martedì 7 aprile 2015

Quando ci si ammala di laicità...





I manifesti censurati e poi riammessi nella metropolitana di Parigi.

Pubblichiamo quasi per intero un articolo, apparso su slate.fr, di Henri Tincq. L’autore, scrittore e già specialista di questioni religiose sui quotidiani «la Croix» e «Le Monde», commenta la decisione dell’Azienda autonoma di trasporti parigini (Ratp) di togliere la scritta «per i cristiani d’Oriente» da duecentocinquanta manifesti che, nelle stazioni della metropolitana, pubblicizzavano il concerto del gruppo Les Prêtres, previsto il 14 giugno all’Olympia di Parigi. Dopo le polemiche la Ratp è tornata sulla sua decisione annunciando di aver ripristinato la scritta.
(Henri Tincq) La Francia è malata della sua laicità. L’altro giorno è stato un consigliere socialista a staccare un crocifisso al Consiglio generale dell’Alto Reno. Poco dopo, in un seggio elettorale di Tolosa, a un rabbino è stato ingiunto di togliersi la kippah mentre si accingeva a compiere il suo dovere elettorale. Oggi sono alcuni oscuri censori della Ratp (Régie autonome des transports parisiens) a decidere, di loro iniziativa, di cancellare la scritta «a favore dei cristiani d’Oriente» su duecentocinquanta manifesti della metropolitana che annunciano un concerto del gruppo Les Prêtres, voluto da monsignor Jean-Michel di Falco Léandri. Il motivo: il rispetto del “principio di neutralità religiosa”.
Così i cristiani d’Oriente, da mesi oggetto di un movimento di empatia a livello mondiale, sono censurati in Francia. Una popolazione che è costretta all’esodo da decenni, in Libano, in Palestina, in Siria, ridotta a trecentomila persone dopo le due guerre in Iraq e che, ancora oggi, viene umiliata, maltrattata, discriminata, ridotta in schiavitù, cacciata dai suoi villaggi, dalle sue terre ancestrali, dalle sue case dalle milizie jihadiste dell’Is.
Pilastri della storia orientale, i cristiani d’Oriente sono perseguitati per il solo motivo di essere “cristiani”, intimati a convertirsi, vittime di un odio religioso sistematico, di un “genocidio culturale” che nessuno contesta più. Fino all’Onu, dove, in questi ultimi giorni, su iniziativa della diplomazia francese, ha avuto luogo un dibattito conclusosi con una condanna delle vessazioni del Daesh (acronimo arabo usato in Francia per definire lo Stato islamico, ndr.) nei confronti della minoranza cristiana dell’Iraq. Anche Papa Francesco, la mattina di Pasqua, si è pronunciato a loro favore nel suo messaggio di pace universale.
E in questi tempi, a nome di una cosiddetta “neutralità” e del principio laico di separazione tra religione e servizio pubblico, la Ratp decide di censurare una semplice scritta “cristiani d’Oriente” apposta su un manifesto. Come se la laicità fosse la negazione del fatto religioso. Come se la parola “cristiani” bruciasse ancora le labbra di alcuni. Come se i cristiani d’Oriente fossero gli “attori” di un conflitto armato in Medio oriente, mentre ne sono le vittime.
In nessun altro Paese vicino ci si tappa il naso come in Francia quando si menziona una confessione religiosa. La storia della Francia è attraversata da odi triti e ritriti tra clericali e liberi pensatori, da fiumi di letteratura e da lotte religiose il cui vigore polemico a volte riemerge ancora oggi. Se c’è una frattura specifica in Francia è proprio quella che distingue il campo della Rivoluzione — identificato con i diritti dell’uomo, il progresso, la laicità — e il campo della Restaurazione, del clericalismo, della resistenza alle libertà e alla modernità. Questa sempiterna “guerra delle due France”, di cui parlava lo storico Èmile Poulat, ha avuto il suo apogeo nella legge di separazione tra Chiese e Stato del 1905, della quale Jaurès e Briand avevano voluto fare una legge di pacificazione. La legge di separazione non è una legge di negazione della religione.
Non è quindi semplicemente un “errore” quello appena commesso dalla Ratp, come ha detto, con molta indulgenza, l’arcivescovo di Parigi, cardinale André Vingt-Trois. L’episodio della scritta censurata sui manifesti è eredità di un “laicismo” superato, stretto, dogmatico, che riemerge grazie a una ripresa degli integralismi. Ma questa incapacità di distinguere tra gli “attori” di una violenza religiosa insopportabile e le sue “vittime”, rappresentanti di minoranze non violente, coinvolte sul terreno contro la loro volontà, la dice lunga sull’ignoranza di questi censori della Ratp, che peraltro non vedono alcun male nell’autorizzare l’affissione di manifesti grossolanamente sessisti o degradanti. Sono gli stessi che, due anni fa, hanno rifiutato una campagna di manifesti contro l’islamofobia, prendendo a pretesto il suo carattere religioso, ma che hanno autorizzato campagne a favore dei siti che incitavano alla commercializzazione delle relazioni extraconiugali.
L'Osservatore Romano