mercoledì 1 aprile 2015

Il senso di una Convenzione


S.E. Mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati: Collaborazione tra Santa Sede e Italia in materia fiscale 

Con la firma della Convenzione in materia fiscale Santa Sede e Italia sono ancora più vicine. Al legame storico si aggiungono sempre più stabili vincoli istituzionali e giuridici che, dopo la quiescenza negli anni successivi al 1870, hanno conosciuto dai Patti lateranensi in poi una crescita costante con reciproci benefici. Il traguardo rappresentato da questa Convenzione è in buona parte frutto dell’impegno internazionale profuso dalla Santa Sede nei settori della trasparenza, della vigilanza e dell’informazione finanziaria che, dal 2010 in poi, ha consentito la realizzazione di significative riforme, accolte da un consenso diffuso da parte degli operatori internazionali.
È sulla base di queste premesse che la collaborazione tra Santa Sede e Italia viene estesa oggi alla materia fiscale. Questo ambito può sembrare piuttosto sorprendente alla luce di quelle che sono le Parti contraenti, posto che né la Santa Sede né lo Stato della Città del Vaticano hanno una legislazione fiscale in senso stretto o un sistema tributario che possa giustificare i contenuti tradizionali delle convenzioni fiscali stipulate tra gli Stati.
Questa disciplina convenzionale si giustifica infatti proprio alla luce della specialità dei rapporti correnti tra la Santa Sede (e lo Stato della Città del Vaticano, su cui la Santa Sede esercita la sovranità) e la Repubblica Italiana, tali da richiedere anzitutto una semplificazione nel pagamento delle imposte sulle rendite prodotte dalle attività finanziarie detenute nello Stato della Città del Vaticano. In questo modo la Santa Sede e le Istituzioni che operano nello Stato della Città del Vaticano potranno, da un lato, agevolare le attività di riscossione delle autorità fiscali italiane e, da altro lato, offrire un importante servizio a tutti quelle persone (fisiche e giuridiche) residenti in Italia e che per motivi di natura ecclesiale detengono attività finanziarie nel territorio vaticano.
Questo ambito riguarda il complesso universo degli Istituti di Vita Consacrata, delle Società di Vita Apostolica, nonché di tutti gli altri enti dotati di personalità giuridica canonica e che attendono ad opere di pietà, apostolato o carità, spirituale o temporale (ex can 114 CIC). Un ambito non meno importante riguarda poi la pluralità dei dipendenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, nonché tutti i pensionati di queste Istituzioni, che ricevono presso l’Istituto per le Opere di Religione il pagamento delle rispettive retribuzioni o pensioni. Anche per costoro è previsto l’accesso alla suddetta semplificazione tributaria.
La parte forse più rilevante della Convenzione consiste poi nell’accordo relativo allo scambio di informazioni su richiesta ai fini fiscali, la cui disciplina introduce il complesso articolato della Convenzione. Con tale accordo si stabilisce che la Santa Sede comunicherà allo Stato italiano le “informazioni verosimilmente rilevanti … per l’amministrazione o l’applicazione del diritto interno relativo alle imposte di qualsiasi natura o denominazione …”, senza possibilità di opporre in senso contrario alcun vincolo di segreto in materia finanziaria. Le disposizioni appaiono in proposito piuttosto ampie in quanto corrispondenti allo standard internazionale più accreditato e recente, quale quello approvato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ed adottato dall’Italia anche nei recenti accordi con la Svizzera, il Liechtenstein ed il Principato di Monaco.
Anche questo contenuto, al pari del precedente, opererà in senso unilaterale, in funzione cioè del solo diritto fiscale italiano, considerato che la Santa Sede (e lo Stato della Città del Vaticano) non hanno motivo di chiedere informazioni in assenza di un sistema tributario che possa giustificare la richiesta. In proposito occorre comunque evidenziare come l’accordo sullo scambio di informazioni realizzi un significativo passo della Santa Sede verso l’obiettivo della massima trasparenza nel campo delle relazioni finanziarie, dimostrando al tempo stesso la complessiva idoneità del proprio sistema istituzionale e giuridico a sostenere in modo efficace il confronto con i più elevati parametri internazionali in materia.
Della Convenzione sono infine da apprezzare i riferimenti, brevi ma tecnicamente puntuali e opportuni, alle disposizioni del Trattato lateranense che possono in qualche modo essere interessate dai contenuti della Convenzione. In particolare: l’esclusione di ogni modifica al regime di esenzione stabilito nell’articolo 17 del Trattato del Laterano con riferimento alle retribuzioni corrisposte ai dipendenti della Santa Sede; nonché l’esclusione degli enti centrali della Chiesa Cattolica, di cui all’art. 11 del Trattato, dall’applicazione delle disposizioni più strettamente fiscali della Convenzione concernenti lo scambio di informazioni ed il pagamento delle imposte sulle rendite finanziarie.
L’assetto fondamentale del Trattato è infine non solo confermato, ma anche portato a compimento in relazione al regime fiscale peculiare degli immobili situati nelle zone cc.dd. extraterritoriali, di cui la Convenzione ribadisce l’esenzione da ogni tributo che aveva costituito di recente oggetto di incertezze giurisprudenziali.
Conclusivamente, la Convenzione in materia fiscale è destinata a segnare una tappa importante nella cooperazione tra Italia e Santa Sede, che conferma come queste realtà, accomunate dalla storia, sanno procedere insieme e sostenersi reciprocamente, conservando e rinsaldando vincoli peculiari e caratteristici, anche in un contesto internazionale sempre più articolato e globale. 

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(Giuseppe Dalla Torre) La Convenzione tra la Santa Sede e l’Italia in materia fiscale viene ad aggiungere un tassello, ormai necessario, al quadro del sistema di diritto finanziario che si è cominciato a delineare col pontificato di Benedetto XVI e che ha avuto un notevole incremento con Papa Francesco. Si tratta di un passaggio che richiedeva il ricorso allo strumento internazionale, non solo per i noti effetti della globalizzazione, soprattutto nell’ambito economico-finanziario, che rendono i problemi transnazionali, ma anche a causa dei particolarissimi rapporti di carattere pattizio che intercorrono tra la Santa Sede e l’Italia per evidenti ragioni geopolitiche ed economiche.
La ricerca di una soluzione negoziata di problemi di comune interesse poteva solo in parte usufruire dei modelli elaborati nei più recenti accordi in materia fiscale della Repubblica Italiana con Stati viciniori, posta l’obiettiva diversità di situazioni. Nel caso specifico, in particolare, non si trattava di regolare un qualsiasi rapporto tra Stato e Stato, ma un rapporto in cui una parte, la Santa Sede, non è uno Stato, non ha finalità temporali ma spirituali, svolge la sua missione a livello planetario. D’altra parte la Città del Vaticano, su cui la Santa Sede ha piena sovranità, è notoriamente un’entità statuale particolarissima, non essendo uno Stato fine a sé stesso, come le altre entità statuali, ma uno Stato con carattere strumentale in ordine alla missione della Santa Sede.
Si tratta di realtà complessa che, dal punto di vista sia fattuale sia giuridico, porta con sé conseguenze non ignorabili. Per esempio, non tutti gli organismi della Santa Sede trovano allocazione nello Stato vaticano; anzi buon parte sono oltre i suoi confini, nelle cosiddette zone extraterritoriali, per scelta fatta nel 1929 all’atto della stipula del Trattato lateranense. Ancora: non tutti i dipendenti della Santa Sede sono cittadini vaticani o residenti nello Stato vaticano, anzi una minima parte, con l’effetto che la più parte di loro non può che risiedere in Italia.
È una realtà complessa che dal punto di vista politico e giuridico ha trovato definitivamente inquadramento nel Trattato lateranense, come detto nell’art. 26; Trattato che, nei modi noti, è peraltro richiamato dall’art. 7 della Costituzione italiana.
La Convenzione testé firmata tra la Santa Sede e l’Italia risolve in maniera positiva il nodo delle relazioni in materia fiscale, prevedendo una serie di disposizioni che riescono a conciliare interessi differenti, come quello dell’Italia alla eguaglianza ed alla giustizia in materia fiscale, e quello della Santa Sede a salvaguardare la libertà e la funzionalità degli organismi ad essa pertinenti, per lo svolgimento della propria missione spirituale nel mondo. In particolare l’accordo è diretto a perseguire il comune obbiettivo di assicurare la più ampia trasparenza nel campo delle relazioni finanziarie, in linea con gli orientamenti maturati sempre più in ambito internazionale.
A questa fondamentale esigenza risponde specificamente la normativa convenuta, con cui si stabilisce una aperta e piena collaborazione delle autorità della Santa Sede con le autorità fiscali dello Stato italiano, grazie alla quale sono costituite forme istituzionali di scambio di informazioni secondo i parametri OCSE.
Altro punto importante dell’accordo riguarda le modalità di adempimento degli obblighi tributari da parte delle persone, fisiche e giuridiche, che detengono attività finanziarie nello Stato della Città del Vaticano e che, in quanto residenti in Italia, devono corrispondere le imposte sulle rendite finanziarie percepite in relazione a tali attività. Si tratta di una realtà complessa e variegata, in cui il profilo della peculiarità della situazione emerge con evidenza: si pensi alla particolarità degli Istituti religiosi che per disposizione canonica, rispondente a comprensibili ragioni, devono stabilire in
Roma una Casa generalizia per un continuo raccordo con la Santa Sede; si pensi alle risorse finanziarie che da tutto il mondo giungono a persone giuridiche canoniche, le quali sono destinate a finalità che vanno oltre i confini nazionali italiani.
In questo ambito la normativa concordata crea nuovi raccordi tra la legislazione pattizia del 1929, nella parte in cui disciplina i profili tributari (in particolare gli articoli 16 e 17 del Trattato lateranense), e l’odierno, mutato assetto dell’ordinamento italiano in materia fiscale. In particolare sono previste forme di collaborazione delle competenti autorità della Santa Sede, dirette a perseguire un importante obbiettivo di semplificazione amministrativa, a vantaggio sia degli utenti che delle autorità italiane interessate.
Dal punto di vista tecnico, la normativa ora definita presenta diversi pregi, come quello di salvaguardare e chiarire le prerogative in favore degli enti centrali della Chiesa, di cui all’art. 11 del Trattato lateranense; o l’altro, di non poco conto, di prevedere esplicitamente l’ambito ed i limiti della retroattività delle disposizioni previste dall’accordo.
In conclusione si può dire che la Convenzione in materia fiscale costituisce un’ulteriore tappa in quel percorso di collaborazione tra la Santa Sede e l’Italia, che è iniziato nel 1929 e che ha conosciuto diversi momenti tra cui, particolarmente significativo, l’Accordo del 1984 di revisione del Concordato lateranense. Una collaborazione nella distinzione, che risulta iscritta nell’ordinamento sia dello Stato che della Chiesa.

L'Osservatore Romano

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Accordo fiscale Italia-Vaticano: passo avanti nella trasparenza
Vatican Insider

(Iacopo Scaramuzzi) Italia e Vaticano hanno firmato stamane una attesa «convenzione» in materia fiscale. Lo ha resto noto la Santa Sede, spiegando che, per quanto riguardo lo scambio di informazioni (...)