mercoledì 1 aprile 2015

Politica e finanza. Per un’economia della dignità



Il 31 marzo a Palazzo Maffei Marescotti a Roma è stato presentato l’ultimo numero della rivista «Limes» sul tema Moneta e impero. Tra gli altri è intervenuto il cardinale segretario di Stato ripercorrendo la storia economica del XXsecolo e ponendo in particolare l’accento sugli interventi dei Papi dalla fine del primo conflitto mondiale fino ai nostri giorni. Pubblichiamo uno stralcio della relazione che proponiamo integralmente sul nostro sito internet. 
(Pietro Parolin) Il numero di «Limes» che oggi viene presentato include un articolo sulla riforma della normativa finanziaria e di altre norme della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, presentandola quale la risposta del Santo Padre Francesco al problema dell’associazione tra moneta e impero. Senza escludere anche questa intenzione, a me sembra che tali riforme si riferiscano maggiormente alla vita interna della Chiesa.
La riforma, compresi gli aspetti amministrativi e finanziari, è una necessità sentita già prima dell’attuale pontificato, per adeguare sempre meglio la collaborazione della curia al munus petrino di comunione. Anche la riforma dell’Istituto delle opere di religione, strumento necessario per la funzione pastorale del Papa, deve essere compresa nelle sue giuste proporzioni. Innanzitutto lo Ior non è mai stato una banca vera e propria, e molto meno una banca centrale. D’altra parte e più specificamente, la ristrutturazione dello Ior obbedisce alla necessità di adeguare la normativa e le istituzioni vaticane ad alcune convenzioni multilaterali a cui la Santa Sede ha aderito recentemente, relative alla prevenzione e il contrasto del riciclaggio, alla prevenzione del finanziamento del terrorismo e alle salvaguardie contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa. 
Secondo le informazioni pubbliche della Banca d’Italia, nel dicembre 2012 c’erano in Italia circa 700 aziende bancarie, con più di 32.000 sportelli e con un attivo complessivo di 4.200 miliardi di euro. Alla stessa data lo Ior pubblicava un attivo pari a 4,2 miliardi di euro, con un’unica sede aperta al pubblico. Lo Ior equivale quindi allo 0,1 per cento del sistema bancario italiano e la sua portata equivale a quella di un unico istituto bancario piccolo (la Banca d’Italia classifica come piccola banca quella cui attivo si aggira tra 1,3 e 9 miliardi di euro). Scherzando un po’, si potrebbe dire che stabilire un rapporto tra la riforma della curia romana e degli altri organismi di collaborazione della Santa Sede, tra cui lo Ior, e i rapporti geopolitici tra moneta e impero è come cercare di paragonare la Guardia svizzera pontificia con le Forze armate di un grande Paese.
La risposta del Papa all’intreccio finanza-politica internazionale è ben altra. È innanzitutto la condanna della guerra, sempre presente negli insegnamenti papali, durante tutto il secolo XX e XXI. È poi la condanna del nazionalismo e di ogni pretesa di supremazia nazionale. È, infine, il richiamo, particolarmente presente negli ultimi pontificati, a non permettere che la finanza diventi un elemento autonomo, sregolato e slegato dall’economia reale, ma invece si metta al servizio della produzione, della creazione dei posti di lavoro e, in ultima analisi, delle famiglie e degli individui. 
Per evitare che le finanze siano armi, occorre un saldo sistema multilaterale, che rinnovi le istituzioni esistenti o ne ricrei altre. Occorre rinforzare la fiducia tra i popoli. È degno di nota il fatto che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI abbiano ribadito con forza il concetto di “famiglia delle Nazioni” e di “famiglia dei popoli”, appunto nel momento in cui studiosi di geopolitica più o meno alla moda cercavano di imporre l’idea di un conflitto di civiltà. Occorre promuovere una profonda assunzione di responsabilità etica da parte degli operatori finanziari, ricordando la norma, prima ancora che religiosa, propria della legge naturale, di non mentire, nemmeno tramite l’uso di nuovi titoli di credito e sofisticate formule matematiche. Occorre ricordare ai governanti come agli imprenditori che ci deve essere un rapporto ragionevole tra produzione di beni e servizi e il credito, e che questo non si può allontanare indefinitamente e infinitamente dalla produzione. Occorre, finalmente, ridare una parte importante della gestione del credito alle realtà locali, alle piccole imprese e ai poveri, spezzando, ciò che può essere un legame perverso tra moneta e impero.
La risposta di Papa Francesco alla guerra della finanza è una chiamata alla responsabilità. Alla responsabilità dei politici e dei grandi operatori economici, ma anche alla responsabilità dei piccoli e dei poveri, che devono imparare a essere padroni dei propri destini e a difendere la propria dignità, quella delle loro famiglie e delle loro comunità.
Agli imprenditori e, in genere, ai grandi operatori economici, il Papa ha ricordato che «la vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo» (Evangelii gaudium n. 203). 
E ai politici ha detto che «la politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune. (...) È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale» (Evangelii gaudium n. 205). In piena sintonia con il messaggio evangelico, il Papa vede che la riforma delle finanze mondiali passa per una vera metanoia dei politici, degli imprenditori e degli altri agenti economici. 
Allo stesso tempo, il Santo Padre auspica una riforma dal basso, che liberi i poveri dalla prigione di un assistenzialismo indirizzato al dominio politico delle masse, e faccia sbocciare le forze degli individui, delle famiglie e dei gruppi intermedi. È ben noto come, nell’alto medioevo e agli inizi del Rinascimento, il popolo cristiano, incoraggiato e guidato soprattutto dai predicatori francescani, rispose alla finanza collegata all’impero con la finanza popolare, strutturata a partire dei monti di pietà. Alla fine del secolo XIX, si giunse alle cooperative che, come ricorda Papa Francesco, furono anche la risposta alla prima “globalizzazione capitalistica” che, assieme a evidenti progressi generò innumerevoli sofferenze ai popoli europei e, purtroppo si collegò alle contese imperialistiche che portarono alla prima guerra mondiale.
Il Papa si appella, dunque, agli inizi della formulazione della dottrina sociale della Chiesa, ricordando, in particolare, la figura di Leone XIII e promovendo tutte le forme di azioni cooperative e altri tipi di nuove imprese sorte dal basso. Faccio riferimento al recente discorso di Papa Francesco ai rappresentanti della Confederazione cooperative italiane, del 28 febbraio 2015, di cui vorrei riportare testualmente la parte riferita al denaro: «Il quinto incoraggiamento forse vi sorprenderà! Per fare tutte queste cose ci vuole denaro! Le cooperative in genere non sono state fondate da grandi capitalisti, anzi si dice spesso che esse siano strutturalmente sottocapitalizzate. Invece, il Papa vi dice: dovete investire, e dovete investire bene! In Italia certamente, ma non solo, è difficile ottenere denaro pubblico per colmare la scarsità delle risorse. La soluzione che vi propongo è questa: mettete insieme con determinazione i mezzi buoni per realizzare opere buone. Collaborate di più tra cooperative bancarie e imprese, organizzate le risorse per far vivere con dignità e serenità le famiglie; pagate giusti salari ai lavoratori, investendo soprattutto per le iniziative che siano veramente necessarie. Non è facile parlare di denaro. Diceva Basilio di Cesarea, padre della Chiesa del ivsecolo, ripreso poi da san Francesco d’Assisi, che “il denaro è lo sterco del diavolo”. Lo ripete ora anche il Papa: “il denaro è lo sterco del diavolo”! Quando il denaro diventa un idolo, comanda le scelte dell’uomo. E allora rovina l’uomo e lo condanna. Lo rende un servo. Il denaro a servizio della vita può essere gestito nel modo giusto dalla cooperativa, se però è una cooperativa autentica, vera, dove non comanda il capitale sugli uomini ma gli uomini sul capitale (...) L’economia cooperativa, se è autentica, (...) deve promuovere l’economia dell’onestà! Un’economia risanatrice nel mare insidioso dell’economia globale. Una vera economia promossa da persone che hanno nel cuore e nella mente soltanto il bene comune».
Parlando della finanza al servizio della società, il Papa evocava la figura di Leone XIII: «La Chiesa ha sempre riconosciuto, apprezzato e incoraggiato l’esperienza cooperativa. (...) Ricordiamo il grido lanciato nel 1891, con la Rerum novarum, da Papa Leone XIII: “tutti proprietari e non tutti proletari”. E vi sono certamente note anche le pagine dell’enciclica Caritas in veritate, dove Benedetto XVI si esprime a favore della cooperazione nel credito e nel consumo (cfr. nn. 65-66), sottolineando l’importanza dell’economia di comunione e del settore non profit (cfr. n. 41), per affermare che il (...) profitto non è affatto una divinità, ma è solo una bussola e un metro di valutazione dell’attività imprenditoriale. Ci ha spiegato, sempre Papa Benedetto, come il nostro mondo abbia bisogno di un’economia del dono (cfr. nn. 34-39), cioè di un’economia capace di dar vita a imprese ispirate al principio della solidarietà e capaci di “creare socialità”». 
Concludendo, sembra esistere un legame abbastanza evidente tra grande finanza, esercizio del potere e concorrenza tra i vari centri di potere. La precedenza tra pretese imperiali e finanza è difficile da stabilire, e probabilmente entrambi si alimentano a vicenda. I grandi capitali, poi, tendono a finanziare i poteri stabiliti e le attività più redditizie — oggi in genere quelle di tecnologia sofisticata — e il credito non è accessibile al popolo. La Chiesa — e con essa la Santa Sede — a partire dall’affermazione della superiore dignità dell’uomo, non si arrende di fronte a questo stato di cose e persevera nel richiamare la dignità dell’essere umano. Nell’ambito delle questioni fin qui trattate, ciò significa: 1) la condanna della guerra e di ogni superbia o egoismo nazionalistico — anche nelle sue manifestazioni finanziarie; 2) la promozione, senza mezzi termini, di una responsabilità etica dei grandi agenti politici o economici; 3) l’incoraggiamento della libera ed efficace partecipazione dei poveri alla costruzione della propria dignità economica.
L'Osservatore Romano

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La finanza a servizio dell'uomo

di Stefania Falasca
«Come la Chiesa condanna il nazionalismo estremo e le guerre, così si deve concludere che implicitamente condanna "le guerre finanziarie", nelle quali la manipolazione delle monete nazionali diventa uno strumento attraverso il quale gli Stati impongono la propria supremazia o offrono i benefici ai propri cittadini a scapito dei più poveri». 

Il segretario di Stato Pietro Parolin ha puntando dritto all’intreccio «tra grande finanza, esercizio del potere e concorrenza tra vari centri di potere» il cardinale ha evidenziato «la duplice tensione capitalista globale dominata dai poteri finanziari» in occasione della presentazione, tenuta assieme al presidente del Senato Pietro Grasso, dell’ultimo volume della rivista di geopolitica Limes su "Moneta e Impero", dedicato alla finanza internazionale, che si è svolta ieri a palazzo Maffei-Marescotti in collaborazione con l’Opera romana pellegrinaggi. 

Parolin afferma che nello scenario mondiale del XXI secolo la «finanza sia un’arma in mano alle egemonie nazionali». In sintonia con i suoi predecessori papa Francesco, «stigmatizza la speculazione finanziaria, affrontandola prima dal punto di vista del grave riduzionismo antropologico e associandola alle crisi mondiali e quindi rilevando che "una finanza responsabile e un responsabile governo del denaro "sono incompatibili con una concorrenza per la supremazia degli Stati e con l’alleanza di fatto tra meccanismi impersonali della finanza internazionale e la politica internazionale». 

La risposta del Papa all’intreccio finanza-politica è quindi innanzitutto la condanna della guerra, «sempre presente negli insegnamenti papali» afferma Parolin, «poi la condanna del nazionalismo e di ogni pretesa di supremazia nazionale. Infine il richiamo a non permettere che la finanza diventi un elemento autonomo, sregolato e slegato dall’economa reale. Per evitare che le finanze siano armi, occorre un saldo sistema multilaterale e rinforzare la fiducia tra i popoli». 

Da parte sua Grasso ha citato il discorso di papa Francesco al Parlamento Europeo e l’Evangelii gaudium. Ne emerge «la duplice tensione dell’economia capitalistica globale, dominata dai poteri finanziari». 

Da un lato, «tensione con i valori fondanti la democrazia sostanziale e la sovranità popolare, e dall’altro con l’equità sociale». Secondo Grasso «ciò che Francesco sembra denunciare sono le forti contraddizioni dell’economia e della finanza attuali con il principio democratico, il principio di uguaglianza sostanziale e di solidarietà, valori che per il loro significato universale trascendono i confini degli Stati». 

«La prima sfida che dobbiamo porci, etica ed economica – evidenzia il presidente del Senato – è il ritorno all’economia reale, alla produzione di beni e valori tangibili». La seconda sfida è «riaffermare il ruolo pubblico rispetto alle imprese di carattere strategico, che soddisfano bisogni sociali primari». 

«La risposta di Francesco alla guerra della finanza» riprende in conclusione il segretario di Stato «è una chiamata alla responsabilità. Dei politici e dei grandi operatori economici, ma anche dei piccoli, che devono imparare ad essere padroni dei propri destini e a difendere la propria dignità, delle loro famiglie e della loro comunità». E parlando dello Ior, il cardinale ha sottolineato che «vale lo 0,1% del sistema bancario italiano», pur «non essendo una banca in senso proprio». La sua ristrutturazione? «Adeguamento alle norme internazionali».
Avvenire