sabato 25 luglio 2015

XVII domenica del Tempo Ordinario, Anno B

Nella 17.ma domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci

Nella 17.ma domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci presenta il Vangelo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Era vicina la Pasqua ebraica e Gesù, di fronte ad una gran folla senza cibo, dice a Filippo:
«Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere.
L’evangelista Giovanni nota, non casualmente, che era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Il segno che Gesù sta per compiere e la parola con cui accompagna il segno, marcano una svolta nella missione del Signore, perché da questo momento si separano coloro che accolgono pienamente Gesù, compimento delle promesse antiche, della Pasqua, e coloro che ritengono questa parola insopportabile, inaccettabile. La moltiplicazione dei pani e dei pesci non vuole essere un “miracolo” che risolve un problema concreto, ma un segno con cui il Signore intende preparare il popolo all’avvento della Pasqua definitiva nel suo corpo e nel suo sangue, per ricongiungere l’uomo al suo Dio e condurlo, in un nuovo esodo, al di là della morte. Il popolo, come anche noi, non coglie questa dimensione, si accontenta di avere risolto il problema della fame oggi e di poterlo risolvere, forse anche domani facendo Gesù re. Il Messia è visto dai “tetti in giù”, per risolvere i nostri problemi. La tentazione del pane, la tentazione di vedere la vita solo come una risposta ai problemi della fame, del non soffrire, del vivere una vita borghese, senza anima. E’ una visione terribilmente riduttiva: l’uomo ridotto a stomaco da riempire, una visione piccola, borghese, senza nessuna dimensione celeste, divina. Gesù, posto davanti a questa tentazione fugge, si ritira, tutto solo, sulla montagna. E quando incontra nuovamente la folla sarà per metterla nella verità. Pasotti
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Gesù prende, tocca e benedice quello che siamo

Commento al Vangelo della XVII domenica del Tempo Ordinario, Anno B -- 26 luglio 2015


Gesù, che nel Vangelo di oggi appare già risorto perché "passato all'altra riva", "alza" anche questa Domenica "gli occhi" e ci "vede" mentre ci avviciniamo a Lui. Con la "gran folla", abbiamo "visto i segni che ha compiuto" su tanti "infermi"; noi stessi abbiamo sperimentato i suoi "miracoli" nella nostra vita. Ci ha saziato mille volte, eppure la fame non ci dà tregua. Cerchiamo sicurezze, materiali e spirituali, per questo stiamo seguendo Gesù. 
E il capitolo 6 del vangelo di Giovanni, "mettendoci alla prova" con il miracolo e le parole che ne seguono, ci svela il senso più profondo della Pasqua, che non è soltanto "magiare e saziarsi", ma infinitamente di più. 
18 anni fa San Giovanni Paolo II consegnava la sua ultima Enciclica dedicata all'Eucarestia, "fonte e apice di tutta la vita cristiana". Anche noi, con il Papa, ci chiediamo se "gli Apostoli che presero parte all'Ultima Cena" avessero capito "il significato delle parole" con cui Gesù istituì il Sacramento dell'Eucarestia. Di certo non compresero immediatamente le parole sul Pane della Vita pronunciate nella sinagoga di Cafarnao. Si trattava di un Mistero troppo grande, inaudito: "come può costui darci la sua carne da mangiare?". 
Era un "discorso duro" perché inchiodava ogni uomo alla verità: senza l'unione intima e reale con Cristo nessuno ha la vita in sé. Anche se respira e fa molte cose è morto dentro. 
Per questo San Giovanni Paolo II scriveva nell'Enciclica che tutte le parole di Gesù sull'Eucarestia, "si sarebbero chiarite pienamente soltanto al termine del Triduo sacro. In quei giorni", infatti, "si inscrive il Mistero Pasquale; in essi si inscrive anche il Mistero dell'Eucarestia". Il Mistero decisivo per la salvezza dell'umanità è "come raccolto, anticipato, e «concentrato» per sempre nel dono eucaristico", con il quale "Gesù Cristo consegnava alla Chiesa l'attualizzazione perenne del Mistero Pasquale. Con esso istituiva una misteriosa «contemporaneità» tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i secoli". 
Ciò significa che, "nell'evento pasquale e nell'Eucaristia che lo attualizza nei secoli", vi è "una «capienza» davvero enorme, nella quale l'intera storia è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione". 
Compresa la storia difficile nella quale siamo chiamati vivere, con i suoi dolori, i dubbi, le ansie e i peccati. Per questo, ogni giorno, anche oggi, è "vicina la Pasqua"; Gesù "sa quello che sta per fare" per noi, estendere cioè la "capienza" della sua Pasqua perché "contenga" anche i nostri passi e le nostre cadute, e così fare di ogni nostro giorno il "destinatario" della sua salvezza. Nella nostra storia sperimentiamo innanzitutto il bisogno reale di nutrirci per poter vivere, non diverso da quello della "grande folla". 
Ognuno sa di che cosa avrebbe bisogno: un posto di lavoro, uno stipendio o una pensione migliore, la salute, una casa, una macchina nuova che questa ormai è pure pericolosa, qualche giorno di ferie. 
O forse qualcosa di spirituale: un po' di pazienza e tenerezza, l'umiltà che tenga a bada questa superbia che non riesco a frenare, la carità verso i fratelli, la purezza e la castità, la libertà negli affetti. Insomma abbiamo fame, e Gesù lo sa, perché ci "vede" affannati e stremati "venire" a Lui. 
Ma, invece di prendere la bacchetta magica e saziarci con ciò di cui abbiamo bisogno, ci rivolge a bruciapelo la stessa domanda fatta quel giorno a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?". 
La rivolge a Filippo mettendo l'accento sui bisogni della folla, ma è "per mettere alla prova" il suo cuore, e aiutarlo a scoprire che sono gli stessi bisogni che ha anche lui. Ed è una domanda rivolta oggi alla Chiesa, ai pastori e a ogni cristiano, agli sposi e ai genitori, perché imparino a riconoscere i propri bisogni in quelli del mondo. 
Solo così potremo sperimentare in noi stessi la "contemporaneità" e il potere del Mistero Pasquale del Signore che siamo chiamati ad annunciare al mondo e a chi ci è accanto. Solo così non ci crederemo diversi e migliori, "già ipocritamente sazi"...  
Gesù, infatti, non può operare nulla se prima non illumina il nostro cuore. Non a caso il Signore usa le parole "dove" e "comprare", perfette per fotografare il nostro cuore. Tutti cerchiamo luoghi che non esistono dove crediamo di poter comprare ciò di cui abbiamo bisogno. 
Per questo sballiamo i conti, e ci ritroviamo impotenti di fronte ai fatti della storia nei quali più forte si fa sentire la fame. Filippo siamo tutti noi, spesso incapaci di guardare oltre, con il cuore appesantito dalla ragione imprigionata dall’unica evidenza che balza immediatamente agli occhi: "duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". 
Matematica imperfetta perché incapace di contemplare l’infinito che abbraccia e dà senso a ogni numero. Anche se qualcosa abbiamo - "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci" - come Andrea non pensiamo che sia sufficiente: "ma che cos'è questo per tanta gente?". 
Siamo abituati ad altri schemi, seduti ogni giorno nel consiglio di amministrazione che governa famiglia e affetti, lavoro e scuola, amicizie e relazioni. Ma nonostante i nostri libri contabili, le previsioni di bilancio saltano sempre e ci ritroviamo incapaci di sfamare una moltitudine, fosse anche solo di due persone, coniuge e un figlio. 
E allora precipitiamo nella frustrazione, che genera silenzi, nervosismo, ira e rancori. Ingannati dal demonio che si nasconde nell'educazione e nella cultura, crediamo ciecamente nelle nostre possibilità e in quelle altrui; ma, una volta sperimentati i limiti, cominciamo a disprezzarci e a disprezzare. 
Invece, i "cinque pani e i due pesci" sono molto più di quello che le mani sono capaci di afferrare. Sono la debolezza e la povertà che la "capienza" infinita del Mistero Pasquale di Cristo vuole accogliere e fare sue per moltiplicarle nella sovrabbondanza d'amore che esso rivela. 
La creazione stessa obbedisce a precise formule matematiche, ma i numeri che la definiscono non sorgono dal nulla, da un big-bang riproducibile in laboratorio. Vi è un’evidenza nascosta eppure intuibile, il segreto tracciato di numeri che non hanno fine perché il loro stesso principio è puro mistero. Un computer, un telefono, una pila, tutto ci parla d’infinito. Ma non solo. 
Anche le persone che ci molestano e non accettiamo, anche questo giorno, con le solite cose da fare, il letto d'ospedale che non sopporti più, o la fila alla posta per due spiccioli di pensione. Anche te stesso con i tuoi limiti e contraddizioni. 
Tutto ci parla dell'infinito in cui si vorrebbe tuffare il nostro cuore per saziarsi; della vita che non ha limiti dove riposare e sentirsi pienamente accettati e amati così come siamo. E l'infinito a cui aneliamo si svela pienamente nel miracolo compiuto dal Signore. 
Il Messia atteso è Dio fattosi prossimo, l’origine d’ogni vita. E’ lui l’infinito che, raccogliendo tra le mani quel “cinque” e quel “due”, nel breve istante d’una Parola benedicente, li riconduce alla pienezza originaria, allo splendore del compimento, deponendoli nella successione che li lega all'infinito. 
Quei due numeri che, a una prima e piatta visione, non dicono altro che un contenuto definito, circoscritto e tragicamente limitato, nelle mani e nelle parole di Gesù, scavalcano il limite imposto dalla ragione carnale e acquistano il loro significato autentico. Sono numeri, segni di una realtà ben visibile, eppure aperta, misteriosamente, all’infinito
"Cinque pani e due pesci" sfamano e saziano una gran moltitudine, e avanzano per sfamare e saziare ancora, da quel pomeriggio sulle rive del Lago di Galilea sino a questo nostro giorno, sino alla fine del mondo, e più in là, sino all’eternità. 
Così è di ogni numero che descrive e sembra limitare le nostre esistenze, la storia stessa del mondo. L’età, lo stipendio e il conto in banca, l’altezza e il peso, la forza, i metri cubi delle nostre case, gli anni d’una amicizia, di un amore, le distanze, i progetti, le mura che ci stringono e sembrano frustrarci e tenerci schiavi, e la chimica dei sentimenti, degli umori, delle speranze e delle delusioni, i valori alterati che sbucano dalle analisi, le parole che ci diciamo per contraddirle in un minuto, il carattere e i difetti, perfino i peccati! 
Ogni numero che fa di noi quello che siamo, la matematica che, fredda, sembra sospingere le nostre storie verso destini ineluttabili, attende invece una mano e una Parola, quelle dell’Autore di ogni matematica e di ogni scienza, l'Architetto di ogni vita. 
"Attualizzando il Mistero Pasquale" che ha distrutto il limite della morte che gravava sulla storia, le mani di Gesù creano e ricreano liberando ogni centimetro della nostra vita, dei nostri pensieri e dei nostri gesti, dalla prigione del peccato che li soffocava nell'egoismo e nell'orgoglio. 
Quelle mani e quelle parole che hanno compiuto il Miracolo che profetizzava la Pasqua, si fanno prossime a ciascuno di noi attraverso le mani e le parole dei suoi Apostoli. E’ la Chiesa che, da duemila anni, si piega sull’umanità, ne riconosce, nascosto, il seme divino impresso dal Creatore, e, per la Parola e il Sacramento, lo riconduce allo splendore del compimento. 
Ogni istante, ogni numero della nostra vita, anche quelli negativi, grigi, che sembra ci stiano schiacciando, non sono altro che i segni d’una porta dischiusa nell’attesa della Chiesa che, annunciando e celebrando il Mistero Pasquale del Signore, prende la nostra vita per moltiplicarla nell'amore che sa andare oltre la paura e la sofferenza. 
Ogni grumo dell'esistenza è gravido d’eterno. Ma solo l’incontro esistenziale, concreto, autentico con il Signore rende possibile quello che tutti speriamo. 
Cosa posso fare allora per vedere trasformata in pienezza questa mia fame, il desiderio che mio figlio guarisca e la speranza di compiere comunque la volontà di Dio? Cosa fare perché le mie incoerenze, i difetti, le cadute siano trasfigurate e non mi schiaccino più, e possano diventare invece occasioni e strumenti per dare da mangiare a chi mi è accanto? Tranquillo, non devi fare nulla di speciale, solo obbedire. Come gli apostoli che hanno consegnato a Cristo quel poco che, senza di Lui, non è nulla "per sfamare tanta gente". 
E obbedire alla Chiesa che vede sotto i tuoi piedi "la molta erba" immagine dei pascoli preparati da Dio per noi nella nostra storia, nei nostri "luoghi". Ascoltare e fare come ci dice la Chiesa, dunque, e "sederci" laddove ci troviamo, perché Dio lo ha già preparato come un giardino dove pregustare le delizie del Paradiso. 
Ma dai, dovrei sedermi invece di darmi da fare? Sì, obbedisci e "siediti", perché se non sperimenti che Cristo può moltiplicare quello che sei, non vedrai la tua vita compiuta; se non sperimenti che la Vita che sfama e sazia non si "compra" in nessun "dove" ma è Lui stesso che si dona a noi, resterai schiacciato nelle tue meschinità. 
Solo consegnandoti totalmente a Cristo e umiliandoti rinnegando te stesso, infatti, vedrai moltiplicata in te la vita di Cristo che si fa carne della carne, sangue del tuo sangue. 
Allora potrai "dare da mangiare" a chi ti è accanto, amando nell'amore che ti nutre e sazia: potrai perdonare e non resistere al male, offrire l'altra guancia del tuo onore e rispettare tua moglie senza esigere che ti sazi con il suo corpo; saprai donarti perché è così che Cristo ha salvato te, e se il suo amore invade il tuo essere, esso ti catapulterà verso l'altro senza neanche accorgertene. 
Perché solo "chi perde la sua vita la ritroverà" moltiplicata, solo chi sfama gli altri con la sua vita sperimenterà cosa significa la pienezza, la gioia, l'autentica sazietà!  
Così la Chiesa, e tutti noi in essa, saprà donare se stessa annunciando credibilmente il Vangelo, i genitori sapranno trasmettere la fede ai loro figli, facendo "sedere" tutti alla mensa imbandita da Cristo, dove offrire, in ogni circostanza, il poco, pochissimo che tutti abbiamo alle sue mani. Tuo marito è superficiale, arido, assiduo a poltrona, pantofole e televisione? 
Bene, prendi su di te questa sua attitudine allo svicolamento dalle responsabilità e consegnala a Cristo, la vedrai moltiplicata in uno zelo mai visto... Tuo figlio è pigro, incapace di studiare e concentrarsi? Bene, prendi su di te questa debolezza e dalla a Cristo, l'unico capace di tirare fuori da ciascuno il meglio, ovvero il seme di vita eterna seminato dal Padre. 
Guarda che il miracolo è tutto qui: forse tuo marito sarà ogni giorno propenso a sdraiarsi sul divano, come tuo figlio incapace di star fermo dieci minuti, esattamente come quei cinque pani sono restati tra le mani di Gesù quello che erano; il Vangelo, infatti, a proposito dei pezzi avanzati dice che "li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo", segno che Gesù ha continuato a "distribuire" i frammenti dai pani originari. Non ha prima moltiplicato e poi distribuito, ma ha continuato a tenere tra le mani gli stessi cinque pani che gli erano stati dati. 
Così, come il pane e il vino dell'eucarestia trasformati in corpo e sangue di Cristo, restano, alla vista, quello che sono, Gesù prende, tocca e benedice quello che siamo, compresi i difetti e i limiti, per farne un cibo capace di sfamare e avanzare per una moltitudine immensa, ovvero tutte le persone che incontreremo durante la vita. 
Dio non ci cambia magicamente, ma, lasciandoci deboli e poveri, ci colma del suo Spirito. Così anche una malattia, un problema, un dolore, un fallimento, un peccato, toccato da Cristo, si trasforma in una "Eucarestia", una porta spalancata sulla gratitudine per il prossimo che non vede nulla per cui lodare Dio. 
Questa è la Pasqua che si fa "contemporanea" dell'umanità, che accoglie nel passaggio di Cristo ogni uomo. Questa è la Pasqua che accende la luce dell'amore sino alla fine nel mondo avvolto nelle tenebre dell'infelicità perché i suoi calcoli, pur da premio Nobel, quando si tratta di amare davvero sballano sempre. 
Il "segno" che svela il Profeta al mondo, infatti, che annuncia agli uomini "il Messia inviato da Dio", è la Vita moltiplicata e capace di saziare, offerta gratuitamente all’umanità. Il "segno" del Profeta è la Chiesa, "sacramento di salvezza" come l'Eucarestia: povera, debole, bisognosa di penitenza e conversione, eppure ricca della ricchezza che nessun altro nel mondo possiede: la Parola – i "cinque pani", immagine dei cinque libri della Torah – e il potere di Dio nella carne del suo Figlio – i "due pesci", immagine delle due nature del Signore. 
Il "segno" dato al mondo sono i "Dodici" apostoli colmi del suo amore come i "dodici canestri" che hanno "raccolto" la sovrabbondanza della Grazia, inviati a sfamare e molto di più, a saziare la vita di ogni uomo. Il "segno" sei tu, con la tua vita, la tua famiglia e la tua storia di oggi, raggiunta dalla "capienza" dell'amore di Dio. 
Sfamati e saziati siamo chiamati a donare a tutti la sovrabbondanza del suo amore che colmato la nostra vita: il tempo e le parole, i gesti e il denaro, gli sguardi e le lacrime, le sofferenze e le gioie, ogni secondo che ci è dato, tutto è "raccolto perché nulla vada perduto"; nulla della nostra vita è insignificante, perché tutto è, tra le mani di Gesù, una "benedizione" per chi ci è accanto
Ma perché ciò si compia e l'opera di Dio non si trasformi nell'ennesima preda del demonio, della vanagloria e della superbia, abbiamo bisogno di "ritirarci" con Gesù da "soli Lui sulla montagna", ovvero crocifissi con Lui nella storia. Abbiamo bisogno della sua intimità che possiamo sperimentare nella nostra comunità cristiana, nella preghiera e nell'offerta continua di ogni nostro secondo a Lui. 
E' qui il cuore segreto della nostra vita, da dove nasce la nostra missione: uniti indissolubilmente a Cristo e nascosti in Lui, morti al mondo e alle sue tentazioni, perché chi ci è accanto veda sempre in noi l'opera di Dio e non resti ingannato, credendo che l'amore vero è possibile comprarlo in qualche dove.

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Il miracolo nasce dalla fedeltà di Dio all’uomo

Lectio Divina sulle letture per la XVII domenica del Tempo Ordinario (Anno B) -- 26 luglio 2015


Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture per la XVII domenica del Tempo Ordinario (Anno B), 26 luglio 2015.
Come di consueto offre anche una lettura patristica.

LECTIO DIVINA
Rito Romano
2 Re 4,42-44; Sal 144; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15
Rito Ambrosiano
Gdc 2, 6-17; Tes2, 1-2. 4-12; Mc 10, 35-45
9 Domenica dopo Pentecoste
1) Pane da condividere.
Con questa domenica la liturgia interrompe la lettura continuata del Vangelo di San Marco e per cinque domeniche consecutive (da oggi,17ª Domenica del Tempo Ordinario, fino alla 21ª) ci propone tutto il capitolo sesto di san Giovanni. La ragione di tale inserzione risiede nella volontà di approfondire il tema del “pane”. Questo sesto capitolo di Giovanni si apre appunto con la narrazione della moltiplicazione dei pani, offrendoci un bellissimo esempio della compassione che Gesù aveva per chi lo seguiva e che aveva “dimenticato” di mangiare tanto era la voglia di vedere i suoi miracoli e di nutrirsi della Sua parola.
Per capire bene il brano del Vangelo di oggi, anche questa volta ricostruiamo il contesto: Gesù viene seguito da “una grande folla, vedendo i segni che faceva sugli infermi”. La gente è attratta dalla potenza misericordiosa di Gesù che si preoccupa dei malati e li guarisce. Gesù, però, non è solo un guaritore; è il maestro: per questo sale sul monte,come Mosè che era salito sul Sinai per accogliere la legge del Signore per Israele. Tuttavia, Gesù non va sul monte per ricevere la parola di Dio, ma per donarla: è per questo che si mette sedere (nel testo originale in greco: si mette in cattedra), non tanto perché sia particolarmente stanco, ma perché questo è l’atteggiamento del maestro, che, quando insegna, sale, per così dire, in cattedra. Del resto Gesù aveva già fatto così, quando aveva proclamato la “nuova legge” delle beatitudini: “Salì sul monte e si mise a sedere; poi prendendo la parola, cominciò a insegnare” (Mt 5,1). Sempre per quanto riguarda il brano evangelico di oggi, è utile mettere il risalto l’annotazione temporale: era vicina la Pasqua.Quindi, siamo in primavera. Questa indicazione temporale ci riporta indietro, alla grande storia dell’esodo, iniziata con il primo plenilunio di primavera di millenni fa, e ai tanti segniche Dio aveva operato con Mosè per la liberazione degli Ebrei e durante il loro cammino verso la Terra promessa. Ma il riferimento alla Pasqua ci spinge anche in avanti e anticipa simbolicamente il dono che Gesù farà del suo Corpo e del suo Sangue nell’ultima Cena.
Questo dono del Pane di Vita è da condividere come fu condiviso il pane moltiplicato da Gesù per dar da mangiare a quanti lo avevano seguito.
Il pane condiviso insegna l’attenzione all’altro e l’umiltà a non scartare nessuno, e a fidarsi di un Dio che si fida di noi e ci fa capaci di distribuire il pane a una folla numerosa.
Oltre a prendere il Pane a noi donato e da noi condiviso mediante una vita caritatevole, rivolgiamo a Cristo questa preghiera: “Se desidero medicare le mie ferite, tu sei medico. Se brucio di febbre, tu sei la sorgente ristoratrice. Se sono oppresso dalla colpa, tu sei il perdono. Se ho bisogno di aiuto, tu sei la forza. Se temo la morte, tu sei la vita eterna. Se desidero il cielo, tu sei la vita. Se fuggo le tenebre, tu sei la luce. Se cerco il cibo, tu sei il nutrimento” (Sant’Ambrogio da Milano). Insomma, preghiamo Dio, “Padre nostro”, perché “ci dia il nostro pane quotidiano” del corpo e dello spirito.
Se è un miracolo dare da mangiare a migliaia di persone con un po’ di pane, è un miracolo ancora più grande dare il pane di verità, di gioia. Si tratta del Pane vero, del Pane della Verità da condividere con gli affamati di giustizia.
Il pane moltiplicato dal Chi nell’ultima Cena si farà Pane di Vita. Il grande miracolo non è quello di sfamare una folla, ma quello di mostrare la gloria di Dio rivelata in Gesù, Parola fatta carne, Verbo fatto cibo eucaristico per i cristiani. In effetti, il brano del vangelo di oggi racconta che Gesù prese i pani, rese grazie e li distri buì: tre verbi che ci ricollegano a ogni Messa.
E mentre i discepoli lo distribuivano, il pane non veniva a mancare, e mentre passava di ma no in mano, questo pane condiviso restava in ogni mano.
2) Pane di misericordia.
In quel giorno, Gesù sentì compassione perché è fatto dello stesso amore del Padre e manifestò la misericordia di Dio parlando alla folla e saziandone la sua fame.
Oggi, amandoci oltre ogni misura, Cristo moltiplica il Pane di Vita per noi. Nel sacramento dell’eucaristia Gesù si fa cibo di vita vera, lieta per la misericordia ricevuta.
In questa Domenica, il segno della misericordia, della compassione di Gesù Cristo è il racconto dei pani moltiplicati e condivisi che ci aiuta a capire che Cristo ci dona se stesso e la sua vita offrendosi a noi come pane eucaristico. Lui, che ringraziò il Padre, benedisse e spezzò il pane materiale donatogli da un bambino, si lascia spezzare per noi quale pane spirituale. Mangiando di questo Pane, Corpo eucaristico di Cristo, che è “la misericordia di Dio incarnata” (Papa Francesco), anche noi diventiamo misericordia.
La Cena eucaristica, dunque, non è un’azione da guardare, è un gesto da vivere. Fare la comunione non è solamente ricevere e lasciarsi santificare dalla presenza di Cristo, è aprire il nostro cuore per portare all’altare il “sì” del nostro amore a Dio; è aprire le nostre mani ai fratelli e sorelle, che hanno fame e che dobbiamo soccorrere con le opere di misericordia materiali e spirituali. Ma non dimentichiamo che la prima e più grande misericordia è di insegnare la verità e di dare cose vere, perché “il bene è la verità e la proposta della verità nasce dall’amore” (Card Giacomo Biffi).
Un esempio significativo di come vivere la misericordia è quello offerto dalla Vergini consacrate che sono “i fiori dell’albero che è la Chiesa” (Sant’Ambrogio di Milano).
In effetti, le vergini consacrate nel mondo sono chiamate a essere annuncio e attuazione di questa misericordia, a esserne immagine e a saperla offrire, con una vita fatta di paziente vigilanza nella preghiera, di attenzione, di discrezione e riserbo. E ciò perché la vocazione verginale è in relazione profonda con il mistero dell’Eucaristia. “Infatti, nell'Eucaristia la verginità consacrata trova ispirazione ed alimento per la sua dedizione totale a Cristo. Dall'Eucaristia inoltre essa trae conforto e spinta per essere, anche nel nostro tempo, segno dell'amore gratuito e fecondo che Dio ha verso l'umanità. Infine, mediante la sua specifica testimonianza, la vita consacrata diviene oggettivamente richiamo e anticipazione di quelle « nozze dell'Agnello » (Ap 19,7.9), in cui è posta la meta di tutta la storia della salvezza. In tal senso essa costituisce un efficace rimando a quell’orizzonte escatologico di cui ogni uomo ha bisogno per poter orientare le proprie scelte e decisioni di vita”.(Sacramentum caritatis, 81).
Imitando la Sempre Vergine Maria, queste donne vergini testimoniano la verità del Magnificat: “Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo é il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono”, che può essere così parafrasato: “Mi ha fatta grande Colui che è potente ed il cui nome è santo, perché la Divina potenza operò il miracolo della verginità e la Sua infinita santità la riempì di grazie”. E il coro verginale risponde magnificando la misericordia di Dio che, per Maria Vergine e Madre, passò di generazione in generazione, facendo spuntare nel fango del mondo i fiori di santa verginità che profumano la terra e il Cielo. La verginità è seguire Gesù; non è quindi rinuncia ad amare, ma lasciarsi afferrare e possedere completamente dall’Amore, come insegna Sant’Ambrogio di Milano: “Vergine consacrata cerca il Cristo nella tua luce, cioè nei buoni pensieri, nelle buone azioni, nelle tue notti, cercalo nella tua stanza, perché anche di notte viene e bussa alla tua porta. Vuole trovarti vigile in ogni momento, vuole trovare aperta la porta dell’anima tua. La bocca e canti la lode e la professione di fede nella croce, mentre nella tua stanzetta ripeti il Credo e canti i salmi. Quando egli verrà, ti trovi desta e preparata. Dorma il tuo corpo, ma vigili la tua fede; dormano le lusinghe del senso, ma vigili la prudenza del cuore. Le tue membra profumino della croce di Cristo e della fragranza della sua sepoltura. E c’è pure un’altra porta che vuole trovare aperta: vuole che si schiuda la tua bocca e canti la lode e la professione di fede nella croce, mentre nella tua stanzetta ripeti il Credo e canti i salmi. Quando egli verrà, ti trovi desta e preparata. Dorma il tuo corpo, ma vigili la tua fede; dormano le lusinghe del senso, ma vigili la prudenza del cuore. Le tue membra profumino della croce di Cristo e della fragranza della sua sepoltura” (La Verginità, 46-47).
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LETTURA PATRISTICA 
Efrem,
Diatessaron, 12, 1-4
L’Eucaristia, dono grande e gratuito
Nel deserto, Nostro Signore moltiplicò il pane (Mt 14,13-21 Mt 15,32-38 Jn 6,1-13), e a Cana mutò l’acqua in vino (Jn 2,1-11). Abituò così la loro bocca al suo pane e al suo vino per il tempo in cui avrebbe dato loro il suo corpo e il suo sangue. Fece loro gustare un pane e un vino caduchi per suscitare in loro il desiderio del suo corpo e sangue che danno la vita. Diede loro con liberalità queste piccole cose perché sapessero che il suo dono supremo sarebbe stato gratuito. Le diede loro gratuitamente, sebbene avessero potuto acquistarle da lui, affinché sapessero che non sarebbe stato loro richiesto il pagamento di una cosa inestimabile; infatti, se potevano pagare il prezzo del pane e del vino, non avrebbero certamente potuto pagare il suo corpo e il suo sangue.
Non soltanto ci ha colmato gratuitamente dei suoi doni, ma ancor più ci ha vezzeggiati affettuosamente. Infatti, ci ha donato queste piccole cose gratuitamente per attirarci, affinché andassimo e ricevessimo gratuitamente quella cosa sì grande che è l’Eucaristia. Quegli acconti di pane e di vino che ci ha dato erano dolci alla bocca, ma il dono del suo corpo e del suo sangue è utile allo spirito. Egli ci ha attirati con quelle cose gradevoli al palato per trascinarci verso colui che dà la vita alle anime. Ha nascosto la dolcezza nel vino da lui fatto, per indicare ai convitati quale tesoro magnifico è nascosto nel suo sangue vivificante.
Come primo segno, fece un vino che dà allegria ai convitati per mostrare che il suo sangue avrebbe dato allegria a tutte le genti. Il vino è parte in tutte le gioie immaginabili e parimenti ogni liberazione si riconnette al mistero del suo sangue. Diede ai convitati un vino eccellente che trasformò il loro spirito per far sapere loro che la dottrina con cui li abbeverava avrebbe trasformato i loro cuori. Ciò che all’inizio non era che acqua fu mutato in vino nelle anfore; era il simbolo del primo comandamento portato a perfezione; l’acqua trasformata era la legge perfezionata. I convitati bevevano ciò che era stato acqua, ma senza gustare l’acqua. Parimenti, quando udiamo gli antichi comandamenti, li gustiamo nel loro sapore nuovo. Al precetto: Schiaffo per schiaffo (cf. Ex 21,24 Lv 24,20 Dt 19,21) è stata sostituita la perfezione: "Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra" (Mt 5,39).
L’opera del Signore ottiene tutto; in un baleno, egli ha moltiplicato un po’ di pane. Ciò che gli uomini fanno e trasformano in dieci mesi di lavoro, le sue dieci dita l’hanno compiuto in un istante. Le sue mani furono come una terra sotto il pane; e la sua parola come il tuono al di sopra di lui; il sussurro delle sue labbra si sparse su di lui come una rugiada e l’alito della sua bocca fu come il sole; in un brevissimo istante egli ha portato a termine quanto richiede di norma un lungo lasso di tempo. Dalla piccola quantità di pane è sorta una moltitudine di pani; come all’epoca della prima benedizione: "Siate fecondi e moltiplicatevi" (Gn 1,28). I pezzi di pane, prima sterili e insignificanti, grazie alla benedizione di Gesù - quasi seno fecondo di donna - hanno dato frutto da cui sono sopravanzati molteplici frammenti.
Il Signore ha mostrato il vigore penetrante della sua parola a quelli che l’ascoltavano, e ha mostrato la rapidità con la quale egli elargiva i suoi doni a quelli che ne beneficiavano. Non ha moltiplicato il pane al punto che avrebbe potuto, ma fino alla quantità sufficiente per i convitati. Il miracolo non fu su misura della sua potenza, bensì della fame degli affamati. Se, infatti, il miracolo fosse stato misurato sulla sua potenza, riuscirebbe impossibile valutare la vittoria di quella. Commisurato alla fame di migliaia di persone, il miracolo ha superato le dodici ceste (Mt 14,20). In tutti gli artigiani, la potenza è inferiore alla richiesta dei clienti; essi non possono fare tutto quanto gli domandano i clienti. Le realizzazioni di Dio, invece, superano i desideri. E: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto" (Jn 6,12) e non si pensi che il Signore abbia agito solo per fantasia. Ma, quando i resti saranno stati conservati un giorno o due, crederanno che il Signore ha agito in verità, e che non si trattò di un fantasma inconsistente.