lunedì 27 luglio 2015
Menorah ecumenica
Memoria e profezia. A un anno esatto dalla storica visita di Papa Francesco (28 luglio 2014), la Chiesa evangelica della Riconciliazione a Caserta ricorda domani, martedì, l’avvenimento con un convegno al quale interverranno l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana, e il pastore e teologo valdese Paolo Ricca, oltre a Giovanni Traettino, presidente della Chiesa evangelica della Riconciliazione, che in quell’occasione accolse il Pontefice. Parteciperanno inoltre il vescovo di Caserta, Giovanni D’Alise, il vescovo emerito Raffaele Nogaro, e il presidente della Comunità di Gesù, Matteo Calisi. Il cardinale Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, offrirà il suo contributo con una lettera. Anticipiamo quasi interamente il discorso dell’arcivescovo di Chieti-Vasto, intitolato «Memoria e profezia di un incontro ecumenico».
(Bruno Forte) Quale messaggio viene all’impegno dei cristiani per la loro unità in Cristo dalla visita di Papa Francesco alla Chiesa evangelica della riconciliazione di Caserta il 28 luglio 2014? Vorrei rispondere a questa domanda per corrispondere all’invito fraterno rivoltomi a un anno da quell’evento dal pastore e amico Giovanni Traettino. Lo farò rivisitando i discorsi del pastore evangelico e del vescovo di Roma, che mi sembra abbiano acceso insieme una luminosa “menorah” dell’impegno ecumenico, una sorta di candelabro a sette braccia destinato ad ardere nei nostri cuori e nel santuario del Dio vivo, che ci chiama a essere uno in Cristo.
La prima luce di questa “menorah” è quella dell’ecumenismo dell’amicizia e della fraternità. Il pastore Traettino ha per primo sottolineato il valore dell’incontro fraterno vissuto alla presenza di Dio: «È bello stare davanti al Signore (…). Non c’è posto migliore al mondo che stare alla presenza di Dio (…). È lì che facciamo l’esperienza delle gioie più profonde e più vere; è lì che la nostra vita viene trasformata e che diventiamo sempre più simili a Lui». Incontrarsi davanti all’unico Padre ha tutto il sapore di un ritrovarsi tra fratelli e amici: perciò, rivolgendosi al «carissimo Papa Francesco, amato fratello», il pastore ha voluto ricordare i tratti di un’amicizia nata nella totale libertà di cuore e nella piena docilità allo Spirito, amicizia da cui è scaturito «un dono grande e inatteso, impensabile fino a poco tempo addietro».
Quest’ecumenismo dell’amicizia si è colorato nelle parole del pastore di un intenso spessore esistenziale: «Le vogliamo bene», ha detto rivolgendosi al Papa. «È una cosa che deve sapere: verso la sua persona, anche tra noi evangelici, c’è tanto affetto e tanti di noi anche ogni giorno pregano per lei». A sua volta, Papa Francesco è partito dallo stesso riferimento alla fraternità radicata nell’amore di Cristo: «Mio fratello il pastore Giovanni — ha detto — ha incominciato parlando del centro della nostra vita: stare alla presenza di Gesù. E poi ha detto: camminare alla presenza di Gesù. Questo è stato il primo comandamento che Dio ha dato al suo popolo, al nostro padre Abramo». La fraternità in Cristo ci porta a stare e a camminare uniti alla presenza di Gesù.
L’ecumenismo dell’amicizia e della fraternità si congiunge così all’ecumenismo del cammino: ecco la seconda luce della nostra “menorah” ecumenica. È il vescovo di Roma che ha ricordato come il popolo di Dio a volte ha camminato alla presenza del Signore, altre volte no. Il Signore, però, ha avuto sempre «pazienza con il popolo che cammina (…). Il cristiano deve camminare». Ci sono, purtroppo, cristiani fermi, e — ha affermato Francesco — «questo fa male, perché ciò che è fermo, che non cammina, si corrompe». E «ci sono cristiani che confondono il camminare col girare. Non sono camminanti, sono erranti e girano qua e là nella vita (...). Manca loro la parresia, l’audacia di andare avanti; manca loro la speranza. I cristiani senza speranza girano nella vita; non sono capaci di andare avanti. Siamo sicuri soltanto quando camminiamo alla presenza del Signore Gesù. Lui ci illumina, Lui ci dà il suo Spirito per camminare bene». L’ecumenismo del cammino ci fa sentire uniti nella medesima condizione di pellegrini: «Quando si cammina alla presenza di Dio, si dà questa fratellanza. Quando invece ci fermiamo, ci guardiamo troppo l’uno all’altro, si dà (…) il cammino delle chiacchiere. E si incomincia: (…) Io sono di Paolo; Io di Apollo; Io di Pietro (…) E così è incominciata la divisione nella Chiesa». Artefice ultimo della divisione è l’Avversario, il Satana. Lo Spirito Santo, invece, non crea la divisione, ma la “diversità”, tanto ricca e tanto bella, nella Chiesa una e riconciliata in Lui. A sua volta, il pastore Traettino ha riconosciuto l’ecumenismo del cammino nel dovere di rispondere ai segni concreti che il Signore viene a offrirci nella storia: «Diversi di noi — ha detto rivolgendosi a Papa Francesco — credono perfino che la sua elezione a vescovo di Roma sia stata opera dello Spirito Santo. Una benedizione, soprattutto nei confronti del mondo, per tutto il cristianesimo: questo è quello che personalmente io penso». Le sorprese di Dio, insomma, ci precedono, e chi si pone in ascolto della storia in cui il Signore parla, non può che essere aperto ai suoi segni vivificanti e liberanti.
All’ecumenismo dell’amicizia e del cammino si unisce così l’ecumenismo della docilità allo Spirito, che riconosce nel Consolatore il primo agente e protagonista dell’unità cui il Signore ci chiama. Le parole citate del pastore hanno fatto esplicito riferimento a questa azione. Papa Francesco ne ha parlato evidenziando l’opera del Paraclito nel cammino verso l’unità, in particolare quando è vissuto come ecumenismo della diversità riconciliata, quanto mai attuale e urgente nell’epoca in cui ci troviamo, che è quella della globalizzazione. La globalizzazione, ha detto il vescovo di Roma, come l’unità nella Chiesa, non è «una sfera, dove tutti i punti sono equidistanti dal centro, tutti uguali (…). Questa è uniformità. E lo Spirito Santo non fa uniformità». L’unità che vogliamo è «l’unità nella diversità. Su questa strada noi cristiani facciamo ciò che chiamiamo ecumenismo: far sì che questa diversità sia più armonizzata dallo Spirito Santo e diventi unità (…). Questo è il nostro cammino, questa è la nostra bellezza cristiana». L’ecumenismo, insomma, dovrà essere aperto alla fantasia e alla creatività del Consolatore, senza paure e rimpianti, senza chiusure e alibi rassicuranti: solo se ci faremo condurre dal vento della Pentecoste, docili al soffio dello Spirito di Dio, avanzeremo verso l’unità che Cristo vuole, come egli la vuole e quando la vorrà.
Una quarta luce della nostra “menorah” ecumenica l’ha accesa il pastore Traettino quando ha parlato di un ecumenismo del coraggio. Rivolgendosi a Papa Francesco, ha detto: «Non le è bastato affidare il suo cuore a un documento o a un messaggero (…). Evidentemente ha riflettuto molto sull’incarnazione di Gesù Cristo. Ha voluto toccarci, ha voluto venire di persona, ad abbracciarci di persona. Ha mostrato un grande coraggio (...). E ha consegnato se stesso in semplicità e debolezza alla nostra diversità. Però anche al nostro abbraccio». Solo un tale coraggio apre la porta alla «realizzazione del sogno di Dio», che non passa attraverso i mezzi della grandezza umana, ma si attua per la via dell’umiltà e della piccolezza, via della gloria in cui si compirà l’unità: «L’umiltà è al cuore della gloria (…). È sufficiente un po’ di potenza per esibirsi; ce ne vuole molta per ritirarsi. Dio è potenza illimitata di ritrazione di sé, di nascondimento. Anche da questo, forse soprattutto da questo si riconoscono i discepoli di Cristo». L’ecumenismo dell’umiltà rende pienamente autentico quello del coraggio e apre la strada all’unità. In questa linea, Papa Francesco ha dato una prova concreta di umiltà, non esitando a chiedere perdono per le colpe che alcuni cattolici hanno avuto nella persecuzione dei fratelli pentecostali: «Io sono il pastore dei cattolici», ha detto. «E io vi chiedo perdono per questo. Io vi chiedo perdono per quei fratelli e sorelle cattolici che non hanno capito e che sono stati tentati dal diavolo e hanno fatto la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe. Chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscere e di perdonare». L’ecumenismo dell’umiltà si fa ecumenismo del perdono chiesto e offerto, ricevuto e donato, nella comune consapevolezza del debito che tutti ci unisce davanti al Signore.
Una quinta luce è stata accesa dai due interlocutori parlando dell’ecumenismo della verità: tutto quello che si fa in vista dell’unità camminando nell’amicizia sotto l’azione dello Spirito con coraggio e umiltà non avviene mai a scapito della verità. Il pastore Traettino lo ha affermato con forza, ribadendo che «la verità è un incontro», come afferma il titolo di una delle raccolte delle meditazioni mattutine di Francesco a Santa Marta. E ha proseguito: «La verità è un incontro, ma è anche una verità centrale per ogni cristiano, per ognuno che si sia convertito a Cristo e abbia vissuto un incontro personale con Lui». Di questo incontro Papa Francesco è testimone credibile: «È evidente — ha affermato il pastore rivolgendosi al vescovo di Roma — che questa verità è al centro della sua vita, materia viva della sua esperienza spirituale, motivo ispiratore della sua esistenza». L’ecumenismo della verità è quello dell’incontro sempre nuovo con Cristo e fra noi. Da parte sua, Francesco ha voluto sottolineare la profonda condivisione dell’idea espressa dal “fratello Giovanni” che «la verità è un incontro, un incontro tra persone. La verità non si fa in laboratorio, si fa nella vita, cercando Gesù per trovarlo». E ha aggiunto: «Il mistero più bello, più grande, è che quando noi troviamo Gesù, ci accorgiamo che lui ci cercava da prima, che lui ci ha trovato da prima, perché lui arriva prima di noi (…) ci precede, e sempre ci aspetta». Cristo è la verità che ci supera tutti e sola fa l’unità.
La sesta luce è quella dell’ecumenismo del grande cuore, dell’impegno, cioè, a vivere la ricerca dell’unità su ampi orizzonti, restando sempre aperti al soffio di Dio: «Occorre avere tutto il campo per scoprire il tesoro», ha detto il pastore, traendone lo spunto per invitare i fratelli in cammino verso l’unità a guardarsi reciprocamente con cuore grande. E ha aggiunto che ciò certamente va vissuto «senza rinunciare al lavoro di discernimento fatto con la Parola di Dio, ma esaminando ogni cosa e ritenendo il bene. In questo modo siamo meno esposti al rischio di disprezzare il contributo dei fratelli, di spegnere lo Spirito o addirittura di attribuire ad altre fonti quello che è invece dal Signore». Analogamente, Papa Francesco ha parlato della necessità di un ritorno all’essenziale, al centro e alla fonte dell’unità che è il Signore, cui ci guida lo Spirito Santo: l’apertura del nostro cuore ci spinge a mirare al cuore del vangelo. Riferendosi all’incarnazione, centro verso cui tutti dobbiamo tendere per realizzare l’unità, Francesco ha detto che «non si capisce l’amore per il prossimo, non si capisce l’amore per il fratello, se non si capisce questo mistero dell’incarnazione (…). Io amo il povero, la vedova, lo schiavo, quello che è in carcere, (…) perché queste persone che soffrono sono la carne di Cristo, e a noi che siamo su questa strada dell’unità farà bene toccare la carne di Cristo. Andare alle periferie, proprio dove ci sono tanti bisognosi (…). Anche bisognosi di Dio, che hanno fame di Dio». Andare là è «andare a toccare la carne di Cristo. Non si può predicare un Vangelo puramente intellettuale: il Vangelo è verità ma è anche amore ed è anche bellezza. E questa è la gioia del Vangelo». È l’ecumenismo del cuore grande che si fa continuamente carità vissuta, nella relazione reciproca e nel servizio ai poveri.
Infine, come ad accendere la settima e ultima luce della “menorah”, quella dell’ecumenismo vissuto sulla breccia della storia, il pastore Traettino ha richiamato la condizione di pellegrini in cui tutti ci troviamo, tra il “già” e il “non ancora” del tempo in cammino verso la patria: è il piano «dove facciamo l’esperienza della vergogna della divisione, delle guerre tra i cristiani, delle ostilità, delle persecuzioni. Perfino in Italia purtroppo per tantissimi anni abbiamo fatto esperienza di persecuzioni». A questo tempo deve far seguito quello della riconciliazione, «il tempo dell’amore, il tempo della responsabilità, che deve essere riempito da uomini e donne di riconciliazione». E ha concluso rivolgendosi a Francesco: «Lei, con la sua visita qui, ha dimostrato che prende sul serio la riconciliazione, che è un uomo di riconciliazione. Direi: un profeta di riconciliazione». Questo è il cammino dell’unità tra fratelli, l’ecumenismo della riconciliazione, dell’incontro con Cristo, cioè, che ci viene incontro nel fratello. Con linguaggio schietto e diretto, Francesco ci ha tenuto a sottolinearlo: «Qualcuno sarà stupito: ma, il Papa è andato dagli evangelici. È andato a trovare i fratelli. Sì. Perché — e questo che dirò è verità — sono loro che sono venuti prima a trovare me a Buenos Aires (…). E così è cominciata questa amicizia, questa vicinanza fra i pastori a Buenos Aires, e oggi qui».
Ritornando al centro e cuore del Vangelo si scopre, dunque, il vero volto dell’ecumenismo: non la conversione da una Chiesa a un’altra, ma la conversione di tutti i cristiani e di tutte le Chiese a Cristo. Un ecumenismo che non si nutre più dell’essere contro qualcuno, ma dell’essere di Cristo e per lui: proprio così, un dialogo ecumenico che, come ha detto il pastore Traettino, «riconoscendo le proprie origini e radici nell’albero storico del cristianesimo, cattolicesimo e riforma compresi, ha imparato a relazionarsi in modo costruttivo e redentivo con quelli che riconosce come suoi padri e suoi fratelli. E a tirar fuori dal suo tesoro — come lo scriba del Vangelo — cose nuove e cose vecchie». È questo anche il compito che Papa Francesco ha rilanciato con convinzione e passione per tutta la Chiesa, indicando come dovere prioritario quello di essere una comunità dalle porte sempre aperte, che non ha paura di rischiare per amore: «Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti (…). Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata» (Evangelii gaudium, n. 49). La Chiesa che Francesco vuole è quella che riconosce il cammino verso l’unità voluta dal Signore come suo dovere ineludibile: «Sono tante e tanto preziose le cose che ci uniscono. E se realmente crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri. Non si tratta solamente di ricevere informazioni sugli altri per conoscerli meglio, ma di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in loro come un dono anche per noi» (ibidem, nn. 244-246).
Ecumenismo dell’amicizia e della fraternità, ecumenismo del cammino e della docilità allo Spirito Santo, ecumenismo del coraggio, dell’umiltà e della verità, ecumenismo dal grande cuore, vissuto sulla breccia della storia: ecco il compito e la sfida lanciatici dalla visita di amicizia del vescovo di Roma a un suo fratello pastore evangelico, che lo ha accolto come segno e dono dell’amore di Dio per tutti i cristiani e per l’intera famiglia umana. E che la “menorah” ecumenica che essi hanno acceso risplenda nel cuore della Chiesa e di ogni discepolo di Cristo Gesù.
L'Osservatore Romano