giovedì 23 luglio 2015

For sale




di Benedetta Frigerio
Il piccolo Charlie (nome di fantasia) ha pochi giorni di vita, eppure non si sa ancora quanti genitori avrà: tre oppure quattro? Potrebbe infatti avere due padri e una madre, come anche due padri e due madri. Il neonato inglese, pur essendo come tutti il frutto dell’unione di un ovulo e uno spermatozoo, è al centro di una disputa legale in cui il padre genetico e il suo compagno, che lo hanno generato tramite fecondazione eterologa utilizzando l’ovulo di una 19enne americana, lo contendono alla madre surrogata e al suo compagno.
TUTTO AL BURGER KING. Tutto è cominciato oltre un anno fa, quando attraverso un gruppo chiuso di Facebook, creato esplicitamente per fare incontrare acquirenti e venditori in quella grande compravendita che è la maternità surrogata, la 24enne inglese Jennifer (nome di fantasia) fu presentata a una coppia di uomini dalla donna che gestisce il gruppo. I tre si incontrarono nel febbraio del 2014 in un Burger King e in appena mezz’ora firmarono un accordo privato nel quale si pattuiva il pagamento di 9 mila sterline per l’affitto dell’utero della donna. «Mi dissero che volevano impiantare due embrioni e che per il trattamento sarei dovuta andare all’estero», ha spiegato Jennifer al Daily Mail.
INIEZIONI RISCHIOSE. Al momento le furono consegnate 99 sterline per una visita medica che attestasse la salute uterina, dopo di che la donna avrebbe dovuto assumere una serie di farmaci per cercare di agevolare l’attecchimento degli embrioni. Tra questi, la donna fu costretta a farsi da sola delle iniezioni di un ormone chiamato buserelin senza visitare un medico, anche se può causare reazioni allergiche. «Nessuno mi informò dei rischi connessi».
«NON MI HANNO PAGATO». Il viaggio verso la clinica, in cui sarebbe avvenuto il trasferimento dei due embrioni, congelati dal 2012, fu fissato per ottobre e si concluse con la gravidanza gemellare della donna. Ma «nonostante io avessi mantenuto l’accordo, la prima rata di 500 sterline non mi fu pagata». Poco dopo, sempre attraverso il gruppo Facebook, Jennifer fu contattata da un’altra donna che le rivelò di essere stata la madre surrogata di due gemelli, comprati dalla stessa coppia in precedenza, e di non essere mai stata pagata come pattuito.
ABORTO SPONTANEO. Jennifer cominciò anche a sentirsi male e, ricoverata a causa di alcune perdite di sangue, scoprì di avere abortito uno dei due gemelli. Fu a quel punto che si convinse che il bambino ancora vivo sarebbe dovuto crescere con lei, il suo compagno e loro figlio. Con l’aiuto della donna che gestisce il gruppo Facebook, decise di mentire al padre biologico dei bambini dicendogli che entrambi i gemelli erano morti.
LA NASCITA. La gravidanza è proseguita fino a una decina di giorni fa, quando Charlie è nato tramite taglio cesareo. Ma due settimane prima del parto, Jennifer è stata informata della denuncia a suo carico da parte dei due uomini, che la accusavano di avere mentito per tenersi il bambino. «È stato il mio peggior incubo, credo che la donna che ci ha fatti incontrare abbia rivelato loro il fatto», ha confessato Jennifer. Secondo la legge inglese, che permette l’utero in affitto ma solo se la madre surrogata viene pagata meno di 15 mila sterline, la donna resterà la madre del piccolo fino a quando non accetterà di firmare un disposizione in cui riconosce i due uomini come i genitori legali del bambino.
«COSÌ FELICE, COSÌ AMATO». Intanto, il padre biologico ha inviato al tribunale un’istanza per bloccare la registrazione della nascita di Charlie. «Sono emotivamente provata», ha confessato la donna che ha rinunciato alle 9 mila sterline pattuite, perché «non è un problema di soldi. Penso solo che Charlie stia meglio con me. Voglio tenerlo: con me è così felice, così amato».

Tempi


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SOS Ragazzi: “Da Strasburgo un’offensiva senza precedenti”


Il responsabile dell’associazione, Andrea Lavelli, commenta la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che condanna l’Italia per la mancata vigenza delle unioni civili


“Quella in atto è un’offensiva senza precedenti, che sta tentando di imporre in Italia la distruzione dell’istituto familiare in tutti i mezzi: per via legislativa, giudiziaria, mediatica, attraverso pressioni come quelle degli organi europei”. Lo dichiara Andrea Lavelli, responsabile di SOS Ragazzi, alla sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire tre coppie omosessuali per presunte violazioni del diritto al rispetto della vita privata e familiare.
“Per questo l’Italia - si legge nella sentenza - e gli Stati firmatari della Corte devono rispettare il loro diritto fondamentale ad ottenere forme di riconoscimento che sono sostanzialmente allineate con il matrimonio. […] L'Italia è tenuta a introdurre le unioni civili”.
Secondo Lavelli “si tratta di affermazioni inaccettabili, per di più provenienti della Corte di Strasburgo che è un organo esterno all’Unione europea e non potrà quindi essere usato per forzare il ddl Cirinnà sulle unioni civili al solito grido di Ce lo chiede l’Europa”.
Tra l’altro, nota il responsabile di SOS Ragazzi, si tratta di una sentenza che “arriva con un tempismo curioso, ovvero poco dopo il rinvio del ddl Cirinnà a questo autunno grazie anche alla grande manifestazione di Piazza san Giovanni a difesa della famiglia, incarnando l’ultima di una lunga serie di pressioni da parte di organi Ue ed extra Ue verso l’apertura a unioni e adozioni omosessuali”.
SOS Ragazzi, garantisce Lavelli, “si opporrà a qualsiasi tentativo di ridefinire la famiglia”. Tra le iniziative intraprese a questo scopo, la campagna attivata per chiedere agli eurodeputati italiani di prendere posizioni coraggiose a difesa della famiglia nell’ambito delle votazioni dell’Europarlamento.
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