts" per il pokerista non è la questione principale. La questione è come farsi pagare il "nuts". Se tu hai le carte perfette ma nessuno paga per vedere le tue carte, è come non averle. Il problema è come convincere un campione non certo alla prima mano complicata della sua vita a mettere tutte le chips sul tavolo, a giocarsi la vita e perderla. Come vedete dai numerini stampati sotto i nostri nomi, io infatti ho più chips di lui e se lui fa la mossa sbagliata, è eliminato. Io devo forzarlo a fare la mossa sbagliata, affinché il "nuts" che ho in mano esprima la sua enorme efficacia, la sua potenzialità totalizzante. L'argentino non deve solo vedere la mia puntata di 42mila chips, deve "mandarmele tutte", come si dice in gergo: deve andare "all in". Ma la mano è così piena di trappole che solo un pazzo, uno che perde la ragione può fare una mossa così sbagliata. E Nacho Barbero è furbo, furbissimo, per niente pazzo.
Bisogna inventare allora una "mossa del cavallo". Spiego. Negli scacchi tutti i pezzi si muovono per vie lineari: orizzontali, verticali, diagonali. Solo un pezzo, il cavallo appunto, ha una sorta di movimento libero piegato a forma di L. Muovere il cavallo serve ad aprire scenari nuovi in una partita, è la mossa imprevedibile, quella che può ribaltare l'esito di un match che pare segnato. Tornando al poker, qualcuno ricorda l'assunto di Lady Gaga. Nella arcinota canzone "Poker face" la cantante descrive la faccia immota del giocatore di poker: "No, he can't read my poker face".
Nella mano in questione io scelgo di fare l'opposto. La mossa del cavallo, appunto. Niente poker face, niente faccia priva di emozioni. Anzi mi metto proprio a fare le smorfie, a provocarlo, a fare tutto quello che bisogna fare per renderlo certo che io sia talmente "confident" nella mia mano da farlo fuggire via. Sapendo che sarà l'unico modo possibile per farlo arrivare alla conclusione opposta: non solo restare nella mano, ma rilanciare, giocarsi tutto in questo tango di vita o morte. E così, morire, facendo una mossa idiota. Una mossa che un campione, un professionista del suo rango non farebbe mai.
Infatti, la fa.
Nacho Barbero si giocherà tutto, perderà tutto, il "nuts" esprimerà la sua potenzialità, la certezza si manifesta al suo massimo livello, la scoperta della verità provoca sconquassi. Alla ricerca della mia costante, l'ho trovata e sono riuscito a far sì che producesse tutti i suoi benefici effetti.
Il titolo "La ricerca della costante" mi venne ispirato da una puntata di quel capolavoro che è il serial americano "Lost", in cui il personaggio di Desmond Hume (i cognomi ripresi dai filosofi sono un leitmotiv di Lost e Hume è il filosofo scettico per eccellenza) scopre quanto sia terribile verificare che tutto è opinabile, persino le coordinate spazio-temporali, dunque cerca "The constant" e la trova in una drammatica, incomprensibile telefonata all'unica donna che avesse amato, chiamata ovviamente Penelope dagli autori di Lost, che in Desmond Hume vedevano il loro Ulisse.
Solo cercando, riconoscendo, infine trovando la nostra costante siamo al sicuro, approdiamo in un qualche porto. Dovremmo fare ogni sforzo per ribaltare la cultura dell'opinabilità, l'ideologia del dubbio paralizzante e ritrovare le forze per alzare le vele almeno verso la ricerca della verità. Ho combattuto alcune battaglie su temi che mi sono cari, in tutta la mia vita per la verità, ma in particolare in questi ultimi due anni. Non ho mai proposto una motivazione di natura religiosa sulle questioni relative all'utero in affitto, alla difesa dei soggetti più deboli esposti ai colpi della cultura della morte dell'aborto e dell'eutanasia, al tentativo di tutelare la famiglia naturale. Non ce n'è bisogno, per rendere evidente la verità su queste tematiche basta la mera logica, basta un libero e umanissimo ragionamento. Ma di certo la forza per proporre con una certa modalità comunicativa costante quel ragionamento, nonostante gli infiniti e continui insulti, me l'ha data la consapevolezza di essere accompagnato dal "nuts". E il mio "nuts" è Gesù di Nazaret, il mio punto imbattibile, la mia costante ricercata e trovata. Mi ha accompagnato tutta la vita, fin da bambino, fin da quando nel gennaio 1979 mi ritrovai a servire messa a quel gigante di San Giovanni Paolo II nella mia parrocchia al Testaccio. Poi, poiché siamo tutti dei caproni e io di più, ce ne andiamo per le vie del mondo a far le nostre esperienze e ci dimentichiamo di Lui e il nostro cuore diventa inquieto e facciamo un sacco di cazzate. Anche qui, io ne ho fatte più di altri.
Ma quando qualcosa sembra impossibile, io ricordo sempre che ho con me il "nuts". Qualche volta non sono bravo, non sono capace a rendere esplicita la sua forza e tutta la sua potenzialità. E quindi, per colpe solo mie, posso pure perdere e perdermi. Ma Gesù è paziente e perdona sempre e propongo davvero a tutti di sperimentare questo amore che non si perde d'animo, questa costante che ci risponde subito e ci evita l'ansia di essere persi, lost, come Desmond Hume.
Ho giocato quella mano, l'ho vinta. Il mio "card protector" (si chiama davvero così in termini tecnici l'oggetto con cui ogni pokerista copre e protegge le sue carte) è un taccuino con l'immagine di San Giovanni Paolo II. Come al solito con il suo sguardo tra l'ironico e il paterno, mi è sembrato che mi sorridesse.
Nelle vostre vite fate entrare il tranquillo sorriso della verità. Nella mia incasinata, densa, in certi momenti terrificante vita, quel sorriso quando l'ho lasciato entrare ha rischiarato tutto. E una volta che tutto sarà chiaro, vi sentirete così liberi da poter correre ogni tipo di rischio, pur di testimoniare la verità e non sprecare il "nuts" che scoprirete vi accompagnerà costantemente in ogni vostro passo, rendendovi finalmente sereni.